La Somalia è una creazione italiana e fascista realizzata dal Quadrumviro della Marcia su Roma Conte Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon tra il 1923 e il 1927.
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Il Quadrumviro C.M de Vecchi di Val Cismon, il 23 marzo 1928, con la conclusione della visita ufficiale in Colonia del Principe di Piemonte Umberto di Savoia chiedeva a Mussolini, capo del Governo, di essere esonerato dalla carica di governatore della Somalia italiana.
Fu nominato governatore cinque anni prima, nell’ottobre 1923, come successore del Commendatore Carlo Riveri. Rimpatrierà il 4 Maggio 1928 lasciando l’incarico di governatore della Colonia al 1° giugno successivo; gli succederà Guido Corni.

L’8 dicembre, sbarcava così a Mogadiscio il Quadrumviro Cesare Maria de Vecchi, settimo governatore della Somalia e primo governatore fascista.
Il de Vecchi realizzò immensi lavori pubblici, dalle nuove strade alla prima ferrovia, alla fondazione del comprensorio agricolo di Genale, alla cattedrale di Mogadiscio, alla sistemazione politico-amministrativa della colonia. Fu una “opera veramente romana”, che passò anche attraverso l’istituzione dei Dubat, le bande armate di confine, e la pacificazione dei Sultanati del Nord, iniziata con Decreto Legge 10 luglio 1925, n. 1551.
Sotto il de Vecchi la Somalia non solo acquisì una organizzazione amministrativa e la definizione dei confini, ancorché artificiosi, ma per la prima volta tutte le regioni vennero portate sotto una stessa bandiera, il Tricolore, che poi diverrà la Somalia quale oggi conosciamo. L’attuale Somalia, come nome e forma, deve la sua costituzione all’Italia, prima era una frammentazione di regioni: l’Oltregiuba, il Benadir e i diversi Sultanati del nord, più il Somaliland.
La Somalia visse anche un periodo di pace grazie al sequestro totale delle armi attraverso le campagne militari condotte dal dicembre 1923, dapprima senza scontri, partendo dal sud del Benadir e concluse con il totale assoggettamento, a febbraio 1927, dei Sultanati del Nord – Nogal, Obbia e Migiurtinia – nostri protettorati (pagando l’affitto) sin dal 1891.
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Perché negli ultimi anni la prassi internazionale e l’elaborazione del trattato di Berlino del 1885 era profondamente mutata: se prima tale trattato escludeva la responsabilità giuridica dello Stato protettore per eventuali fatti che nei propri territori coloniali si manifestavano a danno dei sudditi di terzi Stati (i nostri confinanti erano Inghilterra ed Etiopia), non valeva più 40 anni dopo, quando le responsabilità giuridiche non potevano più essere pretese da quegli Stati senza l’implicito riconoscimento di essere venuti meno a quei “compiti di civilizzazione dai quali il loro dominio sui popoli di civiltà inferiore appare eticamente giustificato”.1
Storicizziamo: siamo in pieno positivismo. Scienziati, storici e letterati europei vivono nel quadro della situazione caratterizzata dai nuovi sviluppi della società industriale e dalla crescita delle scienze e della tecnica che, secondo Auguste Comte (Discours sur l’esprit positif, 1844) deve essere rivolta al miglioramento della condizione dei singoli e della società: portare la civiltà.

Ecco dunque la presa di posizione del de Vecchi all’indomani dell’assunzione del governo della Somalia, nel dicembre 1923: “Dovrebbe essere finito il tempo delle tergiversazioni: l’occupazione dei territori deve, specialmente rispetto all’estero, porre il sigillo definitivo ai trattati […] nella forma e nella sostanza” e quindi evitare le continue razzie dei clan del nord, sotto protettorato italiano, che imperversavano lungo il confine del Somaliland inglese che mal digerivano la nostra ingerenza verso quei popoli da noi protetti.
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di © Alberto Alpozzi – Tutti i diritti riservati
Le foto dell’articolo sono di © Carlo Pedrini
Il testo dell’articolo è una rielaborazione di alcuni contenuti del libro “Dubat – Gli Arditi somali all’alba dell’Impero fascista” di Alberto Alpozzi, prefazione Mario Mori, Eclettica Edizioni
Il testo dell’articolo è una rielaborazione di alcuni contenuti del libro “Dubat – Gli Arditi somali all’alba dell’Impero fascista” di Alberto Alpozzi, prefazione Mario Mori, Eclettica Edizioni
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NOTE
1. Piccioli O., La nuova italia d’Oltremare, Mondadori, Milano, 1933
2. Il testo del trattato venne redatto in lingua francese, inglese e italiana, ma non in lingua tedesca. Venne espressamente precisato che, in caso di contestazioni, faceva fede il testo in lingua francese.
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