I Regi Corpi Ascari della Guardia di Finanza, di Marina e della Guardia Forestale

Dopo aver fatto un paio di viaggi nella nostra lunga e gloriosa storia militare che ci hanno portato prima in Venezuela e poi in Brasile, è tempo di rientrare nelle nostre bellissime ed amatissime colonie africane.
Per farlo, quale argomento migliore dei nostri amatissimi e fedelissimi Ascari? Infatti in questo articolo vorrei dedicare la mia (e spero anche vostra) attenzione proprio a loro e nello specifico ad alcuni corpi che, sebbene già molto famosi a noi tutti, in realtà nascondono una piccola parte di storia che non molti conoscono. I corpi a cui mi riferisco sono questi: Regia Marina, Regia Guardia di Finanza e Guardie Forestali.
Infatti, come detto, pochi sono a conoscenza del fatto che anche questi corpi ebbero al loro servizio un loro proprio corpo di Ascari, che, grazie al loro impegno, dedizione ed efficienza, provarono ancora una volta all’Italia la loro infinita e grata fedeltà!
Ma partiamo con ordine ed analizziamo il primo di questi corpo di Ascari coloniali: Gli Ascari della Regia Guardia di Finanza!
IMG_E3395La Regia Guardia di Finanza era presente in Eritrea, con proprio distaccamento, già dal 1866. Già da allora però si era reso necessario un programma di arruolamento di indigeni per 2 motivi principali: il primo era la conoscenza del territorio che essi potevano avere e che per i nostri finanzieri connazionali era di fondamentale importanza dovendo instaurare un sicuro regime di controllo doganale. Il secondo erano le conoscenze dei metodi di contrabbando ed intrusione illecita di persone/merci che gli eventuali malfattori usavano nella zona (metodi e tecniche invero sconosciute ai finanzieri italiani – ferrati su tecniche molto diverse – ma che potevano essere ben conosciute da chi invece in quella terra ci viveva).
Venne quindi avviato il processo di arruolamento a cui si poteva aderire solo con determinati requisiti: Forma fisica atletica con criteri leggermente più stringenti di quelli utilizzati per l’arruolamento dei militari indigeni del RCTC, vista eccellente (si facevano test visivi sia diurni (merci) che in notturna (merci e/o persone) dove il candidato doveva provare la capacità di rilevare oggetti di piccoli dimensioni ben nascosti in breve tempo o persone intente a varcare illegalmente i confini coloniali anche in notturna a grande lontananza dal posto di guardia) e capacità (anche puramente basilari) di conto, lettura e scrittura.
Ottenuti questi requisiti i candidati venivano avviati a dei corsi intensivi di lettura e scrittura italiana nonché un corso intensivo di calcolo matematico e contabile (in taluni casi avanzato), oltre ai vari addestramenti di natura militare del caso.
È importante sottolineare che tutti i corsi e l’addestramento erano interamente a spese italiane e la paga dei futuri idonei era leggermente maggiorata sia per via del maggiore impegno richiesto, sia poiché in questa maniera si evitava di incorrere nel rischio di eventuale corruzione che sicuramente i contrabbandieri avrebbero utilizzato per garantirsi un sicuro ingresso nei nostri territori.
Alla fine dell’anno i pochi idonei al servizio di guardia intorno alla cinta doganale furono 35 Basci Buzuk inquadrati da due Bulukbasci.
Nonostante il numero esiguo le operazioni di controllo con i nuovi finanzieri indigeni si rivelarono un grande successo! Vennero sequestrate tonnellate di merci e fermati/respinti decine di contrabbandieri e clandestini, provenienti in gran parte dall’Etiopia.
Dato il grande successo nel novembre del 1887 venne rinnovato il bando di arruolamento, che prese ufficialmente il nome di “Corso per Basci Buzuk Allievi Guardie di Finanza” da cui uscirono 15 candidati idonei.
Sempre nel 1887 vennero arruolati, in ausilio al personale del “Servizio Navale” di Massaua, sei marinai indigeni a cui fu affidata la manutenzione dei 3 battelli addetti alla vigilanza doganale marittima.
Nel 1891, finalmente, con il D.G. n.12 del 20 Marzo 1891, impiegando parte della disciolta Orda Interna dei Basci Buzuk si costituiva un “Buluk Doganieri” con 52 Ascari di Finanza suddivisi in: 5 Bulucbasci, uno Scrivano Aggiunto ed un Bimbasci.
