“La verità non rende perché è una sola, con le bugie ci si arricchisce perché puoi inventarne quante vuoi” – Alberto Alpozzi
L’ottimo riscontro del primo volume di “Bugie Coloniali” ha imposto la prosecuzione degli studi e delle ricerche sulle menzogne rilevate su troppe pubblicazioni considerate definitive.
Il perseverare da parte di una certa élite nel divulgare mistificazioni mai supportate da prove e fonti con la sprezzante pretesa che vengano accettate sulla parola è intollerabile.
L’editoria italiana è costellata da sempre nuovi testi con citazioni, virgolettati e rimandi derivanti mai da una ricerca originale o reale verifica. Brillano le posizioni anti-italiane ritenute troppo spesso esaltanti ed encomiabili di libri opportunisti e ipocriti.
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Nell’analisi storica nazionale il comprendere è stato sostituito dal giudicare. Una sorta di bulimia editoriale che strenuamente sente la necessità di indicarci chi siano i buoni e i cattivi utilizza la menzogna per convincerci della bontà delle opinioni di chi ha la presunzione di fare storia rifiutando a priori il ricorso alle prove documentaristiche e negando e censurando qualsiasi confronto per timore di essere smentito.
Le pubblicazioni, gli articoli e i documentari anticoloniali, antifascisti, anti-Italia si moltiplicano, si inseguono, si autocitano in una sorta di onanismo uroboriano eppure non hanno raggiunto ancora la tanto agognata egemonia culturale.
L’attenzione dei divulgatori si è per lo più concentrata sugli aspetti relativi agli episodi di conquista territoriale e soprattutto alle sconfitte militari, dove i caduti anziché essere celebrati vengano festeggiati. È però mancato quasi totalmente uno studio adeguato della questione coloniale italiana sul piano sociale, umano e costruttivo.
Strampalate tesi che con ostinazione propinano esclusivamente gli errori favoleggiati da posizioni mai logicamente fondate hanno la presunzione di essere prese in considerazione quando negano totalmente tutto quanto invece venne creato e realizzato in Africa dalla colonizzazione italiana. Aveva ragione Pier Paolo Pasolini quando scriveva che l’Italia è “un paese senza memoria” che “ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni”.
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Paradossalmente l’Italia fascista realizzò in Etiopia ciò che mai nessuno prima aveva tentato di fare, a partire dai suoi re e imperatori: l’aveva dotata di un impianto stradale, aveva iniziato a scolarizzare la popolazione, aveva curato gli impianti urbanistici delle maggiori città, aveva costruito ospedali, aveva eretto e restaurato luoghi di culto per tutte le confessioni e aveva introdotto i più moderni metodi di coltivazione. Analizzando oggi la mole di lavoro e di investimenti in ogni settore, attuata dall’Italia in tutte le sue colonie, non possiamo che riconoscere nel governo di allora una reale volontà di creare dal nulla quell’Impero agognato; non solo per impressionare il resto del mondo, ma anche per valorizzare quelle terre a beneficio dei coloni italiani che vi lavorarono e vissero e, come conseguenza, delle popolazioni locali.
Scopo di questo libro è indagare gli aspetti della storia coloniale che una certa letteratura votata all’odio e all’antagonismo ha taciuto e dimostrare come molti testi siano stati costruiti su leggende, fantasie e fake-news.
Il lavoro svolto, come per il precedente testo, si basa sulla ricerca delle fonti, la rielaborazione di documenti mai utilizzati e soprattutto la verifica di quelli già citati. Obiettivo è aprire un dibattito pubblico (precluso a priori) su quelle che vengono definite verità assolute a discapito di notizie volutamente non diffuse in virtù di una limitazione della libertà di ricerca e pubblicazione.
Sin dalla mia prima pubblicazione (Il faro di Mussolini, 2015) nessuno è ancora stato capace di confutare i miei testi dimostrando che pubblico documenti falsi o mistificati. Difatti cerco la verità, dalla quale nessuno dovrebbe subire danno; ne subisce, infatti, chi persiste nella malafede e si limita alla fuga dal confronto diretto.
