Guerra di propaganda. Le bugie sul conflitto in Abissinia riciclate per l’Ucraina

“La storia insegna, ma non ha scolari” – Antonio Gramsi

Sulla scarsezza di informazioni dai teatri di battaglia durante la guerra d’Etiopia che nessuno degli inviati poté mai raggiungere, bloccati e osteggiati dal governo del Negus ne scrisse l’inviato inglese Evelyn Waugh che lamentava il “compito impossibile di trovare notizie”.
La vera guerra (come oggi) si combatté prima sui quotidiani. Una guerra di propaganda perché “gli abissini ci consideravano gente da sospettare, ostacolare, frustrare anche nelle intenzioni più innocenti; gente a cui mentire non appena fosse possibile di evitare di dire la verità; gente tra cui si doveva seminare la discordia…”.

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Le notizie arrivavano sempre di seconda mano dagli addetti etiopici, contraddittori e doppiogiochisti: “l’inaccessibilità dei funzionari era dovuta in parte ad uno spontaneo istinto di prevaricazione, ma ancor più alla mancanza di personale competente, difetto fatale del sistema burocratico di Addis Abeba”.
Quando il Regio Esercito raggiunse Adua gli inviati in Etiopia, distanti dalla linea del fronte, che mai raggiungeranno, vennero convocati: “Stamattina Sua Maestà ha ricevuto un telegramma di Ras Seium dal Tigrè. Questa mattina all’alba aerei da guerra italiani hanno sorvolato Adua e Adigrat. Hanno lanciato settantotto bombe, provocando grandi perdite tra la popolazione civile. La prima bomba ha distrutto l’ospedale di Adua, in cui si erano rifugiati un gran numero di donne e bambini”.
Il primo comunicato drammatico trasmesso raggiunse non solo tutte le redazioni dei maggiori quotidiani del mondo ma anche “Ginevra senza alcun accertamento. Quando andammo in cerca dei primi dettagli, iniziammo a nutrire seri dubbi sull’esistenza di un ospedale in quella città. Di un ospedale indigeno non c’era neppure l’ombra; nessuna unità della Croce Rossa era ancora comparsa sui campi di battaglia; nel paese le cure mediche erano interamente in mano a missionari cattolici (Cappuccini, Lazzaristi, Missionari della Consolata) o a preti protestanti, svedesi e americani, e i centri direttivi di queste organizzazioni non sapevano nulla di un ospedale ad Adua”.
E ancora: “Qualche tempo dopo, a Dessiè, la «Croce Rossa Etiopica» si prestò ad una brillante impostura, mettendo in scena un episodio dell’eroico servizio svolto dai suoi membri sotto il fuoco nemico, con tintura di iodio al posto del sangue e fuochi d’artificio per simulare un bombardamento”.