Nonostante i successi del corpo, dopo Adua, le esigenze di bilancio della Colonia Eritrea cominciavano a farsi sentire ed il contingente del corpo veniva gradualmente ridotto, fino a contare, soprattutto a seguito della istituzione del Corpo delle Guardie Doganali nel 1932, pochi elementi nazionali alle dipendenze dell’amministrazione civile.
Ad ogni modo, come detto, l’attività dei nostri ascari finanzieri non era finita. Istituito il Corpo delle Guardie Doganali nel 1932, che prese poi il nome di “CORPO DELLE GUARDIE INDIGENE DI DOGANA” come indicato nel D.G. n. 6154 del 1 luglio 1932, la sua attività era più sviluppata che mai portando con se moltissimi successi e vittorie sino allo sfortunato giorno in cui le nostre colonie in AOI caddero in mani nemiche.
Il corpo aveva raggiunto un organico di: 50 Guardie Doganali, 4 Muntaz di Dogana, 3 Bulukbasci ed uno Sciumbasci ed ora costituiva a tutti gli effetti “Un reparto militarizzato facente parte dell’amministrazione civile della colonia” ( D.G. n. 6154 del 1 luglio 1932), ed era posto alle dipendenze della Direzione dei Servizi Doganali.
Per quanto riguarda le uniformi l’articolo 6 del già citato D.G. Del 1932 prevedeva una divisa ordinaria ed una festiva; l’uniforme ordinaria era composta da: tarbusc con fiocco “giallo-finanza” e recante il fregio della R. Guardia di Finanza (fucili incrociati, cornetta e granata a fiamma dritta) ricamata a mano in filo giallo su panno verde; giubba di tela cachi chiusa da cinque bottoni in metallo bianco e 4 tasche, anche queste chiuse da bottoni in metallo bianco; fascia in colore “Giallo-finanza” (che di fatto era praticamente identica al giallo usato nelle fasce per l’artiglieria), pantaloncini corti in tela cachi con fasce mollettiere dello stesso colore e sandali; come soprabito, era prevista la mantellina grigio-verde.
La divisa festiva era costituita dagli stessi capi di quella ordinaria, ma con la giubba ed in pantaloni in tela bianca al posto che cachi.
I distintivi di grado erano costituiti da galloni in lana rossa portati orizzontalmente sulle maniche e con le seguenti caratteristiche: un gallone largo 10mm per il Muntaz, due galloni larghi 8mm e distanti 4mm fra loro per il Bulukbasci; tre galloni larghi 7mm e distanti 4 fra loro per lo Sciumbasci.
L’armamento era composto dal fucile Vetterli mod.1870/87 con baionetta corta e dalla pistola Bodeo mod.1889, per il munizionamento era prevista una bandoliera da con 24 cartucce.
Interessante notare che in questo ambito, l’articolo 10 prescriveva inoltre che: “Nei servizi di perlustrazione le Guardie vanno armate di moschetto e baionetta. Nei servizi nei recinti doganali e sulle banchine vanno armati soltanto di pistola”.
E con questo direi che è giunto il momento di passare al secondo corpo preso in esame da questo articolo. Quello degli Ascari della regia Marina!
IMG_E3397Fin dal 1880 la Regia Marina, seguendo l’esempio delle altre marine europee presenti nell’Oceano Indiano con naviglio mercantile o da guerra, aveva cominciato ad assumere personale indigeno per i lavori di fatica a bordo o nei porti. Successivamente però, visti i positivi risultati delle prime esperienze ed essendo aumentata – con l’occupazione di Massaua e della costa Eritrea – la necessità necessità di disporre di navi stazionarie si stava facendo sentire e per aumentarne il numero ecco che anche la marina faceva abituale ricorso (come il Regio Esercito) all’arruolamento di personale indigeno dai centri costieri dell’Eritrea e del Benadir ma anche – e qui la marina si differenziava dall’esercito-dallo Yemen e dall’Hadramut (entrambi luoghi dove gli italiani erano ben visti ed accetti).
