Guerra italo-turca. L’Operazione Bomba

Cronache ed episodi della prima guerra moderna: nome in codice “Operazione Bomba”

La storia militare italiana vanta un numero impressionante di azioni, mezzi, tattiche ed uomini che spesso e volentieri vengono obliati o volutamente nascosti per i motivi più strani e variegati. Uno di questi è la Guerra Italo-Turca (prima guerra moderna della storia) che andremo ad analizzare nei suoi più interessanti e misconosciuti aspetti, tuttavia per rendere il tutto più fruibile a tutti voi lettori, ho preso la decisione di dividere il tutto in episodi, così da non scrivere elaborati eccessivamente lunghi. Ma bando alle ciance e caliamoci nell’oggetto del primo articolo: l’“Operazione Bomba”!
Tale operazione aveva come oggetto l’occupazione del Dodecanneso e delle Isole Sporadi con l’obbiettivo di far pressione sulla Turchia e bloccarne le vie di rifornimento marittimo, grazie alle quali la Sublime Porta stava inviando aiuti e sostegno alle tribù ribelli in Tripolitania e Cirenaica – unica spina nel fianco delle nostre truppe in terra d’Africa -.
Generale_Giovanni_AmeglioTale operazione fu (ed è tuttora) considerata “una delle più riuscite operazioni militari nella storia d’Italia, nonché l’unico grande sbarco compiuto dalle nostre forze armate”. O, per citare le stesse parole scritte nelle memorie di Giovanni Battista Ameglio – comandante del contingente dell’operazione -: […] Rappresentò nella storia militare d’Italia la prima importante operazione combinata fra truppe di terra e di mare.
Già da queste prime parole si evince che il successo di questa operazione fu la coordinazione perfetta tra i nostri soldati e le forze della Regia Marina, uno dei primi aspetti e tattiche del tutto nuove implementate dall’Italia durante questa guerra, ma questo sarà oggetto di un altro articolo.
Tornando a noi ed alla nostra operazione procediamo come sempre con ordine. Per questioni di brevità non ripeto i motivi; già scritti sopra, per i quali l’operazione prese avvio, concentrandomi direttamente sul procedimento dell’operazione stessa. L’allora Comandante di Stato Maggiore era il Generale Alberto Pollio (poi misteriosamente morto per un problema cardiaco nel 1914), valente ufficiale, noto per le sue qualità tattico-strategiche e per la sua scrupolosità nell’eseguire tutte le operazioni, in questo particolare caso tenne un atteggiamento guardingo, infatti le alte sfere di esercito e marina erano divise tra chi appoggiava apertamente l’operazione e chi invece era ostile o pensava che se anche fosse stata fatta non avrebbe portato a nulla. Tuttavia grazie al comandante di Stato Maggiore della marina, il mitico Ammiraglio Thaon di Ravell, che nel frattempo si era consultato con il suo parigrado Ernesto Presbiterio, vi fu una forte campagna di pressione sul Ministero della Marina che finalmente approvò l’operazione. La palla passò quindi ad Alberto Pollio, il quale però, resosi conto dell’importanza strategica, dell’impatto propagandistico che avrebbe avuto e forte dell’appoggio della Marina, appoggiò anch’egli l’operazione. Egli infatti voleva dimostrare che l’Italia non aveva solo un esercito forte ed una marina eccezionale… voleva dimostrare che questi due elementi, se uniti, non avrebbero avuto ostacoli di nessun tipo che non sarebbero stati in grado di superare!
