Durante la sua lunga carriera nell’Arma il Generale Umberto Ripa di Meana ha avuto numerosi importanti incarichi professionali e tra questi quello sicuramente più prestigioso è stato l’addestramento e la preparazione delle Forze di Polizia della Somalia pre-indipendente sia a livello di quadri superiori che di semplici agenti. Questo incarico rivestiva una particolare importanza perché metteva in gioco non solo il buon nome della Benemerita ma altresì il prestigio dell’Italia alla quale per la prima volta dopo il conflitto mondiale veniva affidata una missione all’estero sia di peace keeping che di formazione democratica delle istituzioni di un paese emergente. Per illustrare più compiutamente questo concetto sarà opportuno ricordare, sia pur brevemente, il quadro storico esistente all’epoca di detta missione. Alla fine del 1949, quando l’ONU affidò all’Italia l’Amministrazione Fiduciaria della ex colonia Somala per portarla all’indipendenza entro dieci anni, la giovane Repubblica uscita da poco dalla seconda guerra mondiale si trovò ad affrontare un compito particolarmente arduo e gravoso sia dal punto di vista politico che da quello economico. Infatti l’Italia in Africa in quel periodo era vista non solo come la nazione
sconfitta nel conflitto mondiale ma scontava anche, presso le popolazioni locali, gli effetti di una impietosa propaganda ostile da parte delle potenze vincitrici che ovviamente durante il conflitto avevano interesse ad accaparrarsi la benevolenza della gente a scapito degli ex colonizzatori. In questo quadro politico la questione più “sensibile” era ovviamente quella dei rapporti tra amministranti ed amministrati soprattutto per ciò che riguardava l’ordine pubblico e la sicurezza di tutti gli abitanti che appartenevano a varie etnie somale (vari clan da sempre in lotta tra loro) e non somale (arabi, indo-pakistani, italiani). Il mandato fiduciario dell’ONU costituiva in effetti il banco di prova al quale le Nazioni Unite (molte delle quali profondamente anticolonialiste) attendevano la nostra amministrazione ed il cui successo od insuccesso avrebbe significativamente inciso sulla reputazione della neonata Repubblica quale cultrice di valori democratici in grado di esportarli anche nei paesi sottosviluppati. Naturalmente il primo e più grave problema che si poneva per l’attuazione del programma di “guida all’autodeterminazione” era quello di mettere ai vertici dell’Amministrazione le persone giuste che non fossero solo professionalmente capaci e preparate ma che possedessero qualità morali ed umane tali da riscuotere la fiducia e la stima degli amministrati. La scelta si rivelò, alla prova dei fatti, la più felice. Il Colonnello Ripa di Meana non tardò a vincere le comprensibili diffidenze ed animosità nei confronti dell’Italia, nutrite dalle forze dell’ordine addestrate dagli inglesi, e che raggiungevano il grado massimo di Ispettore, ed a stabilire un clima di
completa fiducia ed onestà professionale, soprattutto nella scelta dei primi elementi da inviare in Italia ai primi corsi di formazione. Senza cedere a favoritismi adottò criteri di selezione di assoluta trasparenza avendo riguardo alle sole capacità personali ed alla preparazione tecnica pur dovendo agire nella realtà fatta di forti influenze claniche. Questa sua refrattarietà alle pressioni gli valse alla lunga la stima incondizionata di tutti che riconobbero ben presto in lui il Carabiniere imparziale ligio solo alle leggi ed al dovere espletato sempre con la massima correttezza. Questo atteggiamento in un momento molto delicato, trattandosi di un trapasso di poteri durato qualche anno, tra la potenza amministrante (considerata ancora da qualcuno una potenza coloniale e di occupazione) e la piena autonomia ed indipendenza, fu il segreto del successo di una evoluzione svoltasi nell’ordine e nella più completa sicurezza. Di ciò gli stessi somali ad ogni livello non hanno mai mancato di rendere piena testimonianza anche a distanza di cinquant’anni tanto che ancora negli anni 2000 basta nominare in Somalia, come è capitato al sottoscritto, il Colonnello Ripa di Meana per sentirne tessere le lodi e parlarne con grande rispetto ed ammirazione. Tutti coloro che lo hanno conosciuto quando hanno saputo che ero in contatto con la sua famiglia mi hanno sempre raccomandato di portarle i loro più affettuosi saluti e la testimonianza che tutt’ora ne onorano la memoria e questo sia tra gli ufficiali che tra i politici, giovani negli anni cinquanta e che ora, per evidenti ragioni anagrafiche sono sempre più ridotti di numero.
di Gianfranco Cenci – © Tutti i diritti riservati
UMBERTO RIPA DI MEANA
Nato a Verona il 14 ottobre 1904, vive e studia tra Verona ed il castello di Solere fino al momento di entrare giovanissimo nell’ Arma dei Carabinieri. Tra i primissimi incarichi una missione in Libia, la tenenza di Gela ed una missione in Germania nella regione della Saar. Successivamente comanda la Tenenza di Acqui Terme, dove si insedia all’inizio del 1936 per la prima volta con la famiglia composta dalla moglie e dalla primogenita di 4 figli, di appena quattro mesi. Pur avendo avuto il trasferimento già alla fine di maggio del ’37, il soggiorno ad Acqui, ove la bambina ha fatto i primi passi e balbettato le prime parole, è rimasto nei suoi ricordi sempre come uno tra i più belli. Il Comando dello Squadrone a Cavallo a Roma lo porta ad Addis Abeba nel 1938 al seguito del Viceré Amedeo di Savoia Aosta e con lui parte per la guerra sull’Amba Alagi ove viene gravemente ferito. Quale “grande invalido” rimpatria con la famiglia nel 1943 ed alla fine della guerra prende il Comando della Compagnia di Novi Ligure ed in successione quella di Pallanza e di Tempio Pausania. Col grado di Maggiore lascia la Sardegna e diventa vicecomandante della Legione CC di Catanzaro ma dopo pochissimi mesi viene destinato a Mogadiscio in Somalia Italiana, per incarico dell’ONU, quale responsabile della costituzione della Polizia Somala per il nascente stato indipendente somalo. Lascia il servizio in età ancora giovane, 56 anni, col grado di Generale di Brigata e si dedica totalmente alla passione mai trascurata: il disegno e la pittura. Frequenta la scuola speciale del nudo e della figura, a Roma, ove conclude la sua vita nel 1977. Ha partecipato a mostre a Pallanza, a Tempio Pausania, a Roma, a Formello e a Mogadiscio.

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