Immigrazioni e colonialismi. Problemi di oggi soluzioni di ieri

Immigrazioni e colonialismi1È, quello dell’immigrazione, uno di quei problemi sui quali è stato versato così tanto inchiostro e sono stati diffusi tanti di quei proclami e tante di quelle opinioni, di singoli, di Stati e di organizzazioni internazionali, che si è arrivati addirittura ad inflazionare mediaticamente l’argomento così tanto da relegare la cosa a quarta o quinta notizia sui telegiornali, se non fosse che tale dramma porta inevitabilmente con sé conseguenze in termini non solo economici, ma di ordine pubblico.
Il fenomeno migratorio, oggi più che mai, non rappresenta soltanto una delle questioni aperte e più scottanti dell’Italia contemporanea, ma, a differenza di tanti altri nostri colleghi del vecchio continente, assume qui connotazioni senz’altro emergenziali che vanno ben al di là di soluzioni estemporanee e ordinarie, richiedendo che il dramma venga affrontato con la dovuta energia.
L’attuale classe dirigente, a livello nazionale ma anche europeo, agitando lo spauracchio della solidarietà, impegna casse pubbliche, fondi e uomini delle forze armate e delle forze dell’ordine nella gestione ordinaria del fenomeno migratorio. L’emergenza permane tuttavia, nonostante gli accordi bilaterali, spesso non rispettati proprio dai Paesi di provenienza dei flussi, abbiano avuto come obiettivo la riduzione delle partenze.
Immigrazioni e colonialismi2Fermo restando che non credo esista una soluzione perfetta al problema, sono comunque convinto che la chiave di volta per arginare il dramma umano legato agli sbarchi massicci sulle nostre coste sia rappresentata dall’intervento in loco e non tanto sulle frontiere di approdo.
Il controllo sui porti di imbarco non costituisce mancanza di solidarietà, ma è tutela degli Stati di destinazione e degli stessi migranti, troppo spesso prime vittime della locale criminalità che organizza viaggi di disperati attraverso il mare e le sue insidie. È necessario, a tal riguardo, agire sul nostro territorio per arginare il fenomeno, ma sarebbe comunque erroneo ritenere che questo possa essere tamponato senza un adeguato intervento nei Paesi di origine dei flussi.
Questa, alla luce dei primi accordi bilaterali tentati dai Governi, è idea che pare generalmente condivisa, ma la via attraverso la quale concretizzare tutto ciò non è certo altrettanto semplice da identificare. Le soluzioni potrebbero difatti essere molteplici, ma tutte comunque coerenti con il principio di fondo che l’invasione migratoria non si affronta soltanto a casa di chi ospita, ma occorre anticipare l’intervento sin dalle partenze. Concetto peraltro tanto noto, quanto uniformemente condiviso, secondo la massima del «se vuoi aiutare un povero, non regalargli un pesce: insegnagli a pescare» che già ai tempi del confucianesimo trovava piena cittadinanza nel comune sentire.
Immigrazioni e colonialismi4Fra le poche, concrete ipotesi che ho avuto occasione di ascoltare, rilevo quella tracciata da qualche tempo, con la tipica timidezza che recano con sé tutte quelle proposte che si collocano, per natura o per altrui convinzioni, nell’alveo del politically incorrect, da un gruppo di personaggi e di intellettuali, anche non italiani, fra i quali spicca il nome di Sergio Romano, che propone una sorta di ricolonizzazione dei Paesi di nuova indipendenza che, a giudicare dai rapporti ufficiali pubblicati da diverse organizzazioni internazionali, non brillano certo per capacità di autogoverno e, anzi, versano in condizioni di oggettiva povertà e disagio socio-economico, laddove non vi sono addirittura conflitti armati civili o con altri Stati vicini.