Col tempo andava sempre più perfezionandosi ed organizzandosi l’arruolamento di questo personale, che finiva così per essere “passato in rassegna” tra le varie unità navali che si avvicendavano nel Mar Rosso e nell’Oceano Indiano, pur restando sotto l’amministrazione del distaccamento della R. Guardia Di Finanza di Massaua che allora ne deteneva ancora appunto l’amministrazione.
Nuovo impulso all’arruolamento dei militari indigeni di Marina veniva dato dalla necessità, particolarmente sentita ad inizio secolo, di agire in contrasto alla pirateria, al contrabbando ed alla tratta degli schiavi lungo le coste del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano.
Come detto il problema era ben sentito e necessitava una risoluzione. Il problema era: Come? Le grandi unità navali italiane non potevano essere impiegate efficacemente contro i veloci e sfuggenti battelli dei trafficanti/contrabbandieri, servivano quindi unità altrettanto rapide, con a bordo personale qualificato e ben addestrato in grado di presentarsi ed agire in maniera fulminea senza lasciare scampo ai battelli criminali. Tuttavia far arrivare queste unità dall’Italia avrebbe richiesto tempo e molte risorse mentre il problema si stava facendo sempre più pesante.
Ma la soluzione si sarebbe presentata presto da sola: I Sambuchi!
Gli ufficiali della Regia Marina notarono da subito queste piccole e veloci imbarcazioni, decidendo così di acquistarne un sufficiente numero per contrastare la pirateria. Ed ecco anche il motivo dell’impulso all’arruolamento indigeno! Serviva come detto personale qualificato (che conoscesse il territorio, ma soprattutto le sue coste, insenature e corsi d’acqua navigabili) e ben determinato, chi dunque meglio dei residenti indigeni sulla costa? Essi, fra l’altro, risposero con grande entusiasmo in quanto i pirati – per non parlare dei mercanti di schiavi che andavano a rapire le persone direttamente sulle coste per poi rivenderli agli etiopi – erano infatti i responsabili della sistematica distruzione dell’economia ittica eritrea, per la quale moltissimi spendevano energia e fatiche dato che per loro era una delle più importanti fonti di sostentamento! Quindi la possibilità di difendere loro e le loro attività entrando nella neonata squadra della Regia Marina preposta alla caccia ai pirati non parse loro vero poiché nessuno prima di allora si era interessato a loro!
L’arruolamento quindi si era rivelato un successo che travalicava persino le aspettative dato che persino indigeni dello Yemen si erano recati in eritrea per arruolarsi con i nostri marinai (eh già i pirati facevano danni anche lì ed inglesi e francesi se ne fregavano bellamente), tempo un paio di giorni e gli organici per rendere pienamente operativa la neonata “Squadriglia dei Regi Sambuchi” erano già stati raggiunti! Si poteva passare ora alla formazione, istruzione ed addestramento (altro motivo per cui poi gli indigeni erano grati: infatti grazie ai marinai italiani che fungevano da professori ora tutti gli indigeni imbarcati sapevano leggere, scrivere e far di conto fluentemente e senza aver speso un singolo soldo).
La prima operazione tuttavia non aveva tardato ad arrivare e presto le unità sarebbero state messe alla prova. Una barca di pirati era stata avvistata vicino le coste e la squadra doveva partire immediatamente! La rapidità dei sambuchi era stata determinate, ma una volta incontrati i pirati la situazione si era trasformata in un violento scontro a fuoco! Fortunatamente dopo poco tempo la situazione si era andata ad inclinare favorevolmente ai nostri e non vi erano state perdite da parte nostra, mentre per i pirati era andata a finire molto peggio. Tuttavia si erano rese necessarie delle modifiche ai piani d’azione: infatti per le prime operazioni sui sambuchi erano stati imbarcati ascari “presi in prestito” dalle truppe di terra, ma essi, per quanto si fossero dimostrati sempre all’altezza del compito, in taluni momenti avevano dimostrato difficoltà nel combattimento navale, dato che infatti, erano stati addestrati per combattere a terra su grandi distanze e non in piccoli spazi come sui sambuchi. Veniva quindi intensificato ed aggiunto agli indigeni imbarcati un ulteriore addestramento al combattimento navale ravvicinato e sulle medie distanze. Non serve aggiungere che, apportata questa modifica, le prestazioni ed i risultati dei sambuchi aumentarono enormemente… alcuni marinai indigeni (che già conoscevano i sambuchi e le loro caratteristiche) si erano addirittura proposti come piccoli ingegneri navali e grazie ai loro suggerimenti era stato possibile modificare tali navi sino al punto da poterci inserire dei piccoli cannoni, fondamentali per gli scontri con gli agguerriti pirati che bazzicavano le acque circostanti.