Alberto Pollio Citando le sue stesse parole: Se vi fosse libertà di azione, le nostre forze di terra e di mare potrebbero tentare imprese di grandissima efficacia, le quali, sicuramente o quasi potrebbero imporre la pace alla Turchia. Mai parole furono più vere. Per assicurarsi che tutto andasse bene, Pollio affidò il comando generale della spedizione al Tenente Generale Giovanni Battista Ameglio, altro valente ufficiale delle eccellenti doti tattico-strategiche, già veterano della campagna d’Abissinia di fine ‘800 e della campagna dei Boxer. Dal punto di vista navale gli venne affiancato dal vice ammiraglio Marcello Amero d’Este Stella. Parlando ora dello svolgimento dell’operazione è necessario specificare un fatto: il tenente generale Ameglio, data la sua esperienza, sapeva bene che prima di avventurarsi in una operazione del genere (uno sbarco di sorpresa in una zona sconosciuta e dalla presenza nemica non meglio specificata) servivano aiuti di diverso tipo… servivano informazioni! Ed ecco la “Terza Arma”: i Servizi Segreti! Infatti Ameglio si coordinò anche con loro per avviare una delle più grandi (e riuscite) opere di depistaggio o disinformazione, mai avviate prima (su questo però è giusto che io chiarisca una cosa: per quanto fosse una nuova ed innovativa tecnica usata dall’Italia in questa guerra, al contrario di molte altre, non fu di origine italiana, bensì tedesca in quanto usata per la prima volta nella guerra Franco-Prussiana – il celeberrimo “Telegramma (o dispaccio) di Ems”-). Venne infatti notificato che, ogni qualvolta ci si riferiva al piano sopra indicato, nella corrispondenza cifrata e non, si sarebbero dovute usare le parole “Operazione Bomba” allo scopo di depistare lo spionaggio internazionale (specialmente quello tedesco, che sebbene per questioni diplomatiche ufficialmente appoggiava l’Italia, in realtà segretamente appoggiava con informazioni e rifornimenti la Sublime Porta) ed evitare che l’Impero Turco approntasse difese anti-sbarco adeguate nelle isole interessate.
Gulf_of_Bomba2Il motivo per il quale venne scelto il nome “Bomba” è presto detto: Bomba è (ora come allora) una località della Cirenaica vicino Tobruk: l’intento italiano fu quello di fingere uno sbarco ancora nel territorio libico. Nei giorni che precedettero la partenza Ameglio dispose l’invio di una piccolissima unità di soli 2 ascari eritrei (di provatissima fedeltà) appositamente addestrati all’utilizzo di radio e linee telefoniche (usate proprio dagli italiani per la prima volta nella storia dei conflitti in quella guerra, ma anche questo sarà argomento del prossimo articolo) che avrebbero dovuto nascondersi nella zone e segnalare eventuali movimenti dei turchi (in caso affermativo, sarebbe stata la conferma che essi avessero abboccato al tranello). Ameglio (ed il SIM) continuò a far circolare la voce di un imminente sbarco a Bomba contro alcune tribù ribelli, lo stesso Ameglio rimase a Tobruk sino all’ultimo momento ad approntare il corpo terrestre e navale tenendo però questi ultimi nella segretezza più assoluta riguardo i reali piani di battaglia. Mentre accadevano questi fatti, anche la Regia Marina (sempre in accordo con il SIM) si stava dando da fare attuando tutta una serie di manovre diversive volte a distogliere l’attenzione dei turchi dal sito scelto per l’approdo (il lido di Kallithea a Rodi): l’Incrociatore Ausiliario “Duca di Genova” si avvicinò a Trianda (primo obbiettivo poi scartato), in modo da simularvi lo sbarco di un contingente della marina; nel contempo la nave da battaglia “Regina Margherita” ed il cacciatorpediniere “Ostro” attirarono su di sé l’attenzione delle vedette turche effettuando alcune puntate contro altre località della costa.
