Ferrovie coloniali. Le locomotive diesel

Una delle cose che più ha affascinato l’uomo moderno è la locomotiva a vapore: il suo pulsare, il suo calore, il movimento delle articolazioni delle bielle la fanno assomigliare a un corpo vivente; il fumo, il fuoco e l’aspetto tenebroso fanno volare la fantasia e ne hanno fatto, fra tutte le realizzazioni della tecnica, sicuramente la più suggestiva. C’è però il rovescio della medaglia.
Si tratta di una macchina il cui rendimento rispetto alla potenza installata è molto basso, i meccanismi richiedono una continua manutenzione e se si vuole il massimo rendimento è necessario personale che non solo sia competente, ma sia anche capace di intuire le sue “necessità” e di sfruttarla al meglio manovrando i comandi in modo abile ed equilibrato.

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Ne deriva che la condotta delle locomotive, sempre impegnativa anche sulle linee europee, diventava proibitiva nei territori coloniali dove l’andamento accidentato e le scarse risorse locali rendevano difficile l’esercizio.
Nei primissimi anni del ‘900 gli esperimenti alternativi con macchine ad accumulatori e con motori endotermici non dettero alcun risultato apprezzabile e si constatò, in Italia e in altre paesi, che l’unica scelta possibile era l’elettrificazione, che per i suoi costi e per il dover rialzare le volte delle gallerie era peraltro impensabile estendere sulle linee dove il traffico era meno remunerativo o lontane da grandi centrali elettriche. Rimase quindi ancora molto diffusa la trazione a vapore tanto in madrepatria che nelle colonie.
Nondimeno fra le due guerre continuarono gli esperimenti sia con i motori a benzina che diesel: i primi si affermarono rapidamente sulle “littorine” passeggeri o su piccoli automotori da manovra, mentre i secondi in un primo tempo non dimostrarono inizialmente sufficiente affidabilità e potenza essendo richiesti per il traffico merci di linea sforzi molto impegnativi.

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Fu la Somalia ad essere scelta per uno dei primi test del motore diesel: l’unica ferrovia della regione, la Mogadiscio-Villaggio Duca degli Abruzzi, dall’andamento favorevole e con treni non molto pesanti sembrava idonea per sperimentare una locomotiva destinata, a differenza delle automotrici, al traino di treni merci o di carrozze. L’amministrazione acquistò due macchine: ne avrebbe volute di più ma vi rinunciò a causa del loro alto costo che tuttavia, assieme ad alcuni locotrattori realizzati sul posto, si dimostrarono sufficienti ad assicurare tutti i servizi ed a eliminare rapidamente la trazione a vapore.
Si trattava di esemplari costruiti dalla Fiat-Tibb con un motore diesel VM 166 da 150 cavalli che alimentava il motore elettrico TIBB di trazione. Rispetto alle loro dimensioni erano molto pesanti, con una tara di 22 tonnellate e una velocità massima teorica di 50 chilometri orari.
Si dimostrò poco indovinata la struttura: alte e strette avevano un baricentro troppo elevato che imponeva basse velocità e provocava pericolosi ondeggiamenti.
Nel 1942, quando gli inglesi smantellarono la ferrovia, vennero portate in Eritrea dove funzionarono a lungo come generatori fissi di energia elettrica e il relitto di uno dei due esemplari sopravvive ancora oggi in completo abbandono nella stazione di Mai Atal fra Dogali e Ghinda.

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Per la ferrovia dell’Eritrea la faccenda si presentava più complicata. Qui si trattava di disporre di locomotive molto più potenti e veloci e in grado di arrampicarsi senza difficoltà sull’altipiano fornendo prestazioni per le quali l’industria nazionale, fra gli anni ’20 e gli anni ’30, non era ancora preparata . L’esigenza di sostituire progressivamente la trazione a vapore divenne più pressante a fine anni ’30 con la crescita esponenziale del traffico e un problema analogo sorse anche per l’Addis Abeba-Gibuti. La Fiat si mise al lavoro e nel 1939 fu in grado di presentare il progetto di quanto serviva e si assicurò una prima fornitura di quattro locomotive diesel-elettriche con motore da 12 cilindri erogante una potenza di 550 cavalli, di tutto rispetto per una linea a scartamento ridotto dove il peso per asse e la lunghezza delle locomotive imponevano dei limiti oggettivi. Erano macchine moderne e dalla bella linea, che sostanzialmente anticipava quella che sarebbe stata adottata per le locomotive diesel delle Ferrovie dello Stato nel dopoguerra. Ricevettero la marcatura DE 201-204.
Lo scoppio del secondo conflitto mondiale impedì che venissero spedite in colonia e in pratica se ne perdono le tracce. Alcune fonti affermano che due o tre di queste siano state dirottate in Libia dove almeno una fu distrutta dagli eventi bellici e le altre avrebbero funzionato fino alla chiusura definitiva della rete nel 1965, ma non esistono né testimonianze documentali né immagini.

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E infine la Libia. Dopo un infelice e prematuro esperimento sulla rete a scartamento ridotto con due fin troppo grosse locomotive Deutz, tutt’altra importanza ebbero le vicende della grande arteria costiera a scartamento normale costruita in fretta dopo il 1940 alla quale, anche se con motivazioni opposte, lavorarono italiani e inglesi e che da Sollum, capolinea occidentale delle ferrovie egiziane, arrivò fino a Tobruk. Ebbe una grande rilevanza per le operazioni belliche e si pensava di prolungarla a verso la Sirte e il lontano confine tunisino. Tutto il materiale dovette essere portato dall’Italia perché le reti libiche di Bengasi e di Tripoli, in funzione da decenni, erano a scartamento ridotto. Il problema si risolse alla meno peggio importando 40 piccoli automotori da manovra. Si trattava di macchine di risibile potenza concepite per manovrare qualche carro negli scali meno affollati e non certo per trainare pesanti convogli militari in zona di guerra. Ne giunsero 32 dei 40 previsti in quanto alcuni andarono persi per l’affondamento della nave che li trasportava e accanto ad essi operarono tre piccole locomotive diesel dell’esercito tedesco.
Ovviamente emerse subito la necessità di disporre in fretta di qualcosa di più potente e così furono commissionate alla OM di Brescia quattro locomotive da treno.

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Sfruttando quanto era già disponibile in azienda montavano motori, carrelli e organi meccanici di automotrici passeggeri. La carrozzeria aveva un’intercapedine esterna che poteva essere riempita con sabbia in modo da costituire una protezione abbastanza efficace: così appesantite le loro prestazioni però risultavano modeste e quindi ancora una volta il problema di disporre di una macchina endotermica di potenza elevata rimase irrisolto ma comunque l’andamento sfavorevole della guerra non permise che raggiungessero il fronte.
A inizio 1943 tre di queste locomotive erano pronte mentre la quarta non fu terminata. Rimasero accantonate a Milano efficienti e senza subire danni finché nel 1948, eliminata la blindatura e modificata profondamente la carrozzeria, vennero acquisite dalle Ferrovie dello Stato, ma all’inizio degli anni ’50 furono vendute alla ferrovia Ferrara-Codigoro all’epoca in concessione alla Società per le Ferrovie Padane e oggi al TPER, dove vennero immatricolate come Ln 372.1-3 ma, ricordando la loro origine, vennero correntemente chiamate Tobruk e su questa linea furono utilizzate fin quasi ad oggi.
Due unità furono demolite nel 2011 mentre la 372.2 è tuttora conservata in cattive condizioni nel deposito di Ferrara in attesa di un suo (improbabile?) ripristino per treni storici.

di Guglielmo Evangelista

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