La bufala dei 2.000 morti somali per la costruzione della diga di Genale – Parte SECONDA

Prosegue da La bufala dei 2.000 morti somali per la costruzione della diga di Genale (Parte PRIMA)

Gli interessati alla questione dell’ipotetico massacro, noto in somalo come “Keli Asayle” e in italiano “Canale del lamento” o “Canale delle vedove” sappiano che sono attese ancora delle risposte da parte di chi sostiene la veridicità di questo evento.
Intanto, in assenza di risposte e prove, il signor Ibrahim Abdulrahman Abdbi, in giro per varie pagine e gruppi di Facebook, seguita con la sua azione di disinformazione. Uno degli ultimi suoi interventi (questa volta in inglese) parla di “crime against humanity” (crimine contro l’umanità) e “genocide” (genocidio) commesso dai “fascisti italiani”. D’altronde “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità” e il web in questo aiuta molto i disinformatori seriali.
Le domande che attendono una risposta per esempio sono:

  1. Quando accadde: anno, mese e giorno?
  2. Quante persone morirono: 10, 100 o 1.000?
  3. Dove sono state seppelliti (o bruciati) i corpi delle ipotizzate 2.000 vittime?
  4. Perché non ci sono documenti, telegrammi, foto, notizie?

Sarebbe sufficiente rispondere a queste banali domande per poter verificare i fatti. Ma nulla di tutto ciò trova riscontro e nessuno ancora ha fornito delle prove. Per ora, anche solo usando il buon senso, questa storia dunque resta una bufala. Anche di cattivo gusto.

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Quale mente sadica può partorire un’idea tanto assurda come quella ripetuta dal signor Ibrahim Abdulrahman Abdbi: “furono costretti a sdraiarsi e fermare le forti inondazioni con i loro corpi come sacchi di sabbia”.
Ad ogni nuovo intervento il signor Ibrahim, aggiunge sempre un pezzetto nuovo per infarcire la sua storiella, per la quale lui stesso scrive “credendo sia accaduta”.
Ed ecco che un canale di irrigazione, uno dei molti delle concessioni agricole di Genale, lungo 20 km “è stato scavato a mano e da manodopera non son state utilizzate macchine”.
La fantasia certo non manca per scrivere (e inquinare) ogni giorno un pezzetto di storia. Ma è facile farlo in una cornice dorata come quella in cui il signore risiede. Ibrahim, originario di Bulo Burti, in Somalia, risiede a Gedda, in Arabia Saudita, da dove forse non ha accesso ad archivi italiani. È sufficiente aprire qualche testo o rivista d’epoca (molte si trovano online e l’Uni3 di Roma in questo ha svolto un encomiabile lavoro di digitalizzazione di immagini) per scoprire come i somali non fossero costretti a lavorare a mani nude e come, seppur limitatamente ai costi, vennero impiegati trattori e caterpillar per lo scavo dei canali, più indubbiamente il classico lavoro di pala e piccone.

Non è mia abitudine liquidare le questioni con leggerezza. Quindi ho approfondito ulteriormente la questione. Conoscendo il periodo e i luoghi dove in quegli anni vennero svolti i lavori per la nuova diga e prossimi alla diga stessa, mi sono messo al lavoro.
Ripeto, come già sottolineato nel precedente articolo, che di tale ipotetico incidente non vi è traccia, nemmeno una menzione nei testi del Del Boca che, ricordiamolo, non ha mai risparmiato critiche al governatore de Vecchi, e senza aver mai nascosto le sue posizioni antifasciste e anticolonialiste.
Ho verificato quindi su “Orizzonti d’Impero – Cinque anni in Somalia”1 proprio del de Vecchi, fonte spesso utilizzata dallo stesso Del Boca, così come i diari2 privati del de Vecchi. In entrambi non vi è traccia di un massacro di operai indigeni o di incidenti rilevanti durante i lavori. Si potrebbe obiettare che non fu trascritto per convenienza. E come si sarebbero potuti nascondere 2.000 morti e tutte le persone coinvolte?
Ho consultato ancora i diari3 di Giorgio, figlio del Governatore, che risiedette in Somalia col padre (e con tutta la famiglia).
Una scoperta! Ora posso ipotizzare di aver trovato l’elemento che ha stimolato la fantasia di chi inventa bufale storiche e in particolare quella di Ibrahim per poter costruire la leggenda (oggi si chiamano bufale o fake news) del “Keli Asayle”.
Riporto per esteso. Siamo nel 1926 (signor Ibrahim Abdulrahman Abdbi si appunti la data):

