Razzismo, madamato e fascismo. L’ignoranza di chi piega la storia all’ideologia

Il 19 aprile 1937 veniva firmato il Regio Decreto n. 880 in materia di “Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale fra cittadini e sudditi” ma attenzione a non cadere nel tranello delle bugie sull’accostamento fascismo-razzismo. Le discriminazioni razziali non furono prerogative del Ventennio. Le teorie della razza e della superiorità dei bianchi sono figlie del loro tempo e nacquero decenni prima del colonialismo e del fascismo.

 
Cos’è il razzismo? Il razzismo è una “concezione fondata sul presupposto che esistano razze umane biologicamente e storicamente superiori ad altre razze. È alla base di una prassi politica volta, con discriminazioni e persecuzioni, a garantire la ‘purezza’ e il predominio della ‘razza superiore’.” (1)
E ancora: “tendenza a considerare la razza come fattore determinante dello sviluppo civile di una società e quindi a evitare mescolanze con altri popoli, considerati di razza inferiore, mediante la discriminazione o, in casi estremi, mediante la persecuzione e la loro distruzione” (2)
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Discours sur l'esprit positif
Stabilite queste connessioni fra tratti razziali ed evoluzioni sociali nella storia, le concezioni razzistiche hanno ritenuto superiori quelle razze che nei secoli sono state in grado di costruire società più evolute nelle quali il progresso intellettuale, politico, scientifico ed economico era stato la discriminante. Teoria enunciata da Auguste Comte nel 1844 nel “Discours sur l’esprit positif”.
Con il positivismo “nacque un nuovo metodo storiografico, attento soprattutto a fattori ambientali, sociali, razziali” e tutte le opere umane dovevano essere rivolte al miglioramento della condizione dei singoli e della società: portare (esportare?) cioè la civiltà.
Pensiero condiviso anche dal padre del comunismo, Friedrich Engels, che il 22 gennaio 1848, stesso anno in cui veniva pubblicato “Il manifesto del Partito comunista” scriveva sul «The Northern Star» a proposito della conquista coloniale francese dell’Algeria: “In fin dei conti, secondo la nostra opinione è veramente di buon auspicio che il capo degli arabi sia stato catturato […] la conquista dell’Algeria è un evento importante e felice per il progresso della civiltà.” (3)
Le teorie razziali nacquero proprio in seguito alle grandi esplorazioni geografiche e l’inizio del colonialismo, quando cioè i bianchi europei (francesi, inglesi e portoghesi) misero piede in Africa e in Estremo Oriente nel XVII secolo.
La differenza biologica, climatica e ambientale erano alla base della teoria secondo la quale i progressi dei bianchi non potessero essere raggiunti da altre popolazioni.
La «razza» stava sempre più diventando patrimonio comune del «sapere» e della pratica prima e durante i tempi di Engels, ma essa era intrinseca al sistema capitalistico-coloniale che Engels da un lato, seguendo Marx, dissezionava scientificamente, ma dall’altro accettava come «necessità storica».
“La razza stessa è un fattore economico” scrisse nel 1894 in una lettera a H. Stokenberg. Non che egli fosse un seguace di Friedrich Max Muller, il padre dell’arianesimo europeo, tuttavia accettò il concetto di «razza» e l’affermazione indubbiamente gli tornò utile per il determinismo economico.
Inoltre Engels, convinto della “necessità storica” del capitalismo, fece sempre osservazioni razziali derivanti dal pregiudizio colonialistico: “I mori sono probabilmente i meno rispettabili tra gli abitanti” (Discorso sull’Algeria, 1857).
Nel XVIII secolo andò affermandosi la teoria poligenetica secondo la quale le varie popolazioni del mondo risalgano a progenitori diversi e quindi a ritenere che le differenze tra individui fossero inalterabili e secondo questi si potesse stabilire una gerarchia di razze superiori e quindi predominanti. Cioè si giustificava il dominio imperiale e coloniale sugli altri popoli da parte dei bianchi che si erano attribuiti – comtianamente – una missione civilizzatrice. Stiamo sempre parlando di francesi, inglesi e portoghesi.
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Gobineau_Inegalite de races humainesMa il vero e proprio passaggio dalle teorie razziali al razzismo è con l'”Essai sur l’inégalité des races humaines” (1853-1855), il saggio sull’ineguaglianze delle razze del francese Joseph Arthur Gobinau, il quale affermava che la razza è la base della civiltà e che il decadimento della razza comporta inevitabilmente il decadimento della civiltà e dunque per arrestare il decadimento della razza “ariana” si dovesse perseguire un processo di discriminazione delle razze considerate “inferiori”.
Altro “contributo” al razzismo inteso come oggi venne dalle teorie evoluzionistiche di Charles Darwin che con “L’origine della specie” (1859) ispirò il cosiddetto “razzismo scientifico”, basato sul concetto che il pregiudizio razziale dovesse avere una funzione evolutiva.
Da qui per esempio la prassi inglese di vietare i matrimoni misti nei nuovi territori conquistati in America nei quali venne sancita la superiorità sociale dei coloni nei riguardi dei neri e degli indiani.
Dopo questo breve excursus storico arriviamo alle colonie italiane e al presunto razzismo come prerogativa del fascismo.
Quando si parla di matrimoni misti nelle colonie italiane si ha l’abitudine a pensare ad un matrimonio tra un uomo bianco e una donna nera e alla sua collocazione temporale durante il Ventennio fascista.
Narrazioni storiche più ideologiche che fattuali hanno la necessità di far passare un messaggio non corrispondente al vero.
Infatti scrollandoci di dosso analisi ossessive sull’accostamento fascismo-razzismo (vedi l’introduzione sopra) si può scoprire come la questione della razza e della civiltà superiore fosse argomento e teoria degli europei (non fascisti, non nazisti) già dal “qualche anno” prima dell’avvento del fascismo.
Queste teorie trovano la loro prima applicazione nell’Italia coloniale del 1905, quando il procuratore Ranieri Falcone in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale d’Appello di Asmara, vietava le nozze tra le cittadine italiane e indigeni per evitare alla donna “di discendere verso un inferiore livello di civiltà”. (4)
Esattamente come nel secolo precedente gli inglesi in America e secondo le teorie propugnate da Gobinau del 1853.
“Il caso di un matrimonio fra una donna bianca ed un indigeno non è nuovo in colonia; e nell’avvenire potrebbe essere frequente. […]
Io osservo innanzi tutto che sarebbe contrario ad ogni interesse della nostra colonizzazione il permettere che la donna bianca diventi la compagna del soggetto di colore. Per quanto evoluto possa essere l’indigeno, la donna europea che lo sposi, ammoglierà lui, assieme alla dignità propria, un po’ anche la dignità della propria razza. Essa discenderà sempre in molti gradini nella scala sociale; e ciò forse meno per l’uomo, alla cui esistenza ella si lega, che per la società in cui andrà a vivere… D’altra parte con la nostra organizzazione famigliare, e peggio con l’organizzazione della famiglia indigena, a tipo aristocratico, dove il marito esercita la manus sulla moglie, e costei non ha quasi alcuna personalità propria, quale sarebbe la condizione della povera creatura bianca sposata all’indigeno?
E quale sarebbe la condizione della prole? …i meticci, il cui padre è un indigeno e la madre un’europea, produrranno figliuoli sempre più simili al loro padre, fino a tanto che ogni carattere differenziale sparirà, e la prole ritornerà perfettamente indigena.”
Ecco dunque che da questo discorso, pronunciato in una cerimonia ufficiale, si evince come l’idea della superiorità della razza e il prestigio della razza bianca fosse costume dell’epoca ben prima dell’avvento del fascismo e come la possibile unione tra una cittadina italiana e un uomo indigeno violasse le regole di quella società coloniale di inizi Novecento.
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La_difesa_della_razza_1938La proibizione di matrimoni misti proposta dunque da Falcone nel 1905 definiva già una specie di separazione tra italiani e nativi che negli anni successivi venne normata per legge, con l’aumentare delle presenze italiane in colonia.
Si giunse così nel 1937 quando “le relazioni di indole coniugale con persona suddita dell’Africa Orientale Italiana, sia maschile che soprattutto femminile furono considerate reato e punite con la reclusione da uno a cinque anni”. (5)
Dopo il 1936, infatti, la questione dei matrimoni misti e quello conseguente della prole di meticci aveva assunto vaste dimensioni che andavano controllate. Si pensi che con la guerra d’Etiopia da meno di 5 mila italiani in Eritrea divennero circa 75 mila (di cui il 78% uomini).
Si giunse così al “reato di madamato” su iniziativa del ministro della colonie, Alessandro Lessona. Venne istituito con Regio Decreto Legge 19 aprile 1937, n. 880, Sanzioni per i rapporti d’indole coniugale fra cittadini e sudditi (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 145 del 24 giugno 1937) poi convertito in Legge 30 dicembre 1937, n. 2590 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 51 del 3 marzo 1938).
Successivamente, la legge 29 giugno 1939, n. 1004, recante «Sanzioni penali per la difesa del prestigio di razza di fronte ai nativi dell’Africa italiana», individuò esplicitamente la nascita di un bimbo meticcio come indizio del reato di relazione di indole coniugale con una donna locale.
Tale norma fu abrogata solo nel 1947, con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato n. 1096 e si aprì un canale privilegiato per l’acquisizione della cittadinanza, per i nati da unioni miste. All’epoca dell’emanazione di tale norma, però, l’Eritrea e la Somalia erano sotto l’amministrazione militare britannica e quindi la normativa italiana poteva essere applicata nel paese solo se fatta propria da un proclama dell’amministratore britannico. Purtroppo, fu solo nel 1952 che l’amministratore, con proclama n. 125 del 1952, abrogò la legge italiana n. 822 del 1940.
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CONCLUSIONI:
– Il razzismo non fu prerogativa del fascismo ma una prassi europea consolidata dal 1853.
– La superiorità della razza fu teorizzata da Gobineau nel 1853 e avallata da Engels nel 1894.
– Il divieto dei matrimoni misti venne imposto dagli inglesi sin dal 1800 e proposto dall’Italia coloniale nel 1905 e riguardava anche le donne bianche.
– Il madamato venne vietato dal fascismo per legge nel 1937 secondo le consuetudini dell’epoca e del sentire comune di quegli anni in tutto il mondo europeo e bianco.
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di Alberto Alpozzi
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NOTE
1 – Definizione dalla Treccani
2 – Definizione dizionario Garzanti
3 – H. Jaffe, Davanti al colonialismo – Engels, Marx e il marxismo, Jaca Book, 2007
4 – R. Falcone, L’amministrazione della giustizia nella Colonia Eritrea. Resoconto letto dì 23 gennaio 1905 all’assemblea generale del Tribunale d’Appello sedente in Asmara, in Atti Parlamentari, Legislatura XXIII, sessione 1909-1913, Camera dei Deputati, Doc. LXII, vo. II, Allegato 24, p. 315
5 – L. Martone, Diritto d’Oltremare. Legge e Ordine per le Colonie del Regno d’Italia, Giuffè Editore, Milano, 2008, p. 15

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14 thoughts on “Razzismo, madamato e fascismo. L’ignoranza di chi piega la storia all’ideologia

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  5. E pensare che ci sta gente che ancora oggi afferma che il Madamato sia stato istituito da Mussolini perché era un pedofilo e voleva far diventare legge la compravendita di ragazzine straniere come schiave sessuali… No, non scherzo mica, c’è gente che lo pensa sul serio.

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  8. Bravo Alpozzi, finalmente un giudizio non ideologico basato su fatti culturali considerati nella loro epoca. Che sia l’inizio di un cambiamento di prospettiva?

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      • I parolai marxisti ed i loro nipotini catto-comunisti hanno i mano la repubblica in nome dell’antifascismo e antirazzismo. Dove andrebbe a finire il loro potere se la gente cominciasse a non accontentarsi di slogan, ma volesse una pacata riflessione su tutto cio’?

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      • Ma se i marxisti ed i loro nipotini catto-comunisti perdessero i loro slogan preferiti, antifascismo
        e antirazzismo, in nome di una seria riflessione sul tema dove andrebbe a finire il loro primato culturale e politico?

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