Dal momento della sua formazione ufficiale nel 1905 al 1914 (quando finalmente arrivarono unità più moderne dall’Italia e quindi il corpo ascari di marina venne imbarcato su di esse) La Squadriglia dei Regi Sambuchi aveva condotto un numero incredibile di operazioni costellate di successi (dovuti all’affiatamento ed alla collaborazione tra ufficiali e marinai nazionali ed indigeni) grazie ai quali il traffico di contrabbando era stato ridotto ai minimi, i pirati erano quasi completamente spariti, ed erano stati salvate migliaia di persone dai trafficanti di schiavi che erano poi stati ben felici di insediarsi nelle nostre colonie per aiutarci e collaborare al loro sviluppo.
Con la costituzione del Comando della Stazione Radio della R. Marina a Massaua, all’inizio degli anni ’10, tutti il personale indigeno veniva preso in forza dal detto comando, che manteneva nei loro confronti la funzione di deposito, provvedendo al reclutamento, all’istruzione ed all’amministrazione. Un vero e proprio “Deposito Ascari della Regia Marina” venne istituito tuttavia solo nel 1929, per poi crescere di proporzioni ed importanza sino a diventare, nel 1935, “Comando Autonomo Ascari della R.Marina”. Per quanto riguarda le loro uniformi si sa ben poco, inizialmente si credeva che non ve ne fossero alcune, poi comparve in una illustrazione del 1911 con una classica uniforme da marinaio (per quanto adattata al luogo), seguita da varie modifiche.
Tuttavia per avere una chiara visione dei fatti bisogna arrivare al 1920 quando arrivarono le prime disposizioni ufficiali (R.D. del 27 Maggio 1920) sul vestiario: “Dei militari indigeni della R. Marina appartenenti alle colonie del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano” che prevedeva una “normale divisa” composta da: Camicia bianca, corpetto di cotone, calzoncini (“braghesse”), fascia azzurra, tarbusc con fiocco azzurro e nastro di seta con legenda in caratteri gialli, fazzoletto di seta con cordone e coltello.
Per concludere in bellezza la storia di questo secondo corpo preso in esame mi permetto di ricordare il Bulukbasci della Regia Marina Ibrahim Farag Mohammed, Medaglia d’Oro al Valor Militare*, che diede la sua vita per salvare i suoi fratelli italiani!
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Il terzo ed ultimo -ma solo per indice e non per importanza – corpo che prenderemo in esame è quello delle Guardie Forestali Indigene.
L’Italia infatti, così come in patria, ci teneva molto all’ecosistema delle sue colonie, sapendo che la bellezza e l’utilità di un territorio sta anche nel preservare il suo ambiente fisico, andandolo a modificare solo e quando vi era forte necessità! Cosa che evidentemente i nostri cari colleghi anglo-franco-tedeschi – per non parlare dei belgi – non avevano ben recepito, dato che per sfruttare al meglio le proprie colonie ne hanno devastato l’ambiente a tal punto che i risultati si vedono ancora oggi!
Tornando all’argomento in oggetto, l’Italia aveva dato avvio alla formazione di un Corpo delle Guardie Forestali Indigene per preservare il territorio da incendi dolosi, caccia di frodo, il bracconaggio, e traffico di merci animali rare (avorio ad esempio). Si era deciso di affiancare ai nazionali un corpo di guardie indigeno per i motivi già sopra esposti: conoscenza del territorio, delle rotte di migrazione animali e delle varie specie rare ed a rischio da tutelare. La formazione e l’impiego di questo corpo si rivelarono da subito un successo! Ma esattamente come per i servizi doganali e per quelli carcerari, nonostante sin fin da inizio secolo fosse stata data al corpo Guardie Forestali la facoltà di reclutare personale indigeno solo con il R.D. Del 1 Luglio 1932 veniva ufficialmente istituito il “Corpo delle Guardie Forestali Indigene”, reparto militarizzato dipendente dall’Ufficio Agrario Coloniale e composto da 23 Guardie Forestali, 5 Muntaz, un Bulukbasci ed uno Sciumbasci Forestale. Il corpo sarebbe stato in seguito sciolto con D.G.G. N°52 dell’11 Febbraio 1937, a seguito della costituzione del “Corpo degli Ascari Forestali dell’A.O.I.” .
