Per la Somalia “indipendenza e caos diventeranno sinonimi”. La profezia del 1953

Mogadiscio, 1953. Su mandato ONU la Somalia è in amministrazione fiduciaria. Per dieci anni, dal 1950 al 1960, l’ex colonia italiana sarà tutelata e preparata all’indipendenza “del progresso politico, economico e sociale” dalla neonata Repubblica Italiana, in virtù della risoluzione adottata dalla 250ª seduta plenaria dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 21 Novembre 1949.
Con grande soddisfazione da parte dei somali venne proposto come amministratore il Generale Guglielmo Nasi, ex governatore dell’Harar, ma per prudenza politica e diplomatica, onde evitare vecchi fantasmi della nostalgia, il personale governativo non venne reclutato nel Ministero dell’A.O., ormai in via di dissoluzione, ma ci si riferì al Ministero degli Esteri.

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Così dal corpo diplomatico-consolare venne creato lo “Stato Maggiore dell’Amministrazione Fiduciaria”: Giovanni Fornari, ambasciatore e Amministratore Capo, Goffredo Canino, Ministro plenipotenziario e Segretario Generale, Giuseppe Spinelli, Capo di Gabinetto. Tutti e tre totalmente estranei a proposito di Africa e Colonie.
A tal proposito, se la scelta vi meraviglia è del tutto normale. Anche nell’aula del consiglio di Tutela, a Lake Success, nella tornata del 1952, Munro, delegato della Nuova Zelanda, fu molto perplesso.

Ecco il dialogo tra Munro e Spinelli nel verbale stenografico ufficiale della 11° Sessione del Consiglio di Tutela delle Nazioni Unite di quel Giugno:

Munro: «Gradirei sapere quanti sono, nell’Amministrazione Fiduciaria della Somalia, i funzionari provvisti già di esperienze coloniali».
Spinelli: «Ce ne sono vari, sia tra i funzionari che nel personale tecnico ».
Munro: «Ma io intendevo dire tra i maggiori responsabili di quella amministrazione».
Spinelli: «Per la verità, l’Amministratore capo, il Segretario Generale, il Capo Gabinetto, che sono io, non ci si era mai stati».
Munro: «Vi sono in Italia Scuole o Università di preparazione coloniale?».
Spinelli: «No. Abbiamo a Firenze un Istituto, cioè l’avevamo prima dell’ultima guerra mondiale, dove si preparavano i giovani alla vita in colonia, ma particolarmente per la materia agraria, come periti. Essi andavano però tutti nell’America Latina».
Munro: «Ha mai considerato, l’Italia, la opportunità di mandare i suoi funzionari, per il necessario addestramento, nelle scuole coloniali di altri paesi, come la Francia e la Gran Bretagna?».
Spinelli: «No, non ci abbiamo mai pensato; anche in considerazione della tanto vicina scadenza della nostra missione in Somalia».
Da questa ultima dichiarazione ufficiale fatta all’ONU possiamo già vedere come l’Italia del 1953 dichiarava già nettamente e definitivamente la decisione di non mettere mai più piede in Africa e abbandonare le sue ex colonie.

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In quella stessa 11° Sessione si trattò anche del costo dell’incarico. Un costo tutto a carico dell’Italia.
Solo per l’anno 1952-53 il progetto di bilancio contemplava una spesa di 8 miliardi e 283 milioni di Lire. La cifra era coperta per 2 miliardi e 533 milioni dalle tasse sul territorio, pagate in maggioranza dalle aziende italiane, coloni e imprenditori vari; i restanti 5 miliardi e 750 milioni li sborsava Roma. In poco parole la nazione amministratrice, l’Italia, aveva il 70% delle spese a carico.
Fadel Bey, il delegato egiziano, era perplesso: «aiutate l’Italia – ma sopratutto si preoccupò a sottolineare – pensate sin d’ora a come aiutare la Somalia il giorno in cui l’Italia avrà cessato, a proprie spese, il suo servizio». Altrimenti, aggiunse il giornalista Renzo Martinelli «indipendenza e caos diventeranno sinonimi».
Ecco. Nessuno pensò dal 1960, anno dell’indipendenza, come aiutare realmente la Somalia. I risultati odierni sono sotto gli occhi di tutti.

di Alberto Alpozzi

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