Siamo nel pieno della campagna di pacificazione della Somalia operata dal governatore Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon. Assicurati i capisaldi costieri di Alula, di Bender Cassim, dove venne impiantata una nuova stazione radiotelegrafica, di Hafun e del faro Crispi a capo Guardafui, si poteva dare inizio le operazioni di polizia coloniale nell’interno.
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Intanto dal 21 Ottobre a El Bur, importante centro di vie carovaniere, il capitano Franco Carolei si era insediato come comandante del presidio e residente. Aveva il compito di normalizzare una situazione non ancora tranquilla. Il piccolo presidio era costituito da circa 70 uomini della terza compagnia del I Battaglione Benadir e da una sezione mitragliatrici Fiat.
Nella zona vi erano ancora molte armi e i capi locali, tra cui Erzi Guscian, appoggiati da Godo Godo e Omar Samantar, esercitavano un certo ostruzionismo alla loro consegna.
Il Carolei, fatti arrestare Erzi Guscian e Godo Godo, fece l’errore di dare autorità a Omar Samantar, di stirpe Darot, ancora fedele a Osman Mahamud, destituito dalla carica di naib dieci anni prima dallo stesso Sultano di Obbia.
Il capitano contava sul suo risentimento verso il Sultano e pensava di guadagnarsi il suo appoggio e la sua collaborazione per la consegna delle armi. Comunicava infatti a Mogadiscio: “…persona favorevole all’occupazione ed influentissima con tutte le popolazioni del territorio è Omar Samantar ex naib di El Bur, sostituito nella carica dal Sultano”1.
Valutando con eccessivo ottimismo la situazione politica, all’ex naib venne concesso di prendere tutte le pelli che erano state rinvenute nella garesa e appartenute all’ex Sultano.
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Il 9 Novembre Omar Samantar si presentò all’ingresso del presidio con una quarantina di uomini per lo sgombero delle pelli. Fatti entrare nel recinto assalirono e uccisero gli ascari di guardia insieme al capitano Carolei che, disarmato, si apprestava ad iniziare la colazione al piano superiore dell’edificio.
“Omar Samantar entrato dal capitano, che stava mangiando, col pretesto di dirgli qualche cosa, al segnale dato, piombò, spalleggiato da alcuni dei suoi, sull’ufficiale che si difese brandendo una sedia ed atterrando due degli assalitori… Ma ferito da un colpo di pistola fu finito a pugnalate mentre di fuori crepitavano colpi di fucile!… […] Omar Samantar, recisa la mano destra del povero capitano, l’aveva mostrata ai suoi, sanguinoso trofeo, dall’alto del muro ordinando che il cadavere dell’ufficiale, denudato e martoriato, fosse gettato fuori dal forte!…”2.
Gli ascari riuscirono a liberare e tenere il cortile, Omar Samantar si era barricato con i suoi all’interno della garesa da dove vennero uccisi un mutanz e 15 ascari, mentre all’esterno si trovava un altro gruppo capitanato dai due ex prigionieri Godo Godo e Erzi Guscian.
Gli ascari del presidio furono costretti a ritirarsi nelle camerate. Iniziò un reciproco assedio che si protrasse tutta la notte e il giorno seguente fino a quando, col favore della notte, gli ascari non decisero una sortita per guadagnare la boscaglia. Dei 37 ascari asserragliati nelle camerate 22 riuscirono a salvarsi e portare il 15 novembre a But But la notizia della ribellione.
Il corpo del capitano Carolei verrà recuperato a fine dicembre dal III Benadir.
“…il sangue di un Ufficiale italiano era stato sparso interamente per una selvaggia e vigliacca aggressione; la nostra situazione politica nel sultanato aveva subita una scossa…”3.
La ribellione di El Bur costò la morte di 60 ascari, la perdita dei 344 fucili appena versati dalla popolazione, 50 fucili mod. 91 e soprattutto di due mitragliatrici Fiat con 100 mila cartucce. Sul ribelle Omar Samantar venne posta una taglia di L. 10.000.
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A Roma la ribellione suscitò grande apprensione, tanto che Badoglio, Capo di Stato Maggiore, che aveva sempre cercato di minare la credibilità di de Vecchi in Somalia, rifiutò di inviare i rinforzi dall’Eritrea promessi al Governatore, consigliando solamente di compiere la rioccupazione di El Bur, mantenere i punti già occupati sulla costa migiurtina soprattutto per gli impegni presi con gli inglesi e venne suggerito anche di ritirare le bande dislocate tra Belet Uen e il confine.
De Vecchi rivendicò con forza la sua piena facoltà di disporre delle forze armate della Colonia contrariamente alle disposizioni di Badoglio perché già “aveva occupato il confine con l’Abissinia secondo i secolari diritti delle popolazioni e contro tutti i dubbi e tutte le incertezze affermava essere necessario che questo confine non fosse né abbandonato né retrocesso, pena le continue razzie e il continuo turbamento che sarebbero stati alimentati ancora di più dai soliti razziatori di oltre confine e dalla anarchia dell’Etiopia”4.
Non va inoltre dimenticato che le popolazioni dal temperamento guerriero tendono a considerare la ritirata, qualora anche attuata per questioni operative e strategiche, come un insuccesso dell’avversario se non addirittura la sconfitta, infondendo nuova baldanza e ottimismo per futuri attacchi….
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di Alberto Alpozzi
NOTE
1. Estratto dalla relazione politica del capitano Carolei inviata a Mogadiscio
2. Vecchi B.V., Migiurtinia, Bocca Editori, Torino,1933
3. Bechis C., Azione politico militare delle bande nella occupazione della Somalia settentrionale ottobre 1925-febbraio 1927, Mogadiscio, 1 giugno 1928, ADEV
4. De Vecchi di Val Cismon C.M., Orizzonti d’Impero, Mondadori, Milano, 1935
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