Il Barone Frankenstein pioniere agricolo nella Somalia italiana

Un polacco all’Equatore – Storia di un antesignano dei pionieri agricoli nella Somalia italiana

Generalmente quando si tratta degli albori dell’agricoltura in Somalia dopo l’occupazione italiana ci si riferisce quasi sempre alle imprese agricole sorte lungo le sponde del fiume Uebi Scebeli (Genale e Villaggio Duca degli Abruzzi) mentre in effetti i primi insediamenti furono nella regione del Basso Giuba ed esattamente sulla sponda sinistra del Giuba, l’unica a quel tempo italiana. Si cominciò negli anni 1906/1908 con le concessioni Carpanetti, quella della Società milanese per il cotone e subito dopo quella fondata dal Barone Frankenstein e denominata Società Romana di colonizzazione, la più estesa con una superficie di ben 5.000 Ha.
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Barone Frankenstein_Somalia
In effetti di questi primi tentativi solo quello della Romana continuò, sia pure con alterne vicende, per oltre mezzo secolo e cioè fino all’avvento del regime rivoluzionario di Siad Barre nel 1969. Ma chi era esattamente questo nobile slavo così affascinato dalla savana somala da finire i suoi giorni (come il Duca degli Abruzzi) nella sua azienda lasciandola quindi in gestione alla moglie una cittadina americana del new England?
E come mai anche Lei fu stregata dalla savana lasciandosi alle spalle Nantucket, la sfarzosa vita mondana della Upper Class romana, e spendendo invece gli ultimi tre anni della sua vita all’ombra dei sicomori e dei manghi della piantagione. Sicuramente Ella intese onorare la memoria e le opere del marito.
Questo signore che dopo aver visitato vari paesi est africani (Kenya, Uganda, Mozambico) decise di investire dei sostanziosi capitali in una colonia italiana era un nobile polacco, anzi russo perché nato a Varsavia nel 1866 quando la Polonia era parte dell’Impero degli Zar. Poiché il padre era un diplomatico si trovò a vivere in America dove, a New York trovò moglie sposandosi nella Cattedrale di San Patrizio. La moglie americana Anne Seabury Brewster apparteneva ad una facoltosa famiglia del New England. Nel frattempo una sorella del nostro Barone aveva sposato a Roma il conte Soderini e così iniziò l’italian connection con le frequenti visite romane alla città da lui adorata. Naturalmente il Barone si trovò a frequentare la migliore società dell’epoca e cioè i Torlonia, i Chigi, i Ruspoli, i Barberini. Sempre grazie alle occasioni mondane ebbe occasione di incontrare e conoscere sia il Conte di Torino che il fratello LUIGI DI SAVOIA DUCA DEGLI ABRUZZI e cosi presumibilmente la Somalia italiana entrò nei discorsi di quegli allora giovani rampolli probabilmente insoddisfatti della vita di corte. Ma quale fu, in pratica la ragione per la quale la riva sinistra del Giuba fu da questi pionieri preferita a quelle dello Scebeli che scorreva interamente in territorio italiano? Le cause probabilmente furono molteplici, alcune di esse facilmente identificabili: l’esistenza, a poca distanza dalla foce del Giuba di un porto riparato per sei mesi all’anno (Kisimaio) anche se soggetto ad una potenza coloniale straniera, la presenza di un corso d’acqua perenne (appunto il Giuba) quindi adatto ad irrigare coltivazioni a carattere continuo e non stagionali.
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La possibilità di prelievo di acqua da irrigazione con il semplice uso di adeguate idrovore senza la necessità di opere idrauliche di una certa importanza come le dighe e le derivazioni, infrastrutture che potevano solo essere fatte o totalmente o con notevoli e sostanziosi contributi dalle Autorità governative.
La possibilità di usare lo stesso corso del giuba, cosi come in pratica in tutta l’Africa nei primi anni del novecento, come mezzo di trasporto e comunicazione evitando quindi le alee del’attraversamento di zone di folte foreste pluviali ed in località impervie.
In sostanza l’Uebi Scebeli è si un fiume pensile dal quale si può attingere acqua da irrigazione ma solo con adatte prese e canalizzazioni di adeguata dimensioni e, portanza e distanze da percorrere, mentre per derivare acqua dal Giuba erano sufficienti delle idrovore (all’inizio erano delle locomobili a vapore) per ogni singolo appezzamento bonificato.
Inoltre vi era, a mio parere la principale, ragione, quella politica. Infatti mentre per il Basso Giuba all’inizio del 900 i territori di riva destra (inglese) e di riva sinistra (italiano) erano già pacificati, i territori dell’Uebi Scebeli non furono pacificati e sottomessi all’amministrazione coloniale che dopo l’avvento del Governatore De Martino e cioè dopo il 1910.
Tornando all’azienda Romana la sua attività principale era concentrata verso la produzione di ottimo cotone a fibra lunga, materia prima della quale i vari industriali cotonieri italiani avevano necessità di approvvigionamento e che normalmente dovevano acquistare sul mercato internazionale con sostanziosi esborsi in valuta pregiata. Il successo della Romana fu comunque dovuto a due fattori principali: la disponibilità di adeguati finanziamenti da parte dei soci (conte Soderini, Principe Barberini, Banco di Roma ecct. e, quello più importante, la gestione diretta sul posto con l’ausilio di valenti collaboratori in primis il famoso agrario Romolo Onor che purtroppo ebbe una tragica fine a Genale dove stava fondando un altro polo agricolo sperimentale di importanza internazionale.
L’opera personale del Barone è documentata nella relazione datata dicembre 1913 fatta dal Frankenstein ai soci nella sua qualità di amministratore. In detta relazione si certifica la messa in cultura di centinaia di Ha. (sui 5.000 concessi) grazie all’utilizzo delle nuove macchine agricole Holt (poi divenuta Caterpillar). Lo stesso Governatore De Martino dopo una sua scrupolosa visita in zona attestò che in questa concessione le macchine più moderne acquistate senza fare economie hanno avuto il pregio di costituire il primo impianto che renderà possibile l’incremento graduale e progressivo di singolare importanza poiché rappresenta una rilevante economia di mano d’opera ed un lavoro assai più perfetto...

