
L’AASS aveva incontrato difficoltà di ogni genere, compresa quella di mantenere la transitabilità durante i lavori.
Il piano viabile delle strade era largo sei metri, con banchine di un metro, la pendenza massima del 6,50% e con un raggio minimo di 30 metri.
Gli ultimi 21 km prima di Asmara superavano un dislivello di 1200 metri e furono realizzati nei fianchi delle montagne scolpite con tonnellate di dinamite.
Per la costruzione furono adottate tecniche che l’AASS aveva sperimentato sulle strade italiane che vennero sperimentate per le strade dell’Eritrea e in generale per quelle del Corno d’Africa.
La bitumatura consentiva di tenere il piano viabile sempre in perfette condizioni senza intralci alla circolazione, riducendo al minimo gli interventi e le spese di manutenzione. Quando i cantieri furono attivi gli operai italiani erano diventati 60.000 e circa 120.000 quelli eritrei.
La bitumatura consentiva di tenere il piano viabile sempre in perfette condizioni senza intralci alla circolazione, riducendo al minimo gli interventi e le spese di manutenzione. Quando i cantieri furono attivi gli operai italiani erano diventati 60.000 e circa 120.000 quelli eritrei.
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I primi cantieri erano delle tendopoli, mentre in seguito gli alloggiamenti furono fatti in baracche di legno e lamiera che venivano montate e smontate in continuazione. Il lettino da campo, il sacco a pelo sull’altipiano e la tenda divennero compagni inseparabili di chi procedeva nella costruzione della strada.
Per i rifornimenti non si poteva fare affidamento su risorse locali in quanto i villaggi ed i paesi che si trovavano vicino ai tracciati stradali non avevano mai risorse sufficienti ai bisogni dei cantieri. Non c’era altra possibilità se non rifornirli da Asmara direttamente e trasportare tutto quello che necessitava in continuazione e senza possibilità di fallire mai un rifornimento, pena mancanza di nutrire o soccorrere tanta gente.
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I rifornimenti erano difficili specie nella stagione delle piogge, quando fu giocoforza ricorrere all’aviazione. Furono costruiti a tempo di record piccoli aeroporti dove, senza sosta, i velivoli militari provvedevano a scaricare tonnellate di ogni bene. I costi di realizzazione andarono alle stelle.
Si andò avanti lo stesso e con l’andare del tempo i cantieri divennero borghi pittoreschi che gli operai si sforzavano di rendere il più possibile vivibili. Cucine, magazzini, forni, spacci, infermerie, uffici postali, cappelle, nonché campi per giocare a bocce o al pallone diventarono indispensabili per poter tenere alto il morale degli operai.
Dirigenti e operai, improvvisati architetti, facevano a gara per realizzare la migliore topografia e la sistemazione più pittoresca dei campi. Così nacquero Dongollo, Embatcalla, Ghinda, Nefasit.
Si andò avanti lo stesso e con l’andare del tempo i cantieri divennero borghi pittoreschi che gli operai si sforzavano di rendere il più possibile vivibili. Cucine, magazzini, forni, spacci, infermerie, uffici postali, cappelle, nonché campi per giocare a bocce o al pallone diventarono indispensabili per poter tenere alto il morale degli operai.
Dirigenti e operai, improvvisati architetti, facevano a gara per realizzare la migliore topografia e la sistemazione più pittoresca dei campi. Così nacquero Dongollo, Embatcalla, Ghinda, Nefasit.
Le piste tracciate dal genio militare dell’esercito italiano nelle pregresse operazioni furono tutte utilizzate, allargando 2/3 volte la base del piano stradale per permettere il doppio transito, sistemando i guadi, creando massicciate di pietrisco, rivedendo le pendenze, le curve principali e tutto il piano viabile.
Ancora oggi quella strada con i suoi lunghi ponti vive grazie al lavoro di italiani ed eritrei.
Ancora oggi quella strada con i suoi lunghi ponti vive grazie al lavoro di italiani ed eritrei.
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di © Pasquale Santoro – Tutti i diritti riservati
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