Limitando, ad esempio, il discorso al continente africano, i dati estratti dal Rapporto sullo sviluppo umano (1997) dell’UNDP – Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e dalla Banca Mondiale (World Development Indicators, 1998), dimostrano inequivocabilmente come il reddito pro-capite di alcuni Stati (fra i quali spiccano la Nigeria, il Ghana, l’Etiopia) si sia ridotto, se non dimezzato, fra il 1960 (anno storico dell’ottenimento dell’indipendenza per gran parte dei Paesi africani colonizzati dalle Nazioni europee) e il 1996.
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Questi dati potrebbero avere mille cause e mille interpretazioni, ma resta comunque oggettivamente innegabile che l’ottenimento dell’indipendenza, di per sé, non è sinonimo di ottenimento del benessere: si pensi difatti al caso Somalia, all’Albania, all’Etiopia.
Immigrazioni e colonialismi5Analizzare o anche solo citare il fenomeno coloniale con la necessaria stringatezza di un articolo, riducendo secoli di colonizzazioni a meri sfruttamenti e a mere limitazioni della libertà di altri territori, è di per sé esercizio di puro stile che non rende giustizia né alla storia, né alla verità. Ma volendo stigmatizzare con la dovute connotazioni negative, come è pur giusto fare, il becero sfruttamento delle risorse e della manodopera dei Paesi colonizzati, non sono da disconoscere i meriti, altrettanto oggettivi, che il fenomeno ha recato. Un’analisi storica condotta con i requisiti della scientificità dovrebbe condurre il lettore a deplorare l’invasione violenta del territorio e il rovesciamento della sovranità altrui, nonché lo sfruttamento delle risorse umane e materiali, ma anche a non sottacere le rilevanti opere pubbliche eseguite dai Paesi colonizzatori (strade, ponti, bonifiche, porti, scuole, ospedali, edifici di pubblica utilità), l’istituzione di un sistema formativo per i popoli conquistati, il mantenimento dell’ordine pubblico, l’abolizione della schiavitù, l’adozione di standard sanitari di gran lunga superiori a quelli precedenti e molti altri meriti ascrivibili agli Stati europei invasori.
Da questo prende le mosse l’idea, avanzata da diversi intellettuali a livello puramente teorico, inerente una sorta di ritorno al fenomeno coloniale, privo tuttavia dell’aspetto invasivo: sarebbero indispensabili, in buona sostanza, un limite temporale e il consenso dello Stato destinatario dell’intervento o, quanto meno, il mandato diretto delle Nazioni Unite. Una sorta di protettorato rafforzato o di amministrazione fiduciaria sulle mosse di quella italiana sulla Somalia, tra il 1950 e il 1960.
Immigrazioni e colonialismi3Una scelta siffatta determinerebbe tutta una serie di ulteriori implicazioni, per la cui analisi non è certo questa la sede ma se, dunque, un’idea del genere comincia a farsi timidamente strada, almeno con riferimento ai primi intrepidi pionieri, non può non citarsi un tentativo di traduzione di essa in termini politici. Mi riferisco, difatti, alla risoluzione n. 7-00565, presentata in data 14 settembre 1998, dall’On. Mario Pezzoli, deputato di Alleanza Nazionale, intesa ad obbligare la XIV commissione della Camera dei Deputati (politiche comunitarie) affinché impegni il Governo «a farsi latore, nelle competenti sedi internazionali, d’un piano d’intervento diretto, nei principali Paesi di provenienza delle correnti migratorie, che preveda l’affidamento consensuale di questi Paesi alla supervisione di una Nazione amica», la quale dovrà predisporre un programma di sviluppo descritto nei punti seguenti della risoluzione.
Potrà essere una linea d’intervento condivisa o meno, ma è parimenti innegabile che appare non più procrastinabile l’esigenza di intervenire in loco, perché altrimenti, agendo pur con tutto il rigore possibile solo sul nostro territorio, rischiamo l’anestetizzazione del problema, le sue conseguenze, i sintomi della patologia, mentre le reali cause del fenomeno migratorio resteranno, inalterate, quelle di sempre.
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di © Fabrizio Primoli – Tutti i diritti riservati

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