I dubat in tempo di pace. Tra strade e pozzi la creazione della Somalia

In Somalia, nel Marzo 1925, periodo nel quale le operazioni militari erano ferme, i Dubat iniziarono una serie di lavori stradali. Per esempio da Lugh a Dolo esisteva soltanto una pista carovaniera e da Dolo a Belet Uen un sentiero formato dal passaggio dei dubat in servizio di collegamento.
Sulla linea dei presidi di frontiera dei dubat esistevano solo brevi tratti di strade tra Giglei-Belet Uen, Oddur-Elgorum e in fase di completamento Tigieglò-Bugda Cossar. Era necessaria quindi la costruzione dei tronchi Lugh-Dolo, Dolo-Belet Uen, Oddur-Iet e Lugh-Goriale.
“Il programma di lavoro – scriveva il Bechis – era piuttosto vasto e di mezzi non avevo che le braccia dei dubat. […] Persuasi i dubat che un soldato deve saper piegare la boscaglia, la sabbia, la roccia come deve sapere vincere il nemico in combattimento. Mi premeva finire entro breve tempo i tratti Lugh-Dolo e Dolo-Belet Uen”. In totale vennero realizzati seicento chilometri di strade.

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Mogadiscio, 29 Febbraio 1928. Il Principe Umberto di Savoia assiste alla parata militare sotto l’arco eretto in suo onore con la dedica Romanamente

Perchè costruire delle strade in regioni desertiche? Poiché “con le strade e con le vie di comunicazione in genere si vince la guerra, si fa prosperare la pace, si consolidano i possessi, si assorbono le popolazioni, si appresta all’avvaloramento economico, agricolo ed industriale”1.
Questa era una lezione autenticamente “romana” e perfettamente appresa, come sta ad indicare quel “Romanamente”, leggibile ancora oggi, sull’arco celebrativo della visita nel 1928 del Principe Umberto di Savoia a Mogadiscio e “perché – sosteneva il de Vecchi – all’opera di conquista territoriale segue sempre la strada che oltre ogni cosa è sempre affermazione romana di domani”.
“I Romani che avevano uno spirito essenzialmente pratico, lanciavano attraverso i loro territori le grandi e massicce vie consolari, perché le strade e le grandi vie di comunicazione hanno costituito sempre il principale strumento per l’avvaloramento economico di un paese”2.
È sufficiente analizzare la storia dei grandi regni nell’antichità per constatare come con lo sviluppo delle rete stradale di un popolo si manifesti “una fase di espansione territoriale e di progresso culturale”3.

I grandi imperi, quello romano su tutti, si erano retti grazie all’efficienza del proprio reticolo viario che metteva in collegamento diverse regioni e popolazioni, mentre nella Somalia divisa tra clan il cui unico obiettivo era mantenere l’autorità nel proprio ristretto ambito il sistema stradale era del tutto sconosciuto se si escludono le vie carovaniere e quelle di accesso ai pozzi. Esse rappresentavano estemporanee soluzioni di gestione del potere e di limitati commerci, piuttosto che di strumenti consapevoli e organici per una gestione politica e militare del territorio.

Marzo 1928. Un autocarro sulla strada Bender Cassim-Carim

“I dubat, con lo stesso zelo con cui s’erano apprestati alla lotta contro i ribelli migiurtini, si irradiarono dai loro posti di banda per dedicarsi alla costruzione delle piste che dovevano permettere agli automezzi di giungere da Mogadiscio alle montagne in cui cresce l’incenso, la mirra e la gomma arabica, sino alla costa del golfo di Aden”4.
Infatti terminate le operazioni militari nella Somalia del nord iniziarono subito i lavori stradali per la sistemazione del territorio, sotto la direzione degli ufficiali italiani: “sono opere colossali che hanno assicurato fino a oggi le comunicazioni del paese africano, piste appena ricoperte di un sottile strato di asfalto”5.
L’opera più importante fu la strada che congiungeva Belet-Uen con Bender Cassim, l’attuale Bosaso sul golfo di Aden, attraversando l’Ogaden, costeggiando la Somalia britannica.
“La strada si snoda, per alcuni chilometri, ben livellata con pietrisco, e ci permette una buona velocità. Merito delle bande di confine che alternando il prezioso servizio di scolta sulla frontiera etiopica con opere di civiltà, lavorano in unione agli ascari del R. Corpo a migliorare sempre più la pista stradale che ci porterà sino al Golfo di Aden”6.
Ultimata nel 1929 dal Governatore Guido Corni, si divideva in diversi tronconi realizzati da diverse bande: tra Gardò e Bender Cassim la banda del tenente Annoni, tra Gardò e Chelliet quella del tenente Boschis, tra Chelliet e Garoe quella del tenente Cimmaruta.
A metà strada tra Gardò e Garoe si trova un passo che venne soprannominato dai dubat “Carim dik”, cioè “Passo del sangue”. Qui a causa dell’improvvisa esplosione di una mina utilizzata per scavare la roccia quattro dubat rimasero feriti. I primi soccorsi sul luogo vennero portati dal tenente Cimmaruta che fece trasportare i dubat feriti con un autocarro a Eil, dove curati vennero successivamente imbarcati su un postale per Mogadiscio.

Ma facciamo un passo indietro. All’arrivo del de Vecchi, la Colonia era dotata di 2.000 chilometri di strade, alla sua partenza, 5 anni dopo, erano 6.400, perché “le strade rappresentano un’affermazione di civiltà, la dimostrazione chiara, netta e precisa di una indefettibile volontà di duratura conquista”7. Le parole del Governatore ricalcano sempre l’impronta romana alla base del colonialismo italiano.
Con l’amministrazione di Maurizio Rava, dal 1° Luglio 1931 al 6 Marzo 1935, vennero dedicate particolari cure alle comunicazioni stradali istituendo l’A.S.S.I. “Azienda Stradale Somalia Italiana”, una sezione speciale delle Opere Pubbliche, diretta da un ingegnere coadiuvato da un geometra e suddivisa in gruppi di indigeni militarizzati.

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Postazione fortificata presidiata da dubat nei pressi di Galadi

Di pari passo con le vie di comunicazione procedette la costruzione di fortini, rispondenti a criteri militari, migliorati rispetto alle vecchie garese. Attorno ai nuovi fortini con l’andare del tempo sorsero altri fabbricati e si moltiplicarono, nei dintorni, le capanne degli indigeni che vi si raccoglievano in cerca di protezione: “veri e propri paesi sono nati intorno e accanto alle costruzioni dei nostri connazionali ed ai tucul degli ascari o dei dubat”8.
All’interno dei nuovi fortini vennero scavati anche nuovi pozzi. Altri vennero aperti nei dintorni, poi nella boscaglia e lungo le piste, scavando buche di 40-50 metri di profondità per raggiungere le falde acquifere.
“Gli interessi locali – spiega Ioan M. Lewis – dei membri di insediamenti limitrofi […] si imperniano sulla conservazione degli abbeveratoi comuni indispensabili all’allevamento del bestiame. Nello scavo dei pozzi, nella loro periodica manutenzione, o nella loro recinzione durante la stagione secca per impedire l’accesso agli abusivi, si ricorre al lavoro collettivo, con la cooperazione di tutti gli uomini idonei degli insediamenti che vi attingono l’acqua […] Le controversie sui confini dei campi e sull’accesso agli abbeveratoi, specie nelle stagioni secche in cui l’acqua scarseggia, sono frequenti”9.
I pozzi, in Somalia, erano il centro della pianura dove si svolgeva la vita, tutti i pastori convergevano verso di essi con le mandrie di capre e cammelli per abbeverare le bestie e per soddisfare la loro sete e riportare al villaggio gli otri pieni.

Dubat al pozzo di Galadi

Nel fortino di Gardò all’inizio della conquista vi era un solo pozzo che forniva a mala pena 800 litri d’acqua al giorno, non sufficienti per le necessità delle cabile della zona.
I dubat scavarono 15 nuovi pozzi portando la quantità d’acqua a 35.000 litri attinta anche grazie ad un aeromotore che sollevava l’acqua fino a portarla ad una fontana, la prima di tutta la Migiurtinia.
“Il giorno della sua inaugurazione la gente del villaggio, i pastori dei dintorni, i dubat accorsero in folla per vedere la nuova meraviglia e salutarono con grida di immensa gioia lo sgorgare dell’acqua limpida, fresca, abbondante. A gara gli uomini tuffavano le mani nella fonte, bevevano, se ne aspergevano il capo quasi a compiere un rito sacro, e le donne, emettendo il loro caratteristico trillo, accorrevano a frotte”10.
Lo scavo dei pozzi era fondamentale per la Somalia, soprattutto per le zone del nord, nel Modugh, nel Nogal e nella Migiurtina, dove vi erano pascoli immensi ma il bestiame non poteva andarci per l’assenza di pozzi.
Infatti “nell’esercizio 1932-33 si è cercato di dare il massimo impulso all’escavo di pozzi in tutta la Colonia. Ne furono costruiti oltre centocinquanta la maggior parte con una vasca ad anello che li circonda per le abbeverate”11.
Ecco cosa fecero i dubat con il supporto dell’Italia per la Somalia.

di Alberto Alpozzi
Il testo dell’articolo è una rielaborazione di alcuni contenuti del libro “Dubat – Gli Arditi somali all’alba dell’Impero fascista” di Alberto Alpozzi, prefazione Mario Mori, Eclettica Edizioni

Dubat a lavoro per la realizzazione della strada tra Bulo-Burti e Belet Uen

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NOTE
1. Meregazzi R., Siek-Siek in Somalia, Bemporad, Firenze, 1928
2. Ibidem
3. Mori M., Servizi e segreti, G-Risk, Roma, 2015
4. Cimmaruta R., Ual Ual, Mondadori, Milano, 1936
5. Quirico D., Squadrone bianco, Mondadori, Milano, 2002
6. Vecchi B.V., Nel Sud dell’Impero, Fratelli Bocca, Milano,1937
7. Corni G., Somalia italiana – Vol. II, Editoriale Arte e Storia, Milano, 1937
8. Rava M., Parole ai coloniali, Mondadori, Milano,1935
9. Lewis I.M., Una democrazia pastorale, Franco Angeli, Milano, 1983
10. Cimmaruta R., Ual Ual, Mondadori, Milano, 1936
11. Rava M., Parole ai coloniali, Mondadori, Milano,1935

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IL LIBRO “DUBAT”:
I dubat, bande armate di confine, furono un corpo militare coloniale d’élite formato dai migliori uomini dei clan somali di tradizione guerriera. Ammirati e temuti per le loro imprese al fianco dell’Italia segnarono la storia della Somalia. Vennero istituiti nel 1924 dal Quadrumviro Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon, governatore della Somalia italiana, per proteggere gli incerti confini dalle razzie abissine e per sequestrare le armi da fuoco che rendevano instabili e insicuri i protettorati nel nord. Comandati e organizzati dal maggiore degli Alpini Camillo Bechis i dubat fronteggiarono i clan riottosi in epiche battaglie che assunsero tutti i caratteri di una vera e propria guerra coloniale, supportata in alcune fasi da una divisione navale e una squadriglia aerea. Il testo ripercorre i combattimenti e le azioni dei dubat narrando l’epopea che portò per la prima volta alla pace e all’unificazione di genti e territori conosciuti oggi come Somalia, un tempo divisi tra clan rivali in costante lotta per la supremazia. Attraverso la voce dei protagonisti ci ritroviamo a vivere nella più lontana colonia italiana seguendo in diretta le operazioni militari. A parlare sono i telegrammi, le relazioni militari e ministeriali, i diari personali, le lettere private e i giornalisti dell’epoca. Centinaia di immagini fotografiche inedite completano il quadro storico minuziosamente ricostruito giorno per giorno. L’analisi dei documenti d’archivio ha portato alla luce trattati coloniali e convenzioni internazionali che non solo hanno ricomposto il contesto socioculturale nel quale maturarono gli eventi ma hanno anche svelato intrighi e traditori, i cui nomi, dopo quasi cento anni possono essere resi noti. Nel libro vengono forniti strumenti e tracce per un’analisi storica della politica coloniale italiana in Somalia e degli obiettivi imperiali nei primi anni del fascismo.

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