Nei rapporti segreti della CIA la verità sulle colonie italiane

Desecretati migliaia di documenti dei servizi segreti americani emergono diverse verità scomode sulle colonie italiane.
Nel documento 106188 del Central Intelligence Group (1946-1947, il diretto predecessore della C.I.A.) CONSIDERAZIONI SIGNIFICATIVE RIGUARDO ALLA DISPOSIZIONE DELLE COLONIE AFRICANE ITALIANE (Significant considerations regarding the disposition of the italian african colonies) del 25 luglio 1947 vengono esposti il conflitto di interessi degli Alleati in Africa e la situazione economica delle colonie italiane: Libia, Eritrea e Somalia. Non viene considerata l’Etiopia.

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Consapevoli che le ripercussioni del conflitto sarebbero state a lungo termine e che “le capacità dei Big Four di raggiungere i rispettivi obiettivi dipendono in modo importante dalla disposizione finale che verrà fatta delle colonie africane italiane” erano desiderosi di mettere le mani sui territori italiani ma dovevano evitare assolutamente “l’indipendenza immediata o prossima per le colonie” perché “avrebbe messo a repentaglio gli obiettivi degli Stati Uniti indebolendo ulteriormente la posizione del Regno Unito e della Francia”.
Erano consapevoli che “il risentimento arabo per gli sforzi britannici e francesi di perpetuare una politica di imperialismo (aggravato dalla posizione degli Stati Uniti sul problema della Palestina)” stava alimentando “una situazione con caratteristiche intrinsecamente esplosive” e che sarebbe sfociata, come poi accadde, “in rivolte locali contro le potenze occidentali”.
Basta conoscere i fatti storici per interrogarsi sul perché al tempo della decolonizzazione in Somalia (dopo l’Amministrazione Fiduciaria italiana), questa avvenne in maniera assolutamente pacifica e senza problemi mentre in quasi tutto il resto dell’Africa fu contrassegnata da eccidi, rappresaglie e barbarie inenarrabili: la lotta dei Mau Mau in Kenia con eccidi di coloni inglesi, le violenze nella Rhodesia e nel Mozambico, la guerra civile in Algeria…
Dall’altra erano consapevoli che “una disposizione delle colonie in cui l’Italia non avrebbe alcuna partecipazione indebolirebbe l’attuale governo anticomunista italiano” proprio nel momento in cui gli Stati Uniti stavano cercando di rafforzarlo sia con assistenza politica sia economica.
Per gli Stati Uniti le colonie italiane di per sé non avevano alcuna importanza economica rispetto alla sicurezza ma indirettamente la Libia, ad esempio, avrebbe potuto fornire uno sbocco per gli emigranti italiani e quindi un’opportunità, seppure limitato, per il commercio estero, che sarebbe potuto essere utilizzato come “strumento per promuovere gli obiettivi economici degli Stati Uniti in Italia”.
I francesi dal canto loro temevano che “qualsiasi cambiamento radicale nello status delle colonie nordafricane” potesse trasformarsi in un precedente dannoso “da qui il forte sostegno francese alla rivendicazione dell’Italia sulle sue colonie prebelliche”.
Nel mentre la neonata Repubblica Italiana, pur avendo firmato il 10 febbraio 1947 il Trattato di pace col quale rinunciava a tutti i diritti e titoli sulle colonie, spingeva ugualmente sul ritorno delle colonie all’Italia per raggiungere stabilità politica e riabilitazione “basando il caso sul fatto che all’Italia è stato successivamente accordato lo status di paese belligerante dagli Alleati; che tutte e tre le colonie sono state acquisite prima dell’ascesa del fascismo; che la Libia prima della guerra era diventata parte integrante dell’economia italiana; che le colonie sono state sviluppate attraverso lo sforzo italiano; e che molti italiani vi sono emigrati”.