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La pretesa accettazione dogmatica, con la quale si può sostenere tutto e il suo contrario, ha destrutturato totalmente la ricerca scientifica creando affermazioni prive di ogni minimo fondamento, ma da accettare senza riserve.
L’indagine storica non ha le risposte a tutte le domande, invece la faziosità permette di inventare tutte le risposte.
L’editoria e i mass media, mai neutrali, sempre schierati, si sono trasformati in una industria culturale che ha prodotto un cumulo di slogan per orientare l’opinione pubblica senza mai fornire l’analisi delle cause necessaria per una coscienza critica. Le menti istruite non si possono controllare. Renzo De Felice diceva che “LA STORIA SI SCRIVE CERCANDO DI CAPIRE LE RAGIONI DEL TEMPO. SE NO, SI FA MORALISMO”.
Tutto è propaganda. I lettori sono spinti da autori con posizione preconcette all’adesione totale di teorie eterodirette dove non vi sono mai abbastanza domande ma vi sono fin troppe risposte. Il dialogo e il contraddittorio sono sostituiti da disinformazione e manipolazione.
La Storia non si basa più sulla ricerca, sulle fonti, sugli archivi, sull’analisi critica e comparativa (Theodor Mommsen e Leopold von Ranke, i padri della storiografia moderna, si staranno rivoltando nella tomba) ma è divenuta banale marketing tesa a diffondere preconcetti consolidati dai pregiudizi pur mancando una cultura specifica sull’argomento trattato.
La Storia è stata trasformata in pettegolezzo oltre ogni decenza e serietà pur di completare un’opera integrale di denigrazione che non trova eguali in nessuna altra nazione.
Scopri tutte le menzogne raccontate per decenni sulla storia coloniale italiana leggendo i libri “Bugie Coloniali vol. 1″ e “Bugie coloniali vol. 2″ di Alberto Alpozzi, Eclettica Edizioni. ACQUISTALI ORA inviando una mail ilfarodimussolini@libero.it
Una storia avvilita e umiliata dalla maldicenza da osteria pur di alterare la documentazione e ingannare il lettore elencando malefatte e malversazioni con il massimo sussiego.
Tramite un’attenta strategia di marketing con lo scopo di manipolare i lettori li si può indurre ad associare un determinato periodo storico a una sensazione di malessere, di infelicità, di vuoto. Con l’uso e abuso ossessivo di parole truculente (occupazione, invasione, aggressione, violenza, massacri, sfruttamento, razzismo) che suscitino sentimenti quali commozione, sdegno o ira si fa leva sulle emozioni primordiali e incontrollabili quali la rabbia e la paura. Con descrizioni catastrofiche e tetre, come per sceneggiare un film dell’orrore, si è imposto al lettore ciò che deve odiare e amare creando paradigmi e condizionamenti per una gabbia mentale “di falsi consensi reciproci che ogni tribù si confeziona, potremmo dire, per sentirsi migliore delle altre” per dirla alla Sigmund Freud.
Da queste letture se ne esce frastornati, senza aver appreso nulla di storico o nuovo, ma si avrà ben fissa nelle testa la precedente serie di termini utili a comporre semplici slogan.
Sarà sconcertante per alcuni scoprire come non sia stato il fascismo ad inventare le guerre, la sofferenza, il razzismo e la distruzione. E come esso rappresenti solamente venti anni nella storia di una nazione, cioè una piccola parte e addirittura minima nella storia del mondo.
More solito denunce prive delle indicazioni di giorno, mese, anno, luogo e nomi dei presunti colpevoli coinvolgono il lettore in un circuito di ambiguità che fornisce largo credito alla cultura del sospetto: un’alterazione della verità che non si prende cura di documentare le sue elucubrazioni.