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Continua Waugh: “da quel momento fino all’epilogo – e a dir la verità anche molto dopo l’epilogo – l’unico dipartimento del governo etiopico che funzionò con una certa efficienza fu quello addetto alla propaganda. Il suo obiettivo era il solito: mostrare un nemico spietato e insieme impotente. All’esercito invasore si attribuirono slealtà, codardia, estrema fragilità fisica, e crudeltà; ai difensori, moderazione, coraggio, saggezza, e un successo costante; tra le vittime si annoverano quasi solo donne, bambini e personale medico. Queste sono di norma le finalità di una campagna propagandistica in tempo di guerra: gli etiopici seppero perseguirle in modo non disdicevole”.
Dell’ospedale di Adua non fu mai trovata traccia.
La sua testimonianza è pubblicata in Italia in Waugh in Abissinia1 da Sellerio Editore nel 1992.
Sulla questione del bombardamento degli ospedali c’è anche la testimonianza2 di Strachey Barnes, corrispondente inglese per la Reuter sul fronte Meridionale.
Dichiarò: «l’asserzione che gli aeroplani italiani bombardassero deliberatamente gli ospedali non merita nemmeno di essere presa in considerazione3».
Proseguiva così: «Non ho mai trovato uomini più cavallereschi. Pensare sia pure per un momento che fossero capaci di lasciarsi trascinare a commettere una qualsiasi azione di terrorismo è una calunnia mostruosa che fa ribollire il sangue a chiunque li conosca.
A volte possono essersi commessi errori […] Ma insinuare che questi posti fossero stati colpiti a bella posta è assurdo […] Ci possono essere stati degli altri casi in cui le bombe, lanciate da grande altezza, cadessero dove non erano dirette ed anche degli errori dovuti al fatto che gli Abissini, specialmente all’inizio della campagna – come attestano gran numero di testimonianze straniere – dipingevano la Croce Rossa su ogni genere di edifici e di tende che non ne avevano per nulla il diritto […].
Più tardi gli Abissini, specialmente sul fronte meridionale, in seguito alle rimostranze degli agenti consolari delle Potenze neutrali, abbandonarono questo menzognero mascheramento, ma cominciarono invece a mettere le loro unità della Croce Rossa vicino alle tende dei quartieri principali degli ufficiali di Stato Maggiore e ad altri impianti puramente militari».
Barnes fu uno dei giornalisti firmatari del telegramma attestante l’uso delle palle dum-dum da parte degli abissini.

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Pochi giorni dopo la proclamazione dell’Impero italiano il noto scrittore e drammaturgo George Bernard Shaw pubblicava un articolo critico contro il governo inglese per la condotta nei riguardi dell’Italia. Shaw fu sempre un sostenitore del fascismo, come si evince già dai suoi articoli nel 1927 pubblicati sulle pagine del Manchester Guardian e del The Nation nei quali sottolineava come Mussolini avesse salvato l’Italia dall’anarchia del periodo postbellico e ne avesse risanata l’economia.
In Inghilterra era tra i pochi ad appoggiare Mussolini: “l’opinione pubblica era per la quasi totalità contro l’Italia fascista”4
Scriveva il 25 maggio 19365: «Richiamo l’attenzione sopra una forma di crudeltà praticata contro gli abissini in un modo raffinato. Mi riferisco alle illusioni che sono state date all’ex negus facendogli credere che egli sarebbe stato aiutato, nella sua resistenza senza speranze contro la conquista italiana, dalla S.d.N. e dagli eserciti e dalle marine della Gran Bretagna, della Francia e della Russia, messe a disposizione della Lega. Non vi è stata mai la più lontana probabilità d’un simile intervento».
Nel medesimo anno Gayda scriveva: «Quando si scriverà la storia politica di questo oscuro momento dell’Africa Orientale emergerà, nella sua luce cruda, la responsabilità che tutti questi agitatori e polemisti filoetiopici si sono assunti nel corso degli avvenimenti. Volendo premere per la conciliazione essi hanno fatto tutto il possibile per renderla irraggiungibile, con l’insopportabile atteggiamento dell’Etiopia, incoraggiata dalla illusione di alte e sicure protezioni.
Anche qui i fatti parlano chiaro. Da quando le incaute voci britanniche si sono elevate, sia pure inutilmente, contro la politica difensiva italiana, il tono della politica etiopica si è fatto più sprezzante e provocante. Subito dopo l’asserito trionfo dello spirito di conciliazione delle deliberazioni di Ginevra, che taluni zelatori britannici hanno voluto definire come un successo etiopico, nella zona di Gondar, dove si sono intensificati gli ammassamenti di truppe abissine […]
Quanto più il problema etiopico, nei suoi rapporti con l’Italia, si è complicato per estranei interventi europei, tanto più imponeva, per un imperativo logico, una soluzione netta e definitiva che eliminasse minacce, equivoci, complicità e restituisse la chiarezza dei rapporti e delle posizioni all’Europa, senza diversivi africani, e assicurasse all’Italia in Africa gli interessi e i diritti che sono suoi. La polemica della stampa internazionale e i suoi indirizzi di vaga e vana intimidazione non potevano né arrestare nè deviare l’azione italiana. Se mai, hanno giustificata una sua più ferma e intransigente risolutezza»6.

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Prosegue Shaw: «…si andrà ancora alla riscossa dell’ex Negus, come vuole il signor Eden, e si continuerà a propinargli delle iniezioni di illusioni come sono state le immaginarie vittorie abissine pubblicate sui giornali inglesi? Non sarebbe stato più onesto dirgli francamente che egli non aveva alcuna probabilità di successo e che avrebbe fatto meglio a partire subito per la Palestina invece di aspettare a scappare dall’Etiopia davanti alla rivolta dei suoi combattenti come fecero Luigi Napoleone e il Kaiser? Si sarebbero così salvati mesi e mesi di combattimenti e non si sarebbe fatto tanto cattivo sangue nelle relazioni fra la Gran Bretagna e l’Italia. È inutile rimproverare agli italiani l’uso dei gas asfissianti quando i nostri arsenali sono pieni di tale materiale pronto ad essere rovesciato sui nostri vicini civilizzati7.
Io dissi questo sin dall’ottobre scorso: perché chi aveva il buon senso non è stato ascoltato? Ma è inutile parlare di questo: ciò che è fatto è fatto. Guardiamo piuttosto al futuro.
La conquista italiana dell’Abissinia è completa ed irrevocabile, ma noi continuiamo ad ignorare questo fatto e mandiamo ancora il signor Eden a Ginevra a discutere sulla situazione con dei rappresentanti dell’ex Negus ed a presentare orgogliosamente il suo posteriore a Mussolini: la prontezza e il vigore con cui il Duce prende a calci non possono essere graditi al signor Eden, mentre rendono ridicola la S.d.N. e il Gabinetto britannico agli occhi dell’Europa».
Quando Shaw scrive di aver sempre sostenuta la stessa tesi non mente. Infatti il 7 aprile 1935 aveva scritto un articolo in cui diceva: «Sarebbe una pazzia voler dichiarare la guerra a Mussolini per l’Abissinia. Noi abbiamo conquistato vaste regioni del mondo abitate da gente di colore. Mussolini potrà fare altrettanto».
Ed ancora il 27 ottobre del 1935 sempre Shaw aveva scritto: «Noi dobbiamo fare una cosa sola. Rimanere assolutamente al di fuori del conflitto fra l’Italia e l’Abissinia e preoccuparci di rimanere in buoni rapporti con l’Italia. Se vogliamo opporci, sarebbe molto più leale mobilitare e combattere Mussolini in battaglia aperta per l’egemonia del globo».

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Fu la guerra un’aggressione8? Si indubbiamente, come tutte le guerre di espansione che la storia dei popoli ricordi, proprio come quelle condotte negli anni precedenti dagli eserciti etiopi guidati da Menelik, il predecessore di Selassiè, che dal 1887 al primi anni del Novecento si spinsero sempre più a sud e a ovest, saccheggiando e depredando, «incorporando – scrive Angelo Del Boca – le ricche regioni dell’Harar, del Caffa, del Welega, dell’Ilubabor, dell’Arussi, del Gemu-Goffa e anche quelle più povere dell’Ogaden, del Bale e del Sidamo. L’espansionismo etiopico si ferma soltanto ai confini dei possedimenti inglesi, francesi e italiani, ma il progetto di Menelik era molto più ambizioso: mirava al Mar Rosso e all’Oceano Indiano, ossia ad inglobare anche l’Eritrea e le tre Somalie».
L’Italia invase indubbiamente l’Etiopia sotto l’idea di una spinta demografica e alla ricerca di risorse, esattamente come fece Menelik con la conquista dei nuovi territori per risolvere i suoi problemi economici sfruttando le risorse delle regioni annesse e la forza-lavoro delle popolazioni schiavizzate.
Per l’Italia fu una guerra con un grandissimo consenso popolare, seguitissima anche grazie alla copertura mediatica che la stampa diede agli eventi bellici con la presenza sui campi di battaglia di numerosi inviati di guerra.
Erano presenti le agenzie stampa Havas, Reuter, United Press, International News e 12 case cinematografiche fra cui la Metrotone New, Paramount New, Fox Movietone e la Universal New. Per l’Italia l’Istituto Luce9.
Erano rappresentati circa 300 giornali da 40 giornalisti esteri e “l’opinione pubblica mondiale era schierata apertamente con l’Abissinia”10.
Per l’Italia la principale agenzia stampa fu la Stefani (divenuta poi ANSA a fine aprile 1945) diretta da Rodolfo Boudet. Il Corriere della Sera, fu il quotidiano con il maggior numero di corrispondenti.

“Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla” Antonio Gramsci

di Alberto Alpozzi

NOTE
1. In Inghilterra venne commercializzato nel 1936. Nell’agosto dello stesso anno, prima della pubblicazione Waugh scrisse all’amica Katherine Asquith: «È stato divertente essere filo-italiano quando era una causa impopolare e (così sembrava) perdente. Ora ho pochissima simpatia per questi fascisti esultanti».
2. Strachey Barnes J., Half a life left, Eyre and Spottiswoode, London, 1937.
3. Dichiarò: «Non comunicai mai altro che la verità e tutta la verità riguardo alla guerra. La Reuter però non voleva saperne». A fine guerra venne licenziato.
4. Mockler A., Il mito dell’Impero, Rizzoli, Milano, 1977.
5. Il Giornale di Addis Abeba.
6. Gayda V., Italia Inghilterra Etiopia, Edizioni Sud, Roma, 1936.
7. Nel 1920 Winston Churchill disse: «Non capisco questa poca simpatia per l’uso del gas. Alla Conferenza di pace abbiamo decisamente adottato la posizione di sostenere la conservazione del gas come metodo di guerra. È pura affettazione lacerare un uomo con il frammento velenoso di un guscio che scoppia e affannarsi a far lacrimare i suoi occhi per mezzo di gas lacrimatorio. Sono decisamente favorevole all’uso di gas avvelenato contro le tribù incivili. L’effetto morale potrebbe essere così buono che la perdita di vite umane verrebbero ridotte al minimo. Non è necessario utilizzare solo i gas più letali: si possono usare gas che causano grandi disagi e diffondono terrore, senza tuttavia lasciare gravi effetti permanenti sulla maggior parte delle persone colpite». Dichiarazione in Roberts A., Churchill: Walking With Destiny, London, Allen Lane, 2018.
8. “È ben sorprendente che uno Stato come l’Italia, madre in ogni tempo di civiltà, venga accusato di essere aggressore per una di quelle imprese coloniali le quali, pur determinate da necessità imperiose di difesa e d’espansione, sono state e sono titolo d’onore delle più grandi Nazioni d’Europa. E per l’Italia non poteva essere più oltre differito il tempo della giustizia, di quella superiore giustizia che l’alto senno del nostro Re or non è molto invocata inaugurando la nuova sede dell’Università di Roma” – Guglielmo Marconi, intervento alla Reale Accademia d’Italia del 19 gennaio 1936.
9. Vennero girati 60 km di pellicole e prodotti 70.000 negativi, distribuendo 350.000 fotografie in tutto il mondo.
10. Mascia R., I giornalisti alla conquista dell’Impero, Terziaria, Milano, 2003.

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One thought on “Guerra di propaganda. Le bugie sul conflitto in Abissinia riciclate per l’Ucraina

  1. CARO ALBERTO, TI RINGRAZIO PER LA TRASMISSIONE VIA -MAIL DI QUESTO ARTICOLO …. COMPLIMENTI VIVISSIMI PER LA RICERCA STORICA CHE HAI SVILUPPATO E CHE DELINEA UNA REALTA’ BEN DIVERSA DA QUELLA CHE CI HANNO RACCONTATO ….. HAI RAGIONE, LA “STORIA COLONIALE” E’ TUTTA DA RISCRIVERE ! ! !

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