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Per gli Stati Uniti “la minore quantità di questi territori provocherebbe solo un risentimento limitato” poiché l’Italia “non ha mai realmente tratto profitto economico dal suo possesso dell’Eritrea e della Somalia italiana”.
Ma se da una parte un ritorno delle colonie all’Italia o la designazione dell’Italia come autorità amministrativa di un territorio fiduciario sotto l’ONU avrebbe dato un contributo al morale italiano e alla stabilità politica dall’altro probabilmente non sarebbe stata decisiva nel mantenere l’amministrazione anticomunista che serviva agli Stati Uniti. Inoltre si preoccupava che escludere l’Italia dalla partecipazione avrebbe annullato “in una certa misura i guadagni derivanti dall’assistenza degli Stati Uniti con altri mezzi”.
Il documento declassificato passa ad esporre lo stato delle colonie italiane (Libia, Eritrea e Somalia) nel 1947 amministrate dalle forze britanniche di occupazione. Il Fezzan invece era gestito da un’amministrazione militare francese.
Ecco l’analisi chiara e lucida delle colonie italiane fatta dagli americani.
“La LIBIA non riuscì a dimostrare di essere una fonte di materie prime e solo con il sostegno finanziario e morale del governo diede un limitato sollievo alla pressione demografica italiana alla fine degli anni ’30”.
Gli americani rilevarono anche che “le lamentele libiche sono state forti contro l’occupazione britannica per es. incentrate al momento sulle condizioni di carestia che sono risultate dai fallimenti dei raccolti” e che “le rivolte antiebraiche hanno avuto luogo in Tripolitania nel 1945” durante l’amministrazione militare inglese.
Nel rapporto dell’intelligence americana si legge che “economicamente, l’ERITREA era un peso per l’Italia prima della guerra, e non c’è alcuna prospettiva che possa mai diventare più preziosa per una potenza coloniale come luogo di insediamento”.
Gli americani ritenevano inoltre che ci fosse “poca probabilità che il paese possa mai essere industrializzato o che la bilancia commerciale sfavorevole prevalente prima della guerra cambi”. Come scrisse poi anche lo storico inglese Denis Mack Smtih: “Nelle colonie furono riversati ininterrottamente fiumi di denaro, con guadagni assai scarsi, e la bilancia commerciale, a dispetto di tutte le speranze, in nessun momento favorevole all’Italia”.
Della storia dell’Eritrea conoscono poco ma quanto basta. Sanno che “dopo il suo acquisto da un sultano nativo da parte di una compagnia di navigazione italiana, l’Italia, tramite una serie di trattati con potentati nativi e altri avamposti europei, estese il suo dominio al porto di Massaua e poi occupò l’area tra questi due porti. Nel 1890 le colonie del Mar Rosso furono unite dalla monarchia in un’unica provincia, sotto amministrazione militare, chiamata colonia d’Eritrea. Nel 1896, l’amministrazione civile fu introdotta in Eritrea e la colonia proseguì con un progresso costante ma piuttosto lento”.
La SOMALIA ha un “territorio eccezionalmente carente di risorse naturali di valore per una nazione colonizzatrice […] I depositi minerali, ad eccezione del sale, sono stati trovati troppo insignificanti per meritare lo sfruttamento” pur tuttavia rilevano che “gli italiani, dopo il 1922, hanno cercato energicamente di sviluppare un’agricoltura redditizia, il cotone essendo la principale coltura coltivata. Ciò è stato fatto, tuttavia, solo attraverso sussidi governativi e la colonia è sempre stata gestita dagli italiani con una perdita considerevole”.
Come per l’Eritrea, conoscono i fatti basilari della storia della Somalia: “Nel 1889, la Somalia meridionale fu affittata all’Italia dal sultano di Zanzibar, mentre la Somalia settentrionale fu posta sotto la protezione italiana da trattati con sultani nativi”.
Quindi per riassumere si evince che, a dispetto di una certa narrazione bugiarda sempre pronta a mistificare la storia infarcendola di bugie ideologiche, quelle regioni africane divennero colonie italiane non tramite invasioni e occupazioni ma principalmente tramite acquisto (Eritrea) e affitto (Somalia) e che soprattutto il loro possesso non fu basato sullo sfruttamento bensì sull’investimento.
Ma non erano necessari i documenti segreti della CIA, semplicemente hanno confermato quanto i fatti documentati hanno sempre raccontato.

di Alberto Alpozzi

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