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Se una verità è scomoda, va nascosta e, quando non è possibile, almeno mistificata. Questo il lavoro dei sacerdoti assassini di Clio che con scrupolosa cura imposta dai loro pregiudizi discriminatori hanno escluso tutto quanto potesse illustrare opere e realizzazioni che fanno onore all’Italia.
“Chi ha meriti riconosce anche i meriti altrui. Ma colui a cui manchi ogni pregio e merito desidera che non ce ne siano affatto – scriveva Arthur Schopenhauer – L’invidia gli rode il cuore: vorrebbe annientare e sradicare tutti coloro che sono personalmente privilegiati; e se invece li deve purtroppo lasciar vivere, ciò alla condizione che essi nascondano i loro pregi, li neghino del tutto, anzi li abiurino”.
Con l’arma dell’ignoranza, propria dei presuntuosi, una prosa vilmente denigrante e ironici titoli ad affetto alcuni autori forniscono coperture ideologiche atte a costruire l’illusione del sapere che poggia invece saldamente gli zoccoli nella sconoscenza di chi ripete falsi miti ritenendo che ciò che già sa sia la verità: Fere libenter homines id quod volunt credunt (In genere gli uomini sono inclini a credere vero ciò che desiderano) scriveva Giulio Cesare nel De Bello Gallico.
La copertina di questa seconda puntata di Bugie Coloniali, sarebbe dovuta essere, come per il primo volume, un’immagine con Benito Mussolini. Vuoi per marketing (il Duce vende sempre, e il gran numero di pubblicazioni con il suo nome e volto ne sono prova), vuoi per targettizazione dei contenuti, vuoi per mostrare foto non più pubblicate perché non aderenti alla narrazione preconfezionata.
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L’attuale momento storico dominato dall’autolesionista cancel culture, dalla bieca censura sui social network e quotidiani e da un garantismo opportunista a senso unico hanno suggerito l’immagine della sfilata dei meharisti a Roma. Un’immagine coloniale ma più “accettabile” dai gendarmi della memoria.
L’autocensura è la figlia illegittima di un preoccupante programma non troppo occulto del controllo dei pensieri delle persone.
Dalle fine degli anni Novanta il QI della popolazione dei paesi più sviluppati sta diminuendo, mentre dal dopoguerra era andato sempre aumentando. È l’inversione dell’effetto Flynn.
Uno dei motivi è l’impoverimento del linguaggio e della conoscenza lessicale causato dall’eliminazione di alcune parole. Avete fatto caso come certi vocaboli oggi siano banditi sui social network e sui quotidiani? Non si può più scrivere “fascismo” e suoi derivati. Non si può nominare Mussolini se non elogiando la «macelleria messicana» di piazzale Loreto.
La censura riguarda anche, e soprattutto, le immagini. La copertina del primo volume di Bugie Coloniali non può essere pubblicata sui social a meno di non oscurare il volto di Mussolini (e anche così spesso viene rimossa).
La graduale scomparsa dal vocabolario di nomi, sostantivi e aggettivi, eliminando molte sottigliezze linguistiche non permettono più di elaborare un pensiero complesso.
La graduale scomparsa dei tempi verbali non crea cesure temporali e rende incapaci di proiezioni nel tempo passato e futuro, appiattendo (o cancellando) la storia.
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Meno parole e meno verbi riducono la capacità di esprimere le emozioni (sui social è vietato “odiare”) e quindi limitano di nuovo la possibilità di elaborare un pensiero.
L’aumento della violenza, secondo gli ultimi studi, deriva direttamente dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole. Quelle parole che non si possono scrivere sui social, pena la sospensione del profilo.
Gli artefici dell’impoverimento dell’essere umano sono coloro che vogliono modificare la lingua abolendo i generi, i tempi, le sfumature e tutto ciò che crea complessità e diversità.
Il programma, come vedete per nulla occulto, è chiaro: senza parole (e immagini) per formulare un ragionamento, il pensiero complesso sarà reso impossibile e con l’impoverimento del linguaggio scomparirà il pensiero indipendente.