REGINA_MARGHERITA__3__aIl corpo di spedizione nel frattempo venne ultimato nella sua preparazione, ora l’unica cosa mancante era la conferma dell’avvenuto successo del tranello. La conferma non tardò ad arrivare… I nostre due fedeli ascari, ben nascosti vicino al golfo di Bomba finalmente inviarono questo messaggio via radio criptato: “Vedette confermano movimenti truppe nemiche in prossimità spiaggia e costa limitrofa golfo di Bomba -STOP- costruzione protezioni contrastanti sbarco preventivato -STOP- Con questo missione vedette esplorative conclusa, rientro a base in attuazione -STOP-“. Ricevuto questo messaggio, il Tenente Generale Ameglio non ebbe più dubbi: i turchi erano caduti nel tranello! Presto le radio italiane fecero partire ai comandi interessati gli ordini di Ameglio: “Operazione Bomba, via! Operazione Bomba, via!”. Una piccola flottiglia veloce con i primi scaglioni di truppe sbarcò il 28 Aprile 1912 nell’isola di Stampalia, nel Dodecanneso, senza incontrare nemmeno un accenno di resistenza e lì gli italiani vi posero la loro prima e più importante base che sarebbe poi servita da punto di appoggio per il grosso dell’esercito che sarebbe poi dovuto sbarcare a Rodi nel suddetto lido. I turchi non si accorsero nemmeno di queste manovre! Fu chiaro sin da subito che l’ostacolo più importante era Rodi, e la sua guarnigione… tuttavia qui vi fu un piccolo errore da parte dei nostri servizi, che tuttavia si dimostrò, impensabilmente, un fattore del tutto positivo che aiutò le nostre forze a prevalere! Infatti il SIM stimò che nella guarnigione di Rodi un numero non inferiore ai 5.000 effettivi di fanteria di cui 3.000 regolari e non meno di 20 pezzi di artiglieria di medio-grosso calibro. In realtà molto probabilmente i nostri agenti segreti commisero un piccolo errore di decrittazione di un dispaccio turco intercettato, infatti il numero reale di effettivi nemici non superava i 1.300 uomini, appoggiati da non più di tre o quattro vecchi cannoni. Tuttavia, non essendo a conoscenza di questo errore Ameglio mise in azione un potente e numeroso corpo di spedizione composto da 10 battaglioni di fanteria richiamati dal territorio metropolitano con 6 sezioni di mitragliatrici e 20 pezzi di artiglieria; una quarantina di carabinieri; un gruppo di due batterie da campagna; una sezione di sussistenza e tre squadre di minatori. Dal terreno libico invece sarebbero salpati due reggimenti di fanteria (il 34° ed il 57°), due battaglioni del IV Reggimento Bersaglieri ed il battaglione di Alpini “Fenestrelle”, con annessa sezione mitragliatrici supportata da 4 batterie d’artiglieria (due da campagna da 75mm e due da montagna da 70mm); due sezioni di mitragliatrici modello “Vikers Maxim”; alcuni plotoni del genio, delle trasmissioni e della sanità. In tutto 9.000 uomini tra ufficiali e soldati con 1.200 quadrupedi e più di 100 carri sotto il Tenente Generale Ameglio. Oltre al personale militare venne affiancato anche del personale civile per l’organizzazione dei servizi: due inviati del Ministero del Tesoro ed uno del Ministero di Grazia e Giustizia, un segretario dell’Ufficio Postale, tre uffici postali, due commessi e tre interpreti.
RN_Ammiraglio_di_Saint_BonPer arrivare a Rodi da Toburuk questo possente corpo di spedizione venne imbarcato in un altrettanto imponente convoglio navale fortemente scortato, formato da 7 piroscafi (Sannio, Europa, Verona, Toscana, Bulgaria, Cavour e Valparaiso), disposti su due colonne e scortati dalle potenti corazzate della II Divisione della I Squadra di cui facevano parte le R.N. Regina Margherita, Luigi Filiberto, Benedetto Brin e Saint Bon, che navigarono in testa ed in coda, oltre ad alcune siluranti. La squadra navale venne ulteriormente ingrandita dall’aggiunta della nave ospedale “Re d’Italia”.