20 Giugno – Domenica
“Genale. Oggi è il gran giorno dell’apertura dell’acqua al 1° Secondario, cosa alla quale nessuno crede. Tutti questi concessionari lavorano sì per loro, ma certe volte, come adesso, sono così lazzaroni da bastonarli. Nessuno è venuto a vedere l’acqua entrare nel canale che bagnerà i loro raccolti, nessuno sì è occupato di niente. Alle sette precise Papà ha aperto la paratia e l’acqua è entrata. Intanto di acqua ne è venuta anche abbondante dal cielo. Però gli argini, fatti da vari mesi e non usati avevano dei buchi di animali ed in qualche punto hanno ceduto. Così durante la mattinata ho visto ed ho aiutato a chiudere vari fontanazzi. Poi a mezzogiorno siamo andati tutti a Genale dove il lavoratori (circa diecimila) hanno sfilato facendo fantasia perché è la festa dell’Aràfa, loro Capodanno. Verso sera abbiamo riaperto la paratia e siamo scesi da Genale a Caitoi, seguendo l’acqua che si faceva la strada sul fondo asciutto. Siamo arrivati che era già alta la luna, verso le otto. Dopo pranzo siamo andati più a valle a vedere quanta strada aveva fatto l’acqua. Ad un certo punto non c’era ancora. Papà mi ha mandato di fretta a Genale a dire che aprissero di più le paratie, ma mi hanno risposto che le avevano chiuse del tutto perché un gran pezzo d’argine era crollato. Sono tornato a dirlo a Papà e siamo andati sul posto. Per evitare maggiori guai si sono dovuti mandare a prendere nel paese, mentre facevano fantasia, cinquanta lavoratori e sotto la azione di Riccardo, di Roviera e mia si sono messi a ricostruire con sacchetti e fieno tolto dai prati vicini il tratto d’argine crollato: circa venti metri. Faceva uno strano effetto vedere questa gente che si era spogliata nuda, al lume dei fanùs lavorare affondati nell’acqua talvolta fino al ventre. Dava l’idea di una bolgia infernale di quelle delle illustrazioni del Doré. Abbiamo lavorato cosi fino alle tre, nell’acqua anche noi. Ma sappiamo già che domani ci guarderanno come i fessi.”

Ecco dunque come la fantasia di un bambino, magari e giustamente colpito da un evento fuori dal comune, possa trasformarsi e ingigantirsi. Crescendo poi i ricordi mutano, assumono altri contorni. Qualcuno potrebbe indurre interpretazioni dei ricordi stessi… e la fake news è servita.
“Un pezzo di argine era crollato”. Lo scrive chiaramente Giorgio, figlio del Governatore. Così lui insieme a due altri italiani e cinquanta (50) indigeni “si sono messi a ricostruire con sacchetti e fieno tolto dai prati vicini il tratto d’argine crollato” ma non che gli uomini furono usati come sacchi di sabbia per fermare l’acqua.
Così come osservare nelle luce nottura, solo al “lume dei fanùs lavorare affondati nell’acqua talvolta fino al ventre”, possa aver impressionato gli occhi di un bimbo. Sicuramente temeva che il padre affogasse e quindi negli anni, di bocca in bocca, la bufala ha iniziato a prendere forma.

Ma non finisce qui. Leggiamo insieme sempre il diario di Giorgio. Il giorno seguente:

21 Giugno – Lunedì

“Genale. Festa onomastica di Marisa e del Nonno (San Luigi). Risalendo a piedi il canale fino a Caitoi, verso le otto del mattino, ho dovuto dirigere la chiusura di un altro fontanazzo. Da Caitoi siamo poi andati a vedere con Papà come andavano le cose. Vicino a Misciane c’erano delle altre perdite. Abbiamo proseguito fino a Nagadi dove c’era già l’acqua, poi ancora fino all’Azienda di Rodolfo Lanza dove l’acqua arrivava allora. Quelli erano tanto convinti che non si sarebbe data l’acqua, ieri, che non solo non si sono mossi, ma non avevano nemmeno chiuso i loro canali. Se non fossero capitati tanti guai, durante la notte sarebbero restati allagati. Che magnifica lezione! Nel pomeriggio siamo partiti tutti per Mogadiscio.”

Fine. Il genocidio non è avvenuto. Nessun morto. Nessun massacro. Solo qualche perdita d’acqua qui e là riparata.

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Ma non ho terminato ancora i miei approfondimenti. Il beneficio del dubbio lo concedo sempre. A tutti. Anche al signor Ibrahim Abdulrahman Abdbi. Anche dopo che mi ha insultato e calunniato.
Negli anni avevo letto di allagamenti dovuti alle piene dell’Uebi Scebeli: detriti, piogge…
Così ho trovato per l’anno 1931-32 la spesa di L. 500.000 per la realizzazione di “Scaricatore ed arginatura dell’Uebi Scebeli a monte della diga di Genale. Con questi lavori si sono evitati i periodici allagamenti che si producevano durante le piene de fiume e nello stesso tempo si è potuto mantenere un livello d’acqua elevato a monte della diga di Genale consentendo così una più vasta irrigazione della zona delle concessioni”4.
Nello stesso volume ho trovato anche un’interessante foto di lavoratori somali che in segno di festa con le pale in aria, salutano il fotografo. Invece nel mio archivio ho trovato una foto realizzata da Carlo Pedrini ritraente operai somali che festosamente accolgono il Governatore de Vecchi in visita a Genale durante i lavori per i nuovi canali. (Entrambe le foto sotto, dopo le note)
Passatemi l’ironia: indubbiamente somali schiavizzati e costretti nei cantieri. Tutti operai che, dopo il massacro “Keli Asayle”, accettarono ugualmente di lavorare per i fascisti italiani.

In ogni caso resto a disposizione di chi, più di me, avrà approfondito la questione e potrà fornire documenti comprovanti il “genocidio” e il “massacro” del Keli Asayle. LEGGI QUI LA PRIMA PARTE DELL’ARTICOLO

di Alberto Alpozzi

NOTE
1. De Vecchi di Val Cismon C.M., Orizzonti d’Impero, Mondadori, Milano, 1935
2. De Vecchi di Val Cismon C.M., Memorie (Versione integrale), Grafica Editrice Romana, Roma, 2017
3. De Vecchi di Val Cismon G., Diario 1911-1932, Editrice Dedalo, Roma, 2009
4. Rava M., Somalia Luglio 1931-IX – Luglio 1934-XII (Opere pubbliche e servizi pubblici), Regia Stamperia della Colonia, Mogadiscio, 1934

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