
Ancora ragazzino guardavo estasiato i carrelli che penzolavano lungo le funi della teleferica, a due passi da casa mia a Godaif.
Erano gli anni dal 49/50 e gli inglesi non avevano ancora smantellato questa colossale opera che ci rubarono prima di andarsene via da Asmara, nel 1952.
Per chi veniva giù dal posto di blocco per Decamerè verso Asmara, a ridosso del villaggio di Godaif sulla sinistra trovava il deposito di autobus della Salvati e, proprio di fronte, il terminale della teleferica.
Era un area che con gli amici bazzicavamo in cerca di emozioni, sino a spingerci a salire sui primi tralicci per avvicinarci ai carrelli fermi in sospensione nel vuoto.
Asmara, sino agli anni 40 era diventata il collettore del traffico mercantile marittimo proveniente dal Mar Rosso e diretto nel cuore di quello che era stato l’Impero coloniale italiano.
Da Asmara, a 2.400 metri di altitudine si irradiavano due grandi direttrici: verso Adua, Axum, Gondar, da un lato, prendendo la camionabile per Adi Ugri e Makalle, Dessiè, addis Abeba dall’altro, sulla camionabile per Decamerè.
L’altezza era un grande impedimento per il trasferimento delle merci dal porto di
Massaua ed ecco che nel 1911 arriva in Asmara la ferrovia a scartamento ridotto che fu in grado di colmare il gran salto, attraversando serpeggiamenti da capogiro lungo le pendici dell’Acrocoro Eritreo.
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Ma la potenzialità della ferrovia era troppo scarsa per sopperire alle crescenti proporzioni del traffico che si sviluppava anche su gomma, lungo la strada degli italiani che in 113 Km portava da Massaua nella capitale.
Ecco quindi che nacque il progetto per realizzare la teleferica, la grande opera di ingegneria italiana, considerata all’epoca la più grande del mondo. Con l’avvento della teleferica la corrente dei traffici mercantili verso l’interno viene raddoppiata.
Quest’opera ammirata da tutto il mondo fu affidata alla ditta Cerretti & Tafani mentre le funi furono fornite dalla dai fratelli Redaelli di Milano. I potenti motori erano della Franco Tosi di Milano.
Aveva un sistema a tre funi. Due avevano funzione portanti e costituivano le vie di corsa di due correnti di vagoncini con opposto senso di marcia, mentre la terza aveva una funzione traente e collegava fra loro i vagoncini trainabili nel loro moto.
Furono impiegati 1.000 tonnellate di parti meccaniche, altrettanto pesavano le funi e circa altre 2.000 tonnellate di carpenterie metalliche. Sotto il profilo qualitativo la teleferica era quanto di meglio poteva offrire l’industria mondiale. Ben 75 km di viaggio aereo di vagoncini per trasportare nei due sensi oltre 30 tonnnellate di merci, da Campo Marte, Mai Atal, Dogali, Sabarguma, Embatkalla, Ghinda e Nefasit.
Poi gli inglesi la rubarono, la distrussero per privarci di una risorsa che avrebbe fatto ancora più grande l’economia dell’Eritrea e anche perchè si vergognavano di non aver mai avuto ingegneri bravi come i nostri.
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di © Pasquale Santoro – Tutti i diritti riservati
Foto di Stefano Pettini dal sito eritreaeritrea
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