Sgombriamo subito il campo: Sì, i gas vennero impiegati nella guerra d’Etiopia da parte dell’Italia ai danni dell’Impero Etiopico. Decine sono i libri, gli articoli e i testi che ne hanno documentato l’utilizzo. Ma quanti di questi si sono soffermati nell’analizzare anche l’altro lato del conflitto?

Nessuno storico che negli ultimi decenni si sia occupato della guerra d’Etiopia ha mai fatto una riflessione su quanto il giornalista inglese, Evelyn Waugh, inviato in Abissinia, scrisse dal fronte in quei concitati giorni, disordinati e frenetici.
Scarse informazioni giungevano dai teatri di battaglia che nessuno degli inviati poté mai raggiungere, bloccati e osteggiati dal governo del Negus Hailè Selassiè, oppressi “dal compito impossibile di trovare notizie”1.
La vera guerra si combatté prima sui quotidiani, una guerra di propaganda perché “gli abissini ci consideravano gente da sospettare, ostacolare, frustrare anche nelle intenzioni più innocenti; gente a cui mentire non appena fosse possibile di evitare di dire la verità; gente tra cui si doveva seminare la discordia…”2.
Le notizie arrivavano sempre di seconda mano dagli addetti etiopici, contraddittori e doppiogiochisti: “l’inaccessibilità dei funzionari era dovuta in parte ad uno spontaneo istinto di prevaricazione, ma ancor più alla mancanza di personale competente, difetto fatale del sistema burocratico di Addis Abeba”3.
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Il 3 ottobre 1935, dopo mesi di preparazione durante i quali gli eserciti si erano studiati e misurati, le truppe del Generale Emilio De Bono dall’Eritrea passano il fiume Mareb e il 6 giugno sono ad Adua.

“Stamattina Sua Maestà ha ricevuto un telegramma di Ras Seium dal Tigrè. Questa mattina all’alba aerei da guerra italiani hanno sorvolato Adua e Adigrat. Hanno lanciato settantotto bombe, provocando grandi perdite tra la popolazione civile. La prima bomba ha distrutto l’ospedale di Adua, in cui si erano rifugiati un gran numero di donne e bambini”4.
Il primo comunicato drammatico trasmesso raggiunse non solo tutte le redazioni dei maggiori quotidiani del mondo ma anche “Ginevra senza alcun accertamento. Quando andammo in cerca dei primi dettagli, iniziammo a nutrire seri dubbi sull’esistenza di un ospedale in quella città. Di un ospedale indigeno non c’era neppure l’ombra; nessuna unità della Croce Rossa era ancora comparsa sui campi di battaglia; nel paese le cure mediche erano interamente in mano a missionari cattolici – Cappuccini, Lazzaristi, Missionari della Consolata – o a preti protestanti, svedesi e americani, e i centri direttivi di queste organizzazioni non sapevano nulla di un ospedale ad Adua”5.
E ancora: “Qualche tempo dopo, a Dessiè, la «Croce Rossa Etiopica» si prestò ad una brillante impostura, mettendo in scena un episodio dell’eroico servizio svolto dai suoi membri sotto il fuoco nemico, con tintura di iodio al posto del sangue e fuochi d’artificio per simulare un bombardamento”6.

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Dell’ospedale di Adua non fu mai trovata traccia.
Nell’agosto 1936, prima della pubblicazione del suo “In Abissinia”, Waugh scriverà all’amica Katherine Asquith: “È stato divertente essere filo-italiano quando era una causa impopolare e (così sembrava) perdente. Ora ho pochissima simpatia per questi fascisti esultanti”8, ma nessun dogma ideologico o opinione personale gli impedì di riportare con onestà intellettuale quello che vide e documentò.
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di © Alberto Alpozzi – Tutti i diritti riservati
NOTE
1. Waugh E., Waugh in Abissinia, Sellerio Editore, Palermo, 1992, pag. 107
2. Ivi, pag. 77
3. Ivi, pag. 112
4. Ivi, pag. 133
5. Ivi, pag. 139
6. Ivi, pag. 150
7. Ivi, pag. 137
8. Ivi, pag. 19
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Non va dimenticato che l’Iitalia in Etiopia ha eliminato la schiavitù cosa invisa agli inglesi e società delle nazioni massonica judea tanto è vero che aile selassie si recò allls sede della società delle nazioni a protestare portando in dono sei dei suoi migliori schiavi.
L’ospedale fu costruito dall’Italia e non sono quello.
La storia la si studia non la si interpreta non fa politica non la si tira per la giacca la si rispetta nei fatti e nel nome di chi quelle pagine le ha vissute e scritte.
Non si processa.
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