
Dopo gli ultimi due articoli che ci hanno portato prima nell’Egeo e poi sui Dardanelli è tempo di fare un piccolo salto indietro, sia nello spazio che nel tempo, tornando alla nostra cara Africa e nello specifico esattamente dove tutto è iniziato: la Libia.
Come tutti quelli che hanno un briciolo di conoscenza sull’argomento sanno le motivazioni per cui Giolitti decise di intraprendere quell’avventura furono molto più complesse e dettagliate del semplice “occupare l’ultimo pezzo di Africa rimasto libero”: Giolitti sapeva benissimo che la Libia non era affatto uno “scatolone di sabbia” bensì un ricchissimo, enorme e praticamente intoccato giacimento di petrolio. Ve ne era talmente tanto che addirittura affiorava dal suolo. Inoltre, cosa molto poco conosciuta ma molto vera, la Libia e l’Impero Ottomano erano il luogo ed il nemico perfetto su cui testare nuove tecniche militari, mezzi e persino armi! Le motivazioni insomma, come detto, furono molto più complesse di quello che oggi ci viene detto oggigiorno.
Ad ogni modo non ho intenzione di dilungarmi eccessivamente sulle motivazioni, che per quanto interessanti, non sono l’oggetto di questo articolo.
Oggi come detto analizzeremo le fasi della prima conquista italiana della Tripolitania, ovvero la conquista di Tripoli e l’ascesa al culmine di un astro nascente, ovvero la Regia Marina.
Ma come al solito andiamo con ordine e partiamo dall’inizio.

In poche parole gli italiani capiscono fin da subito che il compito non sarà facile e per ottenere il risultato sperato si dovranno implementare tattiche del tutto nuove mai provate prima, ma questo non li spaventa più di tanto anche perché una migliore analisi della situazione non la fa poi apparire così grigia come poteva sembrare dalle prime righe scritte sopra… Infatti se è vero che i cannoni a difesa di Tripoli sono potenti è anche vero che sono dei cannoni molto vecchi (alcuni addirittura ad anima liscia), mentre quelli delle nostre corazzate sono nuovi di zecca, possono ingaggiare i forti ottomani da distanze di sicurezza ed inoltre hanno a disposizione un nuovo arsenale di proiettili, ovvero dei proiettili incendiari molto potenti e caricati con una miscela speciale in grado di bruciare anche in acqua (questa tipologia di nuovi proiettili venne impiegata per la prima volte dalla Marina Imperiale Giapponese durante la battaglia di Tsushima del 1905, ottenendo un risultato sbalorditivo. Sebbene ideati per il solo impiego navale proprio in questa occasione gli italiani li testarono per la prima volta contro installazioni pesanti costiere ottenendo un risultato altrettanto sbalorditivo. Inoltre, questa tipologia di proiettili, grazie al flebile e poco denso fumo bianco che producevano una volta sparati consentivano agli artiglieri di riprendere subito la mira senza aspettare i lunghi tempi di dissipazione del denso fumo nero dei proiettili a polvere nera). In aggiunta a questo fattore è anche vero che non tutte le tribù della Libia sono favorevoli all’Impero Ottomano! Se quelle all’interno della Cirenaica (specialmente i Senussi) – più radicalmente islamic – sono legati saldamente alla Sublime Porta, le tribù della Tripolitania, più “costiere”, mercantili e tolleranti verso gli altri credi o gli stranieri, mal sopportavano lo strapotere turco che soffocava i loro commerci e dunque le loro aspettative di vita con controlli asfissianti che spesso si tramutavano in violente repressioni, indi per cui ben avrebbero tollerato un cambio di regime.

In effetti c’è da dire che questa tattica è tutt’altro che esente da rischi, e come se non bastasse non è mai stata provata prima, il che non fa altro che aggiungere incognite sulla possibile riuscita, ma è l’unica possibile, in quanto uno sbarco su tutta la linea del litorale non sarebbe possibile per via della conformazione geofisica della costa, mentre uno sbarco mirato in punto specifico è da considerarsi estremamente rischioso poiché le poche zone su cui si potrebbe manovrare una massa molto grande di uomini sono anche quelle più controllate dal nemico che, sfruttando le sue posizioni difensive già approntate potrebbe avere facilmente la meglio! Ecco quindi il piano Italiano: Le grandi unità dell’ammiraglio Faravelli attueranno un primo tentativo di negoziato con la guarnigione turca di Tripoli, in caso di esito negativo, inizieranno a bombardare fortificazioni e linee di rifornimento nemiche da distanza di sicurezza, parallelamente si darà avvio ad una serie di sbarchi singoli su punti definiti “chiave” (Tripoli, Homs, Tobruk e così via) che tuttavia dovranno essere svolti in momenti diversi con dei contingenti di truppe di egual numero e forza provenienti solo ed esclusivamente da reparti di marina, in modo da mandare in confusione il comando ottomano che non riuscirà ad individuare la forza d’attacco principale e quindi non intraprenderà azioni offensive di grande rilievo. Una volta messi al sicuro questi punti chiave si procederà ad un simultaneo attacco da tutti i punti occupati in modo tale da scardinare la linea difensiva turca e da chiudere il nemico in grandi sacche isolate che successivamente saranno distrutte una ad una in questo modo si garantirà così una via sicura per i corpi del Regio Esercito che verranno poi sbarcati con le stesse modalità di quelli di marina per procedere alla messa in sicurezza stabile delle zone occupate e procedere alla futura invasione dell’entroterra.
Il piano è ambizioso, ma ha molte incognite – come detto – dato che oggettivamente far sbarcare gruppi di soldati singolarmente in punti anche distanti chilometri l’uno dall’altro ed in tempi diversi con la sola via di comunicazione (e possibilmente di fuga) dal mare è molto rischioso poiché nel caso i turchi decidessero di attaccare in forze, le forze italiane si troverebbero subito in inferiorità numerica e tagliate fuori. Ciò nonostante, seguendo il buon detto “chi non risica non rosica”, si decide di dare il via alle operazioni… nello stesso 2 ottobre i negoziati falliscono e l’ammiraglio Favarelli ordina alle sue grandi unità di aprire il fuoco (vi sono grandi corazzate classe “Italia” e classe “regina Margherita”)!

Gli sbarchi si susseguono per diversi giorni in diverse località della costa sempre sotto l’ala protettiva dei grossi calibri italiani (Tobruk il 4 ottobre come Tripoli, Derna il 18, Bengasi tra il 18 ed il 20 ed Homs il 21), questo getta nello sconforto e nella confusione gli ottomani che, seguendo la tattica fino ad allora conosciuta, non attaccano in forza poiché sono ancora alla vana ricerca del cosiddetto “punto di sbarco principale” che in realtà semplicemente non esiste… il comando ottomano pensa che nessun generale sano di mente manderebbe le sue truppe a sbarcare in punti singoli, scollegati fra loro ed in tempi diversi così da esporre le proprie truppe ad un possibile contrattacco che le annienterebbe completamente… ma è proprio questa la mossa d’astuzia della tattica degli sbarchi scaglionati: confondere il nemico!

Gli italiani aggrediscono simultaneamente e fulmineamente la linea del fronte turca da diversi punti proprio nei settori più vulnerabili; gli Ottomani, confusi e colti di sorpresa aspettandosi un attacco di ben diverso genere e su di un punto specifico, non riescono ad identificare la direttrice d’attacco principale e non sapendo dove concentrare le proprie forze, non possono fare altro che subire gli attacchi degli italiani che in breve disarticolano completamente la linea di difesa nemica (anche grazie al supporto navale che taglia vie di comunicazione e di rifornimento) dando così il via a ben tre gigantesche manovre a tenaglia sulle forze turche mentre queste ancora cercano di attuare una confusa sebbene strenua difesa senza ormai nemmeno capire più da dove arrivino gli attacchi. Tuttavia qui si delinea l’abilità del giovane kemal, egli infatti si rende conto che l’alto comando ottomano ha commesso un tragico errore di valutazione essendo stato colto alla sprovvista da una nuova tecnica di attacco mai utilizzata prima; intuendo le mosse degli italiani ordina a tutte le unità non ancora a contatto con il nemico – o più semplicemente le unità che ancora rispondono – di ripiegare immediatamente nell’entroterra per non essere accerchiate e tagliate fuori. Poche unità ottomane riescono a fuggire dalle gigantesche tenaglie italiane, ma sono comunque in numero sufficiente per tentare future operazioni di contrasto una volta riorganizzate. Gli italiani lo permettono, fermandosi appena fuori le periferie delle città, e tenendo solo una striscia di terra sempre vicina al mare, ma anche questo fa parte del piano, infatti si vuole evitare di addentrarsi in un territorio desertico che ancora non si conosce bene ed anche perché i 1.700 fanti di marina scelti per questa delicatissima operazione sono appena sufficienti per tenere le zone occupate e per proteggere le teste
di ponte in attesa delle truppe del Regio Esercito. Le zone occupate, nel frattempo, vengono amministrate con efficienza e nel pieno rispetto di stranieri e locali proteggendo luoghi di culto di tutti i credi presenti, le proprietà (siano queste abitazioni o negozi) e dando sicurezze a tutti gli abitanti del posto -stranieri e non -; per agevolare il disarmo degli indigeni locali viene addirittura varata una gigantesca campagna pubblicitaria voluta da Cagni stesso che semplicemente si offre di comprare (e non di sequestrare con la forza) tutte le armi possibili che i cittadini di Tripoli e delle zone sotto occupazione italiana, vorranno portare agli uffici di comando italiani. Così facendo le popolazioni di Tripoli e di tutte le aree occupate, non sentendosi oppresse o obbligate a farlo, ma anzi sentendo di poterci addirittura guadagnare sopra, aderiscono entusiasticamente e cedono tutte le loro armi agli italiani (evitando così a questi ultimi continue campagne di caccia e/o rastrellamenti che altro non avrebbero fatto se non creare dissenso e diffidenze nella popolazione locale). In questo modo Cagni svolge perfettamente il compito a lui assegnatogli creando solide teste di ponte per i suoi commilitoni del Regio Esercito che arriva finalmente poco tempo dopo! Ora si può pensare ad occupare anche l’entroterra, ma questo sarà argomento di un prossimo articolo (dico solo che lo sbarco di elementi del Regio Eserito continuerà fino a fine anno raggiungendo la cifra di 55.000 uomini, 8.300 quadrupedi, 84 cannoni da campagna, 42 da montagna, 23 d’assedio nonché, per la prima volta in assoluto, diversi veicoli blindati e ruotati!).

Per ora tirando le nostre solite conclusioni possiamo facilmente assire che l’innovativa tattica degli sbarchi scaglionati, assieme ad una componente navale moderna, forte ed efficiente capace di proteggere in ogni momento le delicatissime fasi di questa prima operazione, si è rivelata determinante per far ottenere alle nostre armi in breve tempo una vittoria a dir poco splendente, senza praticamente nessuna vittima collaterale fra i civili e con un bilancio più che positivo, cosa che non si può dire invece dei turchi i quali hanno subito perdite molto pesanti e solo grazie all’intuizione dell’abile comandante kemal hanno evitato l’annientamento totale! Oltre a questo è utile segnalare che tutte le grandi potenze europee hanno seguito e sono rimaste molto colpite dal risultato ottenuto dall’Italia, che, grazie alla sua Regia Marina, poteva giustamente prendere il suo indiscusso posto fra le più grandi potenze mondiali. Ora mi congedo da voi dandovi l’appuntamento al prossimo articolo lasciandovi in allegato un rarissimo video del 1911 che raffigura un frammento di questa mitica operazione e lasciandovi alla solita domanda… Siamo stati davvero così deboli, inermi ed incapaci militarmente come ora nella storia veniamo dipinti? A voi le conclusioni…
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di Leonardo Sunseri
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FONTI
1) “Storia Militare” n. 226, anno XX, Albertelli Edizioni Speciali, luglio 2012, pp.26-40.
2) “La marina nella guerra Italo-Turca. Esposizione sommaria delle operazioni compiute durante la guerra” Roma, Ministero della Marina, Ottobre 1912.
3) “La Libia Italiana” Daniele Lembo, Ibn Editore, Ottobre 2011
4) “La Domenica del Corriere nella Guerra di Libia” Enrico Folisi, Gaspari Editore, 2013.
5) Filmato “Frammenti della Guerra Italo-Turca”, Ambrosio,1911.