Mogadiscio prima del periodo coloniale non era la città principale di quella che veniva chiamata la Costa dei Somali: era solo uno dei molti scali lungo la rotta commerciale che andava dalla Penisola Arabica a Zanzibar (Bosaso, Hobbia, Merca, Brava, Chisimaio, Lamu, Malindi, Mombasa, Pemba ecc.). Fu la presenza coloniale a fare di questa città, il cui porto si insabbiava facilmente e il cui entroterra era meno ricco (all’epoca) di quello, di Brava, la capitale amministrativa della Somalia. Nel 1935, Mogadiscio aveva una popolazione di 40.000 abitanti, che divennero 70.000 nel 1950, all’inizio del periodo AFIS (Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia) e 102.000 nel 1960, alla fine del mandato fiduciario. Nel 1968 la popolazione era raddoppiata e raggiungeva le 204.000 persone, nel 1975 toccava le 225.000. Da allora, la guerra, le catastrofi naturali, la mancanza di pianificazione del territorio, hanno provocato una crescente immigrazione parassitaria, tale da incrementare a dismisura il numero degli abitanti e causare tutti quei fenomeni di congestione e di insufficienza infrastrutturale tipici delle metropoli e, in modo particolare, di quelle africane. Oggi l’agglomerazione di Mogadiscio supera i tre milioni di abitanti, che non possiamo definire “popolazione urbana”, in quanto queste persone soffrono tutti i mali conseguenti alla congestione dell’habitat, ma senza godere di nessuno dei vantaggi connessi alla vita associata della città. Oltre ai quartieri antichi di Hamar Weyne e Scingani e poi Hamar Gebgeb e Bondhere, negli anni 50 l’espansione urbana proseguì verso ovest, con il quartiere Anzilotti (oggi Waberi). Dal 1967, verso il nord della città andò a formarsi il quartiere Wardhiglei. A questo punto lo sviluppo della città continuava ad attuarsi con massicce lottizzazioni “precarie”. Il Governo Locale (l’Amministrazione Municipale) assegnava lotti non attrezzati, ma solamente tracciati sul terreno, sui quali la popolazione si arrangiava a costruire con i propri metodi tradizionali. Non furono riservati spazi adeguati alle future infrastrutture pubbliche: scuole, mercati, centri di servizio. Poco a poco, fallito un ulteriore tentativo di espansione urbana ad est nel nuovo quartiere Karan (già chiamato Campo Alloggio durante l’era coloniale), la popolazione, in rapida crescita, tendeva a saturare le lottizzazioni già fatte, invadendo le poche aree libere e saldando fra loro i vari quartieri in “una macchia d’olio” continua di costruzioni abusive, che si arrampicavano perfino sulle dune, in condizioni di instabilità totale. Ha finito così per essere vanificata l’impostazione originale, sostanzialmente positiva, che prevedeva i quartieri come unità residenziali distinte e potenzialmente autonome. Il nuovo piano di viabilità comunale, redatto dopo l’avvento al potere del presidente Mohamed Siad Barre nel 1969, che prevedeva un’urbanizzazione di oltre 1600 ettari, destinata a raddoppiare l’area urbana e ad accogliere almeno 250.000 nuovi abitanti. La zona industriale e terziaria (nuovi ministeri, campus universitario ecc.), era prevista più a nord, ai margini di una lunga strada tangenziale rettilinea, lunga dieci chilometri e fiancheggiata da aree militari. Da questa zona nevralgica per il controllo dell’intero paese furono aperte otto grandi strade, dirette verso il mare, che garantissero condizioni di pronto intervento in tutti i settori urbani, in caso di sommosse. Possiamo quindi riconoscere in questo Piano le linee di “una urbanistica militare” di tipo moderno, del tutto diversa dall’urbanistica “a misura d’uomo” che negli stessi anni (1969-1974), impegnava le menti degli intellettuali e costruttori europei. Nel 1970, l’area occupata dalle abitazioni, stabili e precarie, legittime e abusive, era di circa 1.500 ettari, mentre oggi possiamo stimare l’estensione di Mogadiscio in circa 15.000 ettari. Tuttavia è praticamente impossibile sottoporre a censimento le famiglie di sfollati che si aggiungono continuamente a come quelli che vivono nei campi in abitazioni di fortuna composte da cartoni, legname e bidoni oltre che di teli di plastica. Come la maggior parte delle capitali africane, Mogadiscio non offre posti di lavoro in quantità sufficiente per la popolazione urbana. Nella grande cintura urbana di Mogadiscio si stanno verificando gravissimi fenomeni di congestione urbana, di mancanza di servizi, di degrado delle aree periferiche e di squilibri sociali. Urge un programma di edilizia residenziale pubblica a basso costo e in grande quantità, anche per impiegare in operazioni di auto costruzione l’enorme massa di manodopera potenziale che oggi resta disoccupata.
di Abdullahi Elmi Shurie