L’obbiettivo fu il già detto lido di Kallithea, concordato dai due comandanti poiché giudicato da entrambi il più sicuro, a 10 km da Rodi ma sulla costa opposta. Le operazioni di approdo delle truppe di terra si sarebbero svolte sotto la protezione di una delle squadre di torpediniere di scorta; nel contempo la I Divisione della I Squadra al comando dell’ammiraglio Ernesto Presbiterio, avrebbe invece pattugliato le acque tra le Cicladi e la costa anatolica così da intercettare eventuali unità navali ottomane dirette a Rodi. Passati due giorni di navigazione assolutamente indisturbata (gli Ottomani dovevano ancora accorgersi di tutto quello che stava succedendo) alle 2.00 di notte del 4 maggio la squadra di Amero D’Este Stella raggiunse la baia di Kallithea. Vennero dunque inviati a terra alcuni piccoli nuclei di fanti di marina della Regina Margherita, della Saint Bon e della Luigi Filiberto mentre i cannoni delle stesse navi tenevano sotto tiro la costa. Le pattuglie perlustrarono per almeno 2 ore l’area riscontrando l’assoluta assenza di forze nemiche.
Rhodes_Italian_landingPoterono così cominciare le manovre di sbarco del corpo di spedizione italiano su grandi scialuppe protette dalle torpediniere di scorta. Il Generale Ameglio puntò verso nord a Rodi, e nel pomeriggio prese posizione nei pressi della città tra capo Voudhi e capo Kum Burun, così da poter tagliare la strada all’arrivo di rinforzi nemici provenienti dall’entroterra. La stessa eventualità era scongiurata sulla costa nord dalla corazzata Regina Elena e dall’Incrociatore Coatit. In serata, le avanguardie a cavallo guidate da Ameglio si scontrarono nella prima battaglia delle isole sul colle Koskino ed in località Argurù con circa 400 soldati ottomani. Dopo un breve scontro i turchi, presi di sorpresa si ritirarono, aprendo agli italiani la strda verso Psithos, dove, in base alle informazioni in possesso di Ameglio, si concentravano le forze nemiche che, finalmente si erano rese conto della presenza italiana sull’isola! Il giorno dopo il capo di Stato Maggiore di Ameglio, Ernesto Mombelli, si diresse a Rodi con la sua scorta per intimare al governatore (Gustavo Nicastro) della città la resa, pena il bombardamento della stessa, ma il governatore cercò da prima di temporeggiare asserendo di non avere l’autorità per negoziare la capitolazione militare in quanto la guarnigione turca non era più presente in città, ma nei dintorni della stessa, poi allo scattare di un secondo ultimatum da parte italiana fuggì abbandonando la città al proprio destino. Gli Italiani non volendo colpire una città inerme decisero per occuparla militarmente. Il governatore venne catturato due settimane dopo a Lindos.
Alle 14.00 del 5 maggio il Tricolore fu innalzato sul castello dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, che si elevava a difesa del porto di Rodi.
La popolazione civile, da secoli sotto il tallone dell’occupazione turca vide gli italiani come liberatori e cercò di aiutarli in ogni modo. Ultimo ostacolo rimasto era la possente guarnigione di 1.300 uomini asserragliata a Psithos, un promontorio a sud di Rodi e lontano dalla costa. Ameglio organizzò una manovra a tenaglia, con un attacco concentrico su tre fronti: il grosso delle forze italiane avrebbe puntato su Psithos, mentre altre due colonne, una di Bersaglieri del IV Reggimento al comando del Colonnello Maltini e l’altra di alpini del battaglione Fenestrelle agli ordini del Maggiore Rho, avrebbero preso il nemico sui fianchi, puntando su Kalapetra e su Plotania. Il 15 maggio i piroscafi Sannio e Bulgaria, scortati dalle corazzate Regina Margherita e Saint Bon, condussero Alpini e Bersaglieri a Cala Warda ed a Malona (in quella che viene definita una vera impresa alpinistica dal mare alle montagne mai tentata prima di allora e riuscita grazie al primo uso massiccio e ben definito della radio!). L’attacco prese il via il giorno dopo, all’alba, come da disposizioni. Gli Italiani si inerpicarono sul promontorio protetti dai grossi calibri della Saint Bon e della Regina Margherita e presero di sorpresa i turchi che, credendosi sicuri sulla loro fortezza nel promontorio, mai avrebbero pensato ad una operazione così complessa! Questi ultimi opposero una strenua resistenza fino a sera, quando la guarnigione decise di ritirarsi, ma essa incappò nel fuoco di sbarramento dei Bersaglieri. La richiesta di capitolazione venne accettata dal comandante ottomano alle 23.00.
DC-1912-21-d-ResaDeiTurchiARodiIl giorno 17 l’isola venne interamente occupata ed il comandante ottomano cedette la sua spada al Generale Ameglio affermando(così si dice) queste parole: “Vi cedo la mia spada, generale, e con essa il comando su queste isole, ma invero la cedo senza rimpianti, poiché ritengo che mai avrei potuto cederla ad un nemico più onorevole o migliore di voi che siete stato capace di imprese incredibili coi vostri uomini!” (la scena è stata riprodotta in una bellissima illustrazione di Achille Beltrame sulla Domenica del Corriere). Nello stesso tempo la Regia Marina, con una magistrale azione coordinata, catturò tutte le isole circostanti. L’operazione Bomba si concluse felicemente il 20 maggio quando tutte le isole furono occupate ed i presidi militari tuchi disarmati nel tripudio generale della popolazione nel frattempo scesa in festa acclamando gli italiani! Il bilancio fu anch’esso molto positivo: vi furono solo 8 caduti e 33 feriti, contro i 23 caduti, 48 feriti e 950 prigionieri degli Ottomani. Gli italiani inoltre catturarono una forte quantità di fucili, munizioni e quadrupedi nonché 6 pezzi di artiglieria.
L’Italia così assunse il controllo dell’Egeo Meridionale così da bloccare le attività marittime del nemico e ridurre considerevolmente l’afflusso di rifornimenti e rinforzi in Libia. Due mesi dopo, in luglio, la Turchia avviò le trattative di pace che andarono avanti sino ad ottobre. Il 17 Vittorio Emanuele III riceveva ufficialmente il titolo di sovrano di Tripolitania e Cirenaica. L’occupazione italiana delle Isole del Dodecanneso, però, non venne meno: sulle intenzioni dichiarate prevalsero la loro ubicazione strategica e le velleità dell’Italia di entrare nel novero delle grandi potenze.
La guerra perduta con l’Italia segnò la fine del dominio turco sul Mediterraneo. Concludo questo primo articolo della suddetta serie, come sempre ponendovi una domanda: alla luce di questi incontrovertibili fatti storici che hanno dimostrato la totale superiorità tecnica e tattico-strategica – inventando nuove tattiche ed inserendo mezzi mai usati prima – degli italiani contro uno degli allora ancora più importanti imperi del mondo, è proprio vera la propaganda di chi dice che il nostro paese e le sue forze armate non sono state capaci ad essere buone a nulla nel periodo contemporaneo? Nella mia umilissima opinione, io, non lo credo, poi… ad ognuno le sue valutazioni!
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di Leonardo Sunseri
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FONTI
1) “Le grandi imprese degli italiani, dalla guerra Italo-Turca alle missioni in Iraq e Afghanistan, le gesta ed il coraggio dei nostri soldati” BBC History Speciale 13, Febbraio 2017, Sprea Editori, pp.12-17.
2) “La marina nella guerra Italo-Turca. Esposizione sommaria delle operazioni compiute durante la guerra” Roma, Ministero della Marina, Ottobre 1912.
3) “La Libia Italiana” Daniele Lembo, Ibn Editore, Ottobre 2011
4) “La Domenica del Corriere nella Guerra di Libia” Enrico Folisi, Gaspari Editore, 2013.

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