Nella sua ahimè non molto lunga, ma molto attiva vita, questo corpo diede il massimo di sé per la protezione e la salvaguardia del territorio grazie all’amore ed alla dedizione sia dei nostri valorosi ascari sia dei loro valenti ufficiali italiani che collaborando ed insegnando loro le più moderne tecniche di prevenzione ambientale e contrasto al bracconaggio fecero sì che un bellissimo spazio d’Africa restasse sempre tale, salvando anche molte delle specie a rischio (per l’epoca) che troppo spesso finivano appese al muro di qualche Ràs etiopico che le faceva cacciare di frodo! Quindi se oggi come oggi vediamo in quelle terre una rigogliosa vegetazione e diversi animali che oggi come oggi, ahinoi, sono tornati ad essere a rischio lo dobbiamo anche e soprattutto ai nostri Ascari Forestali, spesso dimenticati dalla storia, ma a cui io mi sento di rivolgere uno dei miei più grandi segni di rispetto, stima e ringraziamento (che ora rivolgo ai nostri amati Carabinieri Forestali)!
Per quanto riguarda le uniformi, erano previste di due tipi: Ordinaria e Festiva. La divisa ordinaria era composta da: tarbusc con fiocco verde ed un fregio in metallo bianco, composto dalle scritte “G.F.” sormontate da una coroncina, sottopannato di verde; giubba cachi con 4 tasche, chiusa da 5 bottoni di metallo bianco; pantaloni con fasce mollettiere grigio-verdi; fascia di colore verde; sandali e mantellina grigio-verde. La divisa festiva era analoga per foggia a quella ordinaria, ma in tela bianca anziché cachi.
Facevano inoltre parte dell’equipaggiamento, consegnato al momento dell’arruolamento, un farsetto di lana a maglia, un tascapane ed una ghirbetta.
I distintivi di grado erano costituiti da galloni in lana rossa portati orizzontalmente sulle maniche, e aventi le seguenti caratteristiche: un gallone largo 10mm per il Muntaz; due galloni larghi 8mm e distanti 4mm tra loro per il Bulukbasci; tre galloni larghi 7mm e distanti tra loro 4 per lo Sciumbasci.
L’armamento era composto da fucili Vetterli Mod. 1870/87 con quaranta cartucce per tutti, portate nella bandoliera mod.1897; i soli sciumbasci in aggiunta, portavano la pistola mod.1870/89 con ventiquattro cartucce.
Concludo quindi questo lungo, ma spero per voi che lo leggerete interessante, articolo con la solita domanda: vedendo le centinaia di migliaia di indigeni che nel corso degli anni riuscirono ad instaurare con gli italiani un reciproco rapporto di pace, stima, collaborazione, cameratismo e fedeltà senza ostacoli di razza o religione, siete proprio sicuri che, nella storia coloniale, gli italiani fossero proprio tutti cattivi?
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di Leonardo Sunseri
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NOTE
*La motivazione per la concessione della medaglia d’oro (consegnata nel 1947) fu la seguente: “Imbarcato da pochi giorni su cacciatorpediniere, prendeva parte, distinguendosi per bravura, al disperato tentativo di attacco a base navale avversaria, durante il quale l’unità veniva sottoposta ad incessanti attacchi aerei che ne causavano l’affondamento. Trovatosi naufrago su imbarcazione a remi con oltre sessanta superstiti, rinunciava volontariamente al proprio posto per assicurare l’altrui salvezza, restando per l’intera notte aggrappato fuori bordo. Esaurito dallo sforzo, anziché chiedere il cambio si allontanava dalla imbarcazione dopo aver ringraziato il comandante ed affrontava sicura morte, dando luminoso esempio di virtù militari, di spirito di sacrificio e di abnegazione. Mar Rosso, 4 aprile 1941.”
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FONTI
 
LIBRI:
1) “Uniformi e Insegne delle Truppe Coloniali Italiane Eritrea e Somalia, 1885-1934” Volume I, Gabriele Zorzetto, Edizioni Museo dell’Araba Fenice, 2011.

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