Se si azzera il pensiero, non esisteranno pensieri critici. Se vengono eliminate parole e foto di un dato periodo storico diventerà impossibile parlarne.
Senza la possibilità e la capacità di esprimere prima e comprendere dopo si renderà impossibile l’interpretazione di ciò che è stato, di ciò che è, di ciò che potrebbe essere, di ciò che sarebbe potuto accadere e di ciò che è realmente accaduto.
Come è possibile comprendere una temporalità, una successione di eventi nella storia, la loro durata relativa, se se ne parla sempre al presente? Il colonialismo è passato, finito. Il fascismo, è morto. Eppure a leggere alcuni testi e ascoltare alcuni pare siano ancora presenti.
Con battaglie striscianti vengono definite nuove verità assolute a discapito di documenti non diffusi. Le citazioni di fonti che violano questi nuovi dogmi vengano silenziate. Nuove ricerche sono vietate e contrastate. La curiosità non è ammessa.
Il termine curiosità deriva dal latino “curiosĭtas” è il desiderio di vedere, di sapere, per amore del conoscere, come stimolo intellettuale. La curiosità è stata il motore dell’evoluzione umana, della ricerca scientifica, della filosofica, della morale. Oggi non è più concessa.
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Indagare, scoprire il perché degli eventi, i meccanismi e l’ambiente che li hanno generati è vietato se mettono in discussioni i dogmi storici.
Porsi delle domande, mai dare nulla per scontato, non avere delle convinzioni, ma avere sempre dubbi, non è più concesso.
La mente non deve subire la rassegnazione: il “porta pazienza” è l’accettazione supina del volere dei prepotenti la cui unica arma è la tracotanza.
La storia codarda scritta dagli “storici della mentalità” si basa sui più banali strumenti della propaganda: primariamente creano un nemico, al quale vengono attribuite tutte le colpe, i mali e i malfunzionamenti della società, in modo da farlo diventare il catalizzatore di tutta la frustrazione e l’aggressività latente che gli individui accumulano nel corso della vita.
Sfruttando l’aspetto impulsivo è più facile provocare un corto circuito differendo l’analisi dal razionale e critico al registro emotivo dove sarà più semplice iniettare opinioni, compulsioni e indurre comportamenti di odio e discriminazione verso chi non si uniforma.
Ogni fatto negativo viene amplificato a dismisura attraverso un martellamento continuo e costante, per instillare paura e ossessioni. Un diluvio di pubblicazioni vengono promosse a rete unificate per anni consecutivi per incanalare abilmente slogan anche ai non lettori.
Una inondazione di continue distrazioni viene utilizzata per deviare l’attenzione del pubblico dai fatti reali che hanno caratterizzato un dato periodo storico e imprigionarla su singoli e singolari temi senza vera rilevanza.
Discredito integrale di idee e teorie che si discostano dal pensiero ufficiale dominante sono la norma. Le etichette come “fascista, razzista”, in virtù della semplificazione, vengono di volta in volta strumentalizzate e appiccicate a chiunque si ponga delle domande o presenti dubbi.
L’obiettivo è mantenere il lettore nell’ignoranza e nella mediocrità, in modo che sia incapace di comprendere le trappole mentali nelle quali inciampa a causa della qualità sempre più inferiore e scadente dei contenuti spingendolo a compiacersi di ripetere come un automa sempre i medesimi slogan stupidi, volgari e ignoranti.
Si inventano falsi miti per screditarli dopo, ridicolizzando storia e uomini. Si usano accuse e titoli particolarmente infantili che per suggestionabilità otterranno reazioni prive di senso critico: l’ingenuità e l’assurdo dei bambini sono spesso disarmanti per gli adulti.
E infine far credere all’individuo che fatti storici, limitati ed esauriti nel tempo, vecchi ormai quasi cento anni siano cagione di tutte le attuali disgrazie e l’ennesima manipolazione.
Testo dell’introduzione di Alberto Alpozzi al libro “Bugie Coloniali vol. 2”
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