Alla superficialità non c’è rimedio. Oggi l’ignoranza è una scelta. I documenti, rispetto ad alcuni anni fa, sono facilmente reperibili. Spesso basta un click per avere sotto gli occhi foto, video e testi che raccontano i fatti, il passato.
Eppure c’è chi ancora si ostina a pubblicare testi che con i fatti e i documenti poco o nulla hanno a che fare. Ma pescano a piene mani nella malafede, nel pettegolezzo e nella falsità.
È il caso, ancora, della presentazione di giugno a Roma del libro “Storia del colonialismo italiano” di Valeria De Plano e Alessandro Pes (Università di Cagliari) che ebbe l’introduzione di Alessandro Triulzi.
Introduzione che per i suoi contenuti totalmente errati qualificano non solo l’oratore ma il libro che si stava proponendo al pubblico.
Pensavo di non dover tornare sulla questione più per noia che per mancanza di tempo.
Eppure, ed è singolare, dopo l’articolo “Triulzi: ignora la verità o la tace?” il video della presentazione, tanto decantata dagli organizzatori sulla pagina Facebook “Memorie Coloniali”, è stato rimosso dalla rete.
Allora mi sono incuriosito ed ho approfondito l’intera presentazione ascoltando – ahimè – tutti gli interventi (si, il video della conferenza anche se rimosso dalla rete è salvato sul mio pc).
Qui sotto, dopo il video con alcuni estratti, seguono le dichiarazioni degli autori e gallerie fotografiche a commento. A sinistra il video rimosso.
Per non tediare chi legge, oltre il necessario, mi soffermerò solamente su un paio di affermazioni marchiane dei due autori.
Valeria Deplano afferma che il colonialismo è “una storia di militari che vanno a occupare Libia, Eritrea, Somalia ed Etiopia”.
Ecco quindi ad esempio il Sapeto (missionario ed esploratore) e la Compagnia Rubattino che acquistarono (non occuparono) nel 1869 la baia di Assab, in quella che poi sarà la futura Eritrea, evitiamo di menzionarli?
Dimentichiamo, sempre solo per esempio, nel 1938 la migrazione dei “ventimila” coloni voluta da Italo Balbo? Ventimila italiani, civili, contadini che si trasferirono in quella che, solo l’anno dopo, diverrà la diciannovesima regione d’Italia.
Dimentichiamo anche: Dianchi, Giordani, Micca, Oliveti, Tigrinna, Crispi, Garibaldi, Gioda, Marconi, Tazzoli, Corradini, Breviglieri che non sono i nomi di caserme ma di villaggi agricoli creati dal nulla e nel nulla dei deserti libici per dare lavoro agli italiani e ai locali. (l’articolo prosegue dopo la galleria fotografica)





Dimentichiamo anche le centinaia di concessioni agricole di Genale, in Somalia, popolate da un centinaio di famiglie di italiani. Civili con al seguito mogli e figli.
Si, le dimenticanze sono molte e si potrebbero citare decine di altri esempi: agricoltura sperimentale, blocco della desertificazione, musei, scavi archeologici…
Dunque ora non abbiamo più la deplanesca storia “di militari che vanno ad occupare” ma abbiamo una storia di uomini che vanno a colonizzare. La prospettiva cambia. La storia cambia. Il vizio di mistificare no!
Alla luce dei fatti, delle foto, dei video, dei documenti (non millantati) tutto muta e squalifica le opinioni. (l’articolo prosegue dopo la galleria fotografica)









Segue l’intervento di Alessandro Pes. Ci spiega che “una egemonia culturale ha riempito la società di stereotipi. Di stereotipi assolutamente non astorici ma antistorici che non hanno alcuna prova scientifica, cioè dentro la storia del colonialismo, non c’è alcun documento che possa dar credito agli stereotipi che sono stati diffusi nella società italiana, su quella storia, a partire dalle strade, fino ad arrivare al colonialista buono che zappava la terra insieme al libico o all’eritreo. Non ce n’è nemmeno uno”.
Rileggiamolo: “nessuna prova scientifica. A partire dalla strade”. (l’articolo prosegue dopo la galleria fotografica)



























Pes ci sta dicendo quindi che la litoranea libica, detta Balbia, quasi 2.000 km, non esiste?
Ci sta dicendo che le migliaia di chilometri di strade, cosiddette imperiali, in Etiopia non esistono. Stessa cosa le migliaia di chilometri di asfalto stesso in Somalia ed Eritrea tra decine, quando non centinaia di ponti nelle colonie, non esistono? Davvero lo ha detto?
Per non parlare delle ferrovie. Non sono degne nemmeno di una bugia le strade ferrate.
Ci sarebbe ancora l’affermazione sul colonialista (non) buono che non zappa la terra, ma tanto basta quanto già messo in luce per qualificare questo nuovo libro compilato dalla Deplano e Pes come se già la presentazione di Triulzi non fosse stata sufficiente per presentarci il “gruppo di lavoro”.
di Alberto Alpozzi
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Personalmente ritengo che il Colonialismo, al netto di comportamenti predatori che talvolta ci sono stati, fosse un regalo ed un’occasione per quelle popolazioni di emanciparsi economicamente e culturalmente. Questo è più vero per il Colonialismo italiano che ha cercato di dare la nostra impronta anche negli edifici, alcuni dei quali (vedi la Stazione di Servizio non ricordo dove) sono dei veri capolavori architettonici. Ma a questi pidocchi piace evidentemente come è ridotta ora l’Africa, che viene sfruttata persino come nostra discarica! E’ l’ipocrisia dei progressisti da salotto!
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Immagino che lei si riferisca ad Asmara. La stazione di servizio è, perché so che esiste ancora, é FIAT Tagliero
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