Giorgio Pollera, meticcio, ufficiale volontario nella guerra d’Etiopia e Medaglia d’Oro

Insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare (G.U. 15 giugno 1939), non fu l’unico meticcio a ricevere la più alta onorificenza (alla memoria) durante la guerra d’Etiopia. Come lui anche Adolfo Prasso, figlio dell’ingegnere minerario Alberto e di una ragazza etiope, morto nell’eccidio di Lechemti.

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«Ufficiale volontario in A.O.– si legge nella motivazione della medaglia a Giorgio Pollera – e volontario in un gruppo bande, animato da pura fede ed entusiasmo, sempre fra i primi per ardimento e slancio, tenace e sicuro trascinatore di dubat, per decisione, sprezzo del pericolo, abnegazione, seppe in molti combattimenti, nel corso dell’occupazione del Galla Sidama, far rifulgere le sue elevatissime virtù militari. In un’azione particolarmente ardimentosa, di forzamento dell’Omo Bottego, in un momento critico, conscio del sicuro pericolo cui si esponeva, decisamente balzava sulla riva bassa del fiume, prodigandosi con l’esempio e la parola, per la buona riuscita dell’azione. Con il torace mortalmente trapassato, incurante di sé, imbracciava il moschetto, rispondeva al fuoco nemico, incitando i dubat al grido di “Savoia” sino a che, reclinando la testa sull’arma, spirava. Sublime esempio di puro eroismo. Dorba – Omo Bottego, 12 dicembre 1937».

Alberto Pollera

Figlio del noto etnografo e funzionario coloniale Alberto Pollera, nacque ad Asmara il 23 dicembre 1912, dall’unione del padre con Ubuesc Arai Araià Capté, una giovane donna originaria della regione di Axum. Ultimo di quattro fratelli, tutti riconosciuti: Giovanni e Michele, nati nel 1902 e Giorgina, scomparsa prematuramente. Dopo aver frequentato le scuole italiane in colonia Giorgio completò gli studi in Italia presso il convitto dell’opera salesiana di Terni.
Nel novembre 1932 si iscrisse alla scuola per allievi ufficiali di complemento a Bra (CN), venendo assegnato il 30 giugno 1933 al 1º battaglione pesante. Congedato nel gennaio 1934, riprese gli studi universitari in economia. Nel dicembre 1935, su sua richiesta, venne riarruolato per partecipare alla guerra d’Etiopia. Inviato in Somalia, raggiunse a Mogadiscio il 2 gennaio 1936, prestando servizio presso l’intendenza dell’Africa Orientale Italiana. Aggregato al VII gruppo bande armate dubat il 6 agosto 1936 occupò con la sua banda la città di Iavello. Il 12 dicembre 1936 morì in battaglia nei pressi di Dobra, sulle rive del fiume Omo Bottego, al confine con il Kenya.
Il padre ebbe altri tre figli da una seconda compagna, Chidan Menelik, conosciuta nel 1912: Mario (1913), Marta (1915) e Alberto (1916). Contestualmente, dopo averle acquistato una casa, continuò a mantenere la prima compagna.
Alberto Pollera, come detto, riconobbe tutti i suoi figli, sebbene dal punto di vista giuridico egli non potesse legittimarli a meno di non sposarne la madre come previsto dal Codice Civile. Però il matrimonio misto non era possibile secondo i decreti governatoriali del 1909 e del 1914 o precedentemente dichiarato nel 1905 dal procuratore Ranieri Falcone in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale d’Appello di Asmara.

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Alberto Pollera con i figli Giorgio (a sinistra) e Gabriele (a destra)

Nonostante la mancanza di legittimazione giuridica tutti i figli di Pollera frequentarono le scuole italiane e poi durante il fascismo si trasferirono in Italia per completare gli studi. Pollera fu senza dubbio animato come tutti i colonialisti dell’epoca, da un lato, dell’ideale della civilizzazione e progresso che gli europei avrebbero potuto e dovuto compiere in Africa, e dall’altro, da un razzismo paternalistico – figlio del suo tempo – giustificato da un paradigma evoluzionistico secondo il quale le razze umane venivano collocate su una scala di sviluppo pur rigettando ogni riferimento al determinismo biologico. Pollera attribuiva infatti un carattere temporaneo alla presunta inferiorità di alcune popolazioni rispetto ad altre, ritenendo che tale inferiorità non fosse stabilita da dati naturali o biologici, ma causata da fattori storici, sociali e culturali.
«Il diverso grado di civiltà esistente nel paese del quale parliamo (l’Etiopia, nda) – scriveva Pollera a pag. 6 del sua pubblicazione “Che cos’è l’Etiopia” edita nel 1927 dalla Tipografia editrice Riva (Torino) – non deriva da una congenita ragione di razza, ma da cause estranee che ne hanno arrestato o ritardato lo sviluppo, cessate le quali un risveglio non è solo possibile ma probabile». In poche parole la condizione di inferiorità dei popoli africani non è una condizione immutabile ma transitoria, superabile grazie allo studio e all’educazione.
Nonostante le sue teorie non fossero condivise dalla maggioranza continuò a ricoprire cariche importanti: console di Gondar, in Etiopia dal 1929 al 1932; responsabile della biblioteca governativa e capo della sezione studi e propaganda presso l’Ufficio affari generali del personale del governo dell’Eritrea ad Asmara dal 1932 al 1939; consigliere personale del governatore dell’Eritrea Daodiace a partire dal 1937. Pollera si oppose in più occasioni alla legge del 1936 sull’ordinamento dell’Africa Italiana, preoccupandosi che i figli, tecnicamente “illegittimi”, avrebbero potuto perdere la cittadinanza italiana.

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Nel 1937 la questione fu portata davanti alla Corte d’Appello di Addis Abeba che alla fine riconobbe la piena cittadinanza ai figli del funzionario.
L’anno successivo, mentre si stava preparando la legge che avrebbe definitivamente risolto il problema del meticciato dal punto di vista giuridico (la futura Legge 13 maggio 1940, n. 822, “Norme relative ai meticci”), Pollera tornò ad occuparsi della questione relativa agli Italo-Eritrei scrivendo direttamente a Mussolini il 10 dicembre 1938:

«Questi nostri figli meticci sono dunque per sangue del padre, per fisico prestante, per l’educazione, per sentimenti, perfettamente italiani. Sono ufficiali, funzionari, professionisti, commercianti, artigiani, onesti operai; e le femmine buone madri di famiglia, coniugate ad Italiani, ebbero prole per qualità intellettuali, morali, e fisiche spesso superiori agli italiani di razza pura […]. L’Albo d’oro dei caduti durante la guerra europea, ed in quella etiopica, segna i nomi di diversi nostri figli meticci, partiti volontari, colla benedizione paterna, perché da noi educati ad amare quella Patria per la quale non inutilmente consumammo la vita in terra d’Africa» (Lettera citata in “Etnografia e colonialismo” di Barbara Sorgoni, pag. 210).

In memoria di Giorgio Pollera fu posta una lapide sulla strada degli artiglieri a Rovereto, in provincia di Trento e il suo nome compare sul monumento agli ex allievi di Don Bosco caduti del collegio “Virgilio Lucarini” di Trevi (PG).

di Alberto Alpozzi

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9 thoughts on “Giorgio Pollera, meticcio, ufficiale volontario nella guerra d’Etiopia e Medaglia d’Oro

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  2. Il padre di Giorgio, Alberto Pollera, era fratello del mio nonno materno Carlo Pollera-Orsucci: Giorgio era cugino di mia madre. Lessi molti anni fa il libro che il prozio Alberto dedicò a Giorgio e conobbi un’anziana signora che lo aveva conosciuto quando, giovane ufficiale, stava per partire per l’Africa dove trovò la morte. La signora lo ricordava (con un certo rimpianto, mi sembrò…) come un bellissimo giovane di carnagione scura, tanto che “si diceva” che fosse di sangue misto. Devo dire che in famiglia ho sempre sentito dire che tutti i figli di Alberto Pollera erano stati legittimati per decreto reale, e questo a mio parere sarebbe confermato dal fatto che Giorgio fosse stato ammesso alla Scuola Allievi Ufficiali e avesse ricevuto la nomina a ufficiale del Regio Esercito.

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  5. E’ il momento di dare ai giusti nati e vissuti in terra d’Africa amando tutto e tutti ma soprattutto la Patria Italia, per la quale morirono con ardore anche se erano poi soltanto sudditi , un meritato spazio di rispetto

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    • Bravo Agameh Elio, POLLERA Figlio in Italia diventò NOTAIO e aveva Uffici (NON RICORDO la VIA) verso Montesacro NON Lontano da dove ancora abita Funcia.

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