Italiani brava gente? È tutto vero quello che sai sul colonialismo?

Denis Mack Smith storico britannico, classe 1920, laurea a Cambridge, membro della British Academy, del Wolfson College dell’Università di Cambridge, dell’All Souls College dell’Università di Oxford e dell’American Academy of Arts and Science, specializzato in storia italiana ha scritto molto sul fascismo e nel suo libro “Le guerre del Duce” scrive anche del colonialismo italiano.
Dopo gli autori italiani che ci hanno raccontato per decenni la nostra avventura in Africa è interessante anche leggere autori stranieri che fanno il punto su quello che fu il colonialismo italiano scevro dalla passione viscerale che ci contraddistingue. E scoprire QUI anche quali furono le vere cause dello scoppio della guerra d’Etiopia.

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Genale lavori di costruzione della diga sull'Uebi Scebeli2 settembre 1926

Nel III capitolo “Colonie (1922-1932)” a pag. 46 dell’edizione Laterza del 1976, Mack Smith scrive: “Nelle colonie furono riversati ininterrottamente fiumi di denaro, con guadagni assai scarsi, e la bilancia commerciale, a dispetto di tutte le speranze, in nessun momento favorevole all’Italia. Gli amministratori coloniali italiani fecero spesso un buon lavoro e talvolta ottimo. Costruirono vaste reti stradali; e in qualche caso le popolazioni ricevettero – dall’abolizione giuridica della schiavitù, dal controllo delle epidemie e delle carestie e dall’amministrazione della giustizia – vantaggi più concreti che le popolazioni delle vicine colonie britanniche. Il contenimento delle guerre intertribali in Somalia fu un risultato importante” e ancora ricorda come dagli italiani “furono concesse, in una misura inconsueta negli imperi coloniali dell’epoca, le libertà di espressioni, di riunione, di insegnamento e di proprietà”.
Conclude: “…l’Italia fascista fu più generosa di ogni altra potenza, e i risultati furono talvolta imponenti […] Un gran numero di disoccupati fu importato dall’Italia per costruire alberghi, ospedali, scuole e quattromila chilometri di strade asfaltate.” Mogadiscio Bambini somali e italiani nell'aula di una scuolaAffermazioni quelle di Mack Smith che trovano conferma in quelle dello scrittore, suo connazionale, Evelyn Waugh che già nel 1936, l’anno della conquista dell’Etiopia e la fondazione dell’Impero, sciveva nel suo libro “In Abissinia”: “L’idea di conquistare un Paese per andarci a lavorare, di trattare un impero come un luogo dove bisognava portare delle cose, un luogo che doveva essere fertilizzato, coltivato e reso più bello, invece di un luogo da cui le cose era possibile portarsele via, un luogo da depredare e spopolare; l’idea di lavorare come schiavi invece di starsene sdraiati ad oziare come padroni tutto questo era completamente estraneo ai loro pensieri. E invece è il principio che sta alla base dell’occupazione italiana.”
Italiani brava gente? Imperfetti sicuramente, come tutti ovviamente, ma di certo migliori di come si descrivono da sé…
Il giornalista Paolo Monelli, inviato di guerra in Etiopia nel 1935 scriveva: “Arcù. Fu la prima parola che si imparò in Africa Orientale, sbarcandovi nel 1935, soldati, guidatori d’autotreni, scaricatori di porto, operai delle imprese stradali; Arcù, dicevano battendo la mano sulla spalla dell’indigeno; ‘siamo amici’, e ci disprezzavano in cuor loro gli inglesi confinanti, ammonendoci che all’indigeno non si deve professare amicizia né dare confidenza: ‘e poi li pagate troppo e li viziate’.

di © Alberto Alpozzi  – Tutti i diritti riservati  

“L’ultima cosa che desidero è avere noie con i nativi. Gli italiani li reclutano trattandoli decentemente quindi anche noi dobbiamo fare altrettanto”. Da “I due nemici” di Guy Hamilton, 1961, con David Niven e Alberto Sordi.

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14 thoughts on “Italiani brava gente? È tutto vero quello che sai sul colonialismo?

  1. Anche il Negus ringraziò (con un ghigno) gli italiani, per avergli lasciato un paese migliore (almeno per quanto riguarda le infrastrutture) di quello che avevano trovato.

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