Il saluto romano come simbolo di libertà nell’Etiopia divenuta italiana

“L’Etiopia è italiana. Italiana di fatto, perché occupata dalle nostre armate vittoriose, italiana di diritto, perché col gladio di Roma è la civiltà che trionfa sulla barbarie, la giustizia che trionfa sull’arbitrio crudele, la redenzione dei miseri che trionfa sulla schiavitù millenaria”.
Con queste parole il 5 maggio 1936 Benito Mussolini annunciava all’Italia e al mondo che la guerra d’Etiopia era finita e che l’ex Impero d’Etiopia passava sotto la sovranità del Regno d’Italia.

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La schiavitù era già stata abolita da mesi col procedere delle truppe nei territori conquistati, prima il 3 ottobre 1935 dal Generale Emilio De Bono e successivamente il 12 aprile 1936 dal Maresciallo Pietro Badoglio.
Il saluto cosiddetto “romano”, introdotto dal fascismo in tutti gli ambiti, civili e militari, si diffuse velocemente anche in Etiopia, sia tra gli indigeni sia tra i bianchi europei presenti.
Ma soprattutto l’usanza del saluto fascista, col braccio destro alzato, venne imposto ai nativi affinché fosse sostituito al servile inchino verso terra, cui erano abituati dal millenario schiavismo.
Infatti per l’Italia fascista “i nativi sono uomini liberi, e se è loro dovere il saluto rispettoso a noi che siamo venuti vittoriosi apportatori di civiltà, pertanto questo saluto deve essere fatto con dignità, guardando in faccia chi si saluta, da uomo fiero”1.
Non solo un gesto retorico ma simbolo di libertà contro la sottomissione e la schiavitù.
Il saluto romano è stato vietato in Italia dalla legge Scelba n. 645 del 20 giugno 1952, successivamente modificata con la legge Mancino n. 205 del 25 giugno 1993, ma non è da considerarsi reato se l’intento è commemorativo e non violento come da diverse sentenze della Cassazione.

di Alberto Alpozzi

NOTE
1. Il Giornale di Addis- Abeba, pag. 2, Anno 1 – n. 12, 18 Giugno 1936

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1 thoughts on “Il saluto romano come simbolo di libertà nell’Etiopia divenuta italiana

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