Ad Angelo Del Boca non mancano franchezza e spirito autocritico:
«Lo ammetto, nelle mie ricostruzioni sulla guerra in Africa orientale mi sono schierato dalla parte degli etiopi. Sono da sempre un nemico del colonialismo e mi sembrava giusto sottolineare soprattutto le nostre responsabilità di Paese cosiddetto civile rispetto a popolazioni che avevamo aggredito con estrema violenza. Inoltre avevo un’enorme ammirazione per il negus Hailé Selassié e questo mi confortava nell’idea che bisognava evidenziare in primo luogo i crimini italiani».
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L’ammissione del famoso storico, pioniere degli studi sulla presenza italiana in Africa, conforta le tesi di un libro di Federica Saini Fasanotti, pubblicato dall’Ufficio storico dello Stato maggiore dell’Esercito: E
tiopia 1936-1940. Le operazioni di polizia coloniale nelle fonti dell’ esercito italiano pp. 524, Euro 25.
Si tratta di una ricostruzione minuziosa, in cui l’ autrice condanna l’aggressione fascista e riconosce le numerose atrocità compiute dalle nostre forze armate, ma
si sofferma anche sulla ferocia degli insorti etiopi, a suo avviso sottovalutata dalla storiografia, ricordando per esempio l’uso di mutilare i cadaveri del nemico e le ripetute violenze verso i civili. Se Del Boca accetta, almeno in parte, queste critiche, diverso è l’atteggiamento di Matteo Dominioni, autore del saggio
Lo sfascio dell’ impero Laterza: «Sono lieto che l’Ufficio storico dell’ esercito abbia prodotto quest’opera, frutto di un profondo scavo archivistico, che colma un vuoto pluridecennale. Mi pare però un lavoro vecchio, di stile coloniale, che tende a giustificare gli eccessi italiani sulla base dell’arretratezza e dei costumi guerrieri tipici della società aggredita. Noi studiosi del colonialismo non abbiamo mai negato che gli abissini fossero un popolo bellicoso, capace di gesti brutali, né presentato gli insorti come stinchi di santo. Io ho parlato di una vera e propria guerra civile tra etiopi provocata dall’occupazione straniera. Ma quando s’invade un Paese, è logico che ne consegua un conflitto spietato. E nel ricostruire la storia non ci si può basare solo su documenti italiani: bisogna considerare anche il punto di vista dell’altra parte». Insomma, oggi è ancora molto
difficile parlare di colonialismo, soprattutto quando lo si vuole collocarlo solamente nella sfera del fascismo…
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Il libro di Federica Saini Fasanotti richiama anche le disposizioni impartite da alti ufficiali dell’ esercito affinché gli indigeni fossero trattati umanamente. Lo stesso viceré
Rodolfo Graziani, noto per le durissime rappresaglie ordinate in seguito all’attentato da lui subito nel febbraio 1937, firmò alcuni mesi dopo, il 31 ottobre, un telegramma in cui auspicava
«larga generosità e perdono». Tuttavia Del Boca non considera quel documento realmente significativo: «Graziani aveva sulla coscienza massacri spaventosi, come l’eccidio di massa dei monaci copti di Debrá Libanós, e la sua presunta resipiscenza non convince. Ormai era in disgrazia presso Mussolini, a causa degli effetti pessimi della sua politica, e cercava di mettere le mani avanti. Ma non servì, perché venne sostituito poco dopo dal duca Amedeo d’Aosta». Proprio sul successore di Graziani Federica Saini Fasanotti esprime un giudizio positivo, per la capacità del duca d’instaurare rapporti migliori con gli africani e di combattere la guerriglia in modo efficace, tanto da far pensare che, se non fosse scoppiata la Seconda guerra mondiale, l’insurrezione sarebbe andata scemando fino a esaurirsi.
Del Boca è d’accordo solo in parte: «Senza dubbio con Amedeo d’ Aosta la situazione cambiò. Ma anche sotto di lui proseguì l’uso dei gas tossici contro gli etiopi. E la rivolta,

dopo una flessione nel 1938, riprese forza nel 1939. Secondo me non si sarebbe arrivati a sgominarla del tutto, anche se non fosse scoppiata la guerra con la Gran Bretagna. Ritengo piuttosto che Mussolini, preoccupato per la gran quantità di risorse assorbita dal conflitto, avrebbe cercato un accordo con Hailé Selassié. C’erano delle trattative in corso per un suo ritorno in Etiopia. Il negus avrebbe dovuto rinunciare alla corona imperiale, ma in cambio avrebbe ottenuto il governo della parte centrale del Paese, lo Scioa, sotto la sovranità italiana». Analogo il giudizio di Dominioni: «Amedeo d’Aosta impostò una politica più rispettosa verso gli etiopi, ma al suo fianco c’era il generale Ugo Cavallero, che attuò repressioni efferate. E non credo si possa dire che nel 1940 la guerriglia fosse sulla via della sconfitta: l’anno più difficile per i ribelli fu il 1938, anche a causa della carestia che infuriava in Abissinia».
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di © Alberto Alpozzi – Tutti i diritti riservati
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