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L’altra grande intuizione del Frankenstein fu quella di introdurre il CONTRATTO DI COMPARTECIPAZIONE in forza del quale la Romana si impegnava a fornire a tutti i piccoli proprietari locali (arabi, indigeni, ecct.) l’irrigazione e l’assistenza tecnica e si impegnava ad acquistare tutto il cotone prodotto a prezzi predeterminati provvedendo quindi alla totale commercializzazione assumendo a proprio carico anche l’alea dei prezzi internazionali. Lo stesso contratto fu successivamente applicato con pari successo sia alla SAIS di Villaggio Duca degli Abruzzi che a Genale, Afgoi.
Purtroppo nel 1929 la grande crisi colpì anche il costo delle materie prime con la conseguente caduta dei prezzi del cotone minacciando il totale fallimento delle imprese agricole in Somalia se non fosse già divenuta possibile la conversione dei prodotti dal cotone alle banane, coltura già abbondantemente sperimentata alla fine degli anni ’20. Lo Stato italiano favorì la riconversione tenendo presente che anche una produzione “nazionale” di banane sarebbe stata utile per risparmiare valuta pregiata per l’importazione di questo frutto esotico (Canarie) il cui consumo, specie invernale si stava diffondendo in tutta la Penisola, però proprio nel corso di questa riconversione nel 1934 il Barone Frankenstein morì e fu la volta della moglie Anna a prendere le redini dell’azienda che cominciò a prosperare anche grazie al boom economico che dopo la guerra contro l’Etiopia si sviluppò in tutta l’ Africa Orientale (solo in Somalia erano iscritte all’albo dei costruttori edili abilitati a concludere contratti senza limitazione di importi oltre 20 imprese del calibro della Mediterranea, la Bresciana e Calderai).
Per tre anni la Baronessa Frankenstein condusse personalmente l’azienda ivi soggiornando rinunciando agli agi ed alle comodità di una residenza più confortevole fino a che anche Lei mori nel settembre del 1937 stroncata da una grave forma di anemia tropicale.
Per un tragico gioco del destino proprio negli anni successivi alla scomparsa di Anna e la conseguente cessione dell’azienda ad un facoltoso ed abile imprenditore abruzzese sig. Armando Rosica, iniziò il boom della produzione bananiera sotto l’impulso di una politica statale della valorizzazione di detto prodotto raggiungendo i migliori traguardi con la costruzione in rapida successione di ben 4 modernissime e veloci (20 nodi velocità di crociera) motonavi. A parte il periodo bellico subito dopo il 1947 fu ripresa l’attività bananiera alla quale si affiancò un nuovo boom cotoniero a seguito della guerra coreana. Con questo concorso di circostanza favorevoli l’azienda LA ROMANA divenne la leader delle attività agricole di tutta la Somalia e seconda solo alla S.A.I.S. del Villaggio Duca degli Abruzzi. E proprio l’azionista di riferimento della SAIS e cioè il Cav. del Lavoro avvocato Luigi Bruno nel 1956 acquistò la proprietà della Romana riunendo quindi in un’unica mano quelle iniziative agricole delle quali avevano vagheggiato agli inizi del secolo il Duca degli Abruzzi ed il Barone Polacco quando sognavano di trasformare una inospitale savana africana in una realtà degna di stare a confronto con le realizzazioni agrarie create in ambienti molto più favorevoli. Per citarne una per tutte le WHITE HIGLANDS del Kenya o della Rodesia.
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di © Gianfranco Cenci  – Tutti i diritti riservati
 

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