
Dopo la missione esplorativa dell’Uebi Scebeli rientrò in Italia dove gli venne diagnosticato un carcinoma e nel 1932 fece comunque ritorno nel suo Villaggio dove morì e fu sepolto.
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Qui il testo del discorso del 20 marzo 1933 tenuto al Senato dal Capo del Governo Benito Mussolini:
Signori Senatori!
Con alta e commossa parola il Presidente illustre della vostra Assemblea ha testé mirabilmente rievocato dinanzi a voi la vita e le opere del Duca degli Abruzzi.
La sua figura di navigatore, di esploratore, di pioniere, di scienziato è passata dinanzi al vostro spirito e insieme una serie di vicende gloriose che già riempirono le cronache del mondo e oggi sono consegnate per sempre alla Storia.
Precursore ed incarnazione compiutissima Egli fu dell’italiano nuovo, per il quale il titolo, il nome, il passato, la tradizione hanno valore solo in quanto siano stimolo al compimento di più gravi doveri ed alla rivelazione di più forti virtù.
Dalle solitudini sconfinate e deserte del Polo alle cime inaccessibili delle montagne, dalle immensità tempestose degli Oceani alle inospitali lande africane, dovunque, il Duca degli Abruzzi espresse nello sforzo teso ad una conquista il suo animo di combattente, che durante le lunghe navigazioni per tutti i mari, aveva appreso fin dalla adolescenza sognatrice l’arte del freddo ardimento e il metodo della tenace pazienza. Non solo l’obiettivo o il risultato felice delle imprese, ma il «modo» sollevava i più grandi entusiasmi fra il popolo italiano e fra tutti i popoli civili.
Egli meritava il titolo di «Eroe» nel significato più vasto e profondo del termine. Spregiatore degli agi, del riposo, delle futili se anche tal volta inevitabili cosiddette mondanità, egli amava il rischio con le sue incognite, il pericolo con le sue seduzioni, la solitudine con i suoi silenzi, che pongono finalmente l’uomo a contatto con l’essenziale e l’eterno.
Egli fece della sua vita una ininterrotta, severa milizia e nelle opