1936. Il Min. Lessona in Etiopia. Disciplina, collaborazione e pari diritti per tutti: «nessuna preferenza, nessuna esclusione»

Nell’ottobre 1936 il Ministro della Colonie Alessandro Lessona, in visita nell’Etiopia da poco italiana, tenne un discorso al Palazzo Vicereale rivolto alla popolazione. Il discorso pronunciato in italiano, era tradotto contestualmente da due interpreti giurati rispettivamente in amarico e in arabo.
Erano convenuti un centinaio tra capi e notabili dell’artistocrazia feudale dell’ex impero negussita, settanta notabili copti, quaranta notabili musulmani. Tra i presenti l’Abuna Kirillos, capo della chiesa copta, assistito dai maggiori dignitari, il Like Likeamti, il Likeat, il capo delle grandi Chiese e delle confraternite, ras Sejun, ras Ghebreuot, deagiac Beteali, degiac Mangascià, Degiac Aligunau, degiac Ghebedè Arunia, degiac Aurau Degian, degiac Apre Ricam, degiac Lig Iagau, degiac Lig Sebabat, tutti gli ex ministri e segretari del passato governo ed anche il prof. Afework, ex ministro etiopico a Roma.

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Mini. delle Colonie A. Lessona

Le comunità musulmane erano rappresentate dai loro capi più influenti tra i quali il sultano di Harrar, sette capi dell’harrarino, un sultano somalo e vari famigliari del’ex sultano di Gimma.
Accompagnarono il Ministro Lessona, il Vice Re Rodolfo Graziani, il Vice Governatore Generale Petretti, il Capo di Stato Maggiore del Vicereame Gariboldi, il Segretario Federale Guido Cortese, il Capo di Gabinetto del Vicereame Col. Alberto Mazzi.
Il discorso del ministro fu incentrato principalmente sulla disciplina, sulla gerarchia e la collaborazione: «La pace di Roma è innanzitutto gerarchia e disciplina unitaria […] Affermati questi principi che sono l’essenza stessa della politica imperiale italiana, noi non escludiamo nessuno dal collaborare entro i nostri quadri all’opera di ordine, di amministrazione, di pacificazione […] A questa collaborazione chiameremo tutti con pari diritti e senza preferenze, senza esclusioni: i tigrini del nord; voi amhara e scioani di questa bellissima regione del centro dell’Impero; i galla e tutte le altre genti dell’ovest e del sud; gli harrarini, i somali; tutti quanti sono etiopici per razza, lingua e religione ma oggi tutti uniti sotto la sovranità dell’Augusto Re Imperatore».
La pace dell’Africa Orientale infatti dipendeva dalla possibilità di una ordinata convivenza delle varie genti che la popolavano e questa possibilità doveva essere certezza per il nuovo ordine imperiale italiano. Diceva Virgilio nell’Eneide: tu regere imperio populos, Romane, memento (hae tibi erunt artes) pacique imponere morem, parcere subiectis et debellare superbos, «tu, Romano, ricorda di dominare i popoli (questa sarà la tua arte) e fissare regole alla pace, di risparmiare i sottomessi e debellare i superbi».
«Popolazioni dell’Etiopia! Chiedendovi di collaborare lealmente per l’Impero noi vi chiediamo di collaborare al vostro stresso vantaggio. Voi sapere quali sono i nostri propositi: noi vogliamo migliorare la vostra esistenza con le grandi opere di civiltà di cui già vedete gli inizi: strade, ponti, porti, saranno i veicoli della prosperità futura: vi daremo ogni garanzia perchè le terre siano pacificamente godute da chi le possiede a titolo legittimo. Vi assisteremo perché i vostri campi siano proficuamente coltivati, tuteleremo il vostro lavoro».
Infatti il Governo intervenne subito per per proteggere l’economia indigena e per garantirla contro qualunque forma di ingiusta sopraffazione attraverso una serie di accertamenti fondiari per distinguere i diritti legittimi degli indigeni.

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Prosegue il Ministro: «Voi avete visto che le dure necessità della guerra non ci hanno impedito di curare i vostri malati, di assistere i vostri bambini, di distribuire alimenti agli indigeni. La pace ci consentirà di moltiplicare e di sviluppare le opere di solidarietà umana.
Assicureremo la retta e giusta amministrazione della giustizia ed a questa sarete chiamati voi stessi a partecipare secondo le vostre usanze e le vostre tradizioni.
Vogliamo creare un impero giusto, prospero, ordinato, che voi stessi consoliderete con la vostra disciplina: che difenderete fedelmente e strenuamente contro qualunque minaccia alla sua sicurezza ed alla sua integrità.
Le vostre innate e generose virtù guerriere mi danno pieno affidamento che voi saprete essere un sicuro presidio dell’Impero.
In questa armonia di intenti e di opere risiederà la nostra forza e la possibilità di progresso. Dopo secoli di isolamento e di ritardo l’Etiopia si apre oggi alla civiltà, entrando a far parte dell’Impero italiano. Questo vincolo irrevocabile che Dio ha voluto dà all’Etiopia un nuovo Destino.
Siano tutte le genti etiopiche degne di cooperare all’avvenire di grandezze cui è chiamata questa terra d’Africa che ha visto la folgorante vittoria delle armi italiane e che vedrà il trionfo della civiltà di Roma.
A voi che mi avete ascoltato, alle vostre famiglie, e a tutte le genti dell’Etiopia anche le più lontane, il mio saluto e il mio augurio di prosperità».

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Il Ministro sottolineò «pari diritti per tutti: nessuna preferenza, nessuna esclusione, diversità di razza, di lingua e di religione non deve impedire che tutti quanti gli etiopi siano uniti sotto la sovranità dell’Augusto Re Imperatore».
Nel suo discorso il ministro Lessona aveva ribadito anche il concetto del rispetto assoluto dell’Italia verso tutte le religioni: «Le popolazioni cristiane che hanno per secoli e secoli conservato e difeso il cristianesimo dell’altopiano etiopico, sappiano che la chiesa etiopica può contare sulla protezione dell’aiuto del Governo d’Italia […] Alle popolazioni musulmane dirò oggi solamente che l’Italia, la quale ha milioni di sudditi musulmani, vede con rispetto la religione dell’Islam, ed assicura la piena ed assoluta libertà religiosa a tutte le popolazioni musulmane dell’Impero. […] La nostra pace esige la concordia e la convivenza dei sudditi cristiani e musulmani dell’Etiopia. Musulmani e cristiani hanno nell’ordine italiano una ragione possente di pacifica e ordinata collaborazione».

di Alberto Alpozzi

Il testo del discorso fu riportato il 18 ottobre 1936 da “Il Giornale di Addis Abeba”

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