Dal “nostro inviato” in Africa Orientale. Dalla Somalia una testimonianza passando attraverso Gibuti e volando sul Corno d’Africa per giungere infine a Mogadiscio, oggi nel caos per i molteplici attacchi terroristici di Al-Shabab

“Non appena atterrati all’aeroporto internazionale, ci allontaniamo per dirigerci in albergo e noto subito un cartellone pubblicitario (foto 1) in cui si pubblicizza la ferrovia Djibouti-Etiopia, appena rifatta. Ricordo qualche anno fa in che condizioni versava: binari malandati ed abbandonati, in alcuni tratti coperti da vegetazione e rottami di ogni tipo. Ora con i soldi e il lavoro made in China è una signora ferrovia a tutti gli effetti: carreggiate ferroviarie pulite e spianate, rotaie nuove e lucenti, cavalcavia rialzati per la circolazione stradale.
La stessa città, dalla mia ultima visita mi è parsa migliorata. Più ordinata, meno sporca e malandata, qualche strada asfaltata in più. Djibouti pur essendo un tranquillo paese misto arabo/africano/europeo, in cui musulmani e cristiani convivono tranquillamente, è pur sempre uno dei paesi più corrotti del mondo ed è un’autentica discarica a cielo aperto. Basta aggirarsi per i sobborghi di Balbala, baraccopoli popolata dai profughi somali fuggiti dal loro paese (foto 2 e 3), per notare montagne di rifiuti di ogni genere, sopratutto di auto e camion”.
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“Qualche giorno dopo riprendiamo l’aereo, direzione Mogadiscio. In volo riesco a scattare una foto della zona di costiera nord-est della regione di Bari, fra Caluula e Bereeda (foto 4). Speravo di vedere Capo Guardafui ma l’aereo vira decisamente a sud in mezzo ai deserti e perdo di vista la costa (foto 6)”.

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“Atterriamo finalmente a Mogadiscio, la cui pista, a metà, è minacciata dalle onde che rosicchiano la costa. Il tempo è piuttosto fresco, il vento sempre abbastanza forte, ma nel complesso si sta molto meglio rispetto che a Gibuti. L’aeroporto “Aden Abdulle” è stato migliorato parecchio, il terminal è stato rimodernato con ampie vetrate e la torre di controllo adesso ha un aspetto degno di tale nome (foto 7, in costruzione, foto 8, completato). La zona industriale ad ovest dell’aeroporto è stata ampliata.

Ritrovo anche il tecnico che tre anni fa mi raccontò della Somalia italiana chiedendomi come mai fossimo andati via e non siamo più ritornati ad interessarci della loro terra, ma è impegnato e possiamo scambiare solo quattro chiacchiere. Mi fa capire che con il coinvolgimento massiccio di Cina e Turchia, la città di Mogadiscio sta risorgendo (forse con uno slancio d’entusiasmo un po’ eccessivo).


La domanda poi va a ricadere sempre li: chissà cosa sarebbe successo se li fossimo rimasti noi. Anche se, ad essere realisti, si è già visto che soffiare sulle rivoluzioni talvolta è molto semplice e la storia coloniale italiana, seppur molto “onesta” in confronto a quella delle altre superpotenze europee, ne è stata testimone”.
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