«Un colonnello inglese ci guardò, noi gli chiedemmo aiuto, ma lui proseguì». L’eccidio di Mogadiscio nei ricordi di Anna Azan

La barbarie inglese nella Mogadiscio del ’48. La testimonianza di Anna Azan, moglie di Folco Quilici.
La Somalia post-coloniale era in attesa di una nuova amministrazione che la preparasse all’indipendenza. Amministrazione contesa tra inglesi e italiani. Gli inglesi cercarono di boicottare le manifestazioni filo-italiane. Nel Gennaio 1948 l’Inghilterra organizzò e orchestrò quello che è ricordato come l’eccidio di Mogadiscio. Vennero importati dal Somaliland e dal Kenia (entrambi territori inglesi) gruppi di somali infiltrandoli in una manifestazione con il chiaro intento di dimostrare che gli italiani non erano graditi. Fu una strage.

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L’11 Gennaio 1948 Anna aveva sei anni. Era domenica e gli italiani stavano per recarsi a messa quando si scatenò la caccia agli italiani. Anna in quel tragico giorno perse il padre. Troppe furono le bugie raccontate su quell’infame pogrom premeditato.
Così ricorda quei momenti in un’intervista rilasciata nel 2005 al quotidiano “La Repubblica”:
«Mio padre venne ucciso quando si scatenò la caccia agli italiani e venne sepolto nel cimitero che ora è stato distrutto. Era la mattina dell’11 gennaio 1948. Quando stavamo per uscire lui arrivò di corsa con una pistola in mano e ci urlò: “Nascondetevi in casa, chiudete tutte le porte e le finestre, qui sta succedendo un macello”. Io avevo sei anni ma mi ricordo benissimo tutto perché mio padre non l’ho mai più visto. Mia madre, mia nonna, il mio fratellino ed io ci nascondemmo tra due armadi. Mia madre prese un sacchetto e ci mise dentro di tutto quello che c’era di soldi e di gioielli in casa».
Decine di abitazioni vennero saccheggiate e depredate: «Quando entrarono, devastarono completamente tutto, poi arrivarono a noi, colpirono mia madre ma grazie ai soldi e ai gioielli lei riuscì, consegnandoli, a salvare tutti noi. Poi venne un uomo che ci conosceva e ci portò fuori dalla casa. Io fui la prima a uscire dal cancello e vidi mio padre sanguinante sulla strada».
Infatti i morti restarono abbandonati per ore lungo le strade e ai feriti non vennero prestati soccorsi dalla gendarmeria britannica che osservava incurante il massacro. Molti furono anche i somali uccisi, 14 in tutto, tra i quali Hawo Tako, che cercarono di proteggere gli italiani.
«Ricordo perfettamente che arrivò una jeep con un colonnello inglese, si chiamava per forza Smith, aveva le scarpe Clark, i calzettoni bianchi, i pantaloni corti e il frustino. Ci guardò, noi gli chiedemmo aiuto, ma lui proseguì. Per fortuna dall’altra parte della strada c’era la nostra chiesa cattolica e uscirono fuori i francescani che caricarono mio padre e mia madre feriti su una macchina e li mandarono all’ospedale, dove mio padre visse ancora due o tre giorni e poi morì, mentre io, mia nonna e mio fratello rimanemmo chiusi nella chiesa per quasi una settimana. La chiesa era piena, perché c’erano quelli che erano andati alla Messa delle undici e tutti quelli che erano per strada e vi si erano rifugiati».

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Circa 800 italiani riuscirono a salvarsi riparandosi all’interno della Cattedrale, rimanendovi chiusi dentro per ore.
Molti superstiti nei giorni successivi furono rinchiusi in una sorta di campo di concentramento allestito dagli inglesi dove dovettero anche pagare una sorta di affitto per le spese di mantenimento del campo stesso. Il danno e la beffa.
Il padre di Anna aveva trentanove anni, si trovava in Somalia dal 1938. Lui, come altri 54 italiani, quell’11 Gennaio 1948 vennero uccisi. «Famiglie intere, vecchi e bambini. Fu tutto organizzato dagli inglesi. L’Onu doveva decidere se consegnare la Somalia alla Gran Bretagna, che l’aveva occupata, oppure farne un protettorato italiano. C’erano continuamente manifestazioni di somali a favore o contro una di queste soluzioni. La gente di Mogadiscio stava con gli italiani. Per questo gli inglesi portarono nella capitale gente delle tribù del Nord, che ci odiavano e che, quella mattina, massacrarono tutti quelli che trovarono».
Il trauma fu grande. Anna fu mandata in Italia a studiare. Ritornò in Somalia solo dodici anni dopo per ricongiungersi con la madre. A Mogadiscio si sposò la prima volta ed ebbe tre figli.

La responsabilità dell’eccidio furono ammesse dal governo di Londra solamente dopo molti anni, quando venne istituita una commissione di inchiesta presieduta dal maggiore Flaxman e dal console italiano a Nairobi, Della Chiesa, ma solo come osservatore. Furono ascoltate e messe a verbale le testimonianze di 102 italiani dalle quali furono chiare le responsabilità degli inglesi. Il risultato dell’inchiesta, noto come “Rapporto Flaxman” fu dichiarato top secret fino alla sua recente declassificazione.

di Alberto Alpozzi

Si ringrazia Anna Azan per aver permesso la pubblicazione della sua testimonianza e Enrico Maragliano per la gentile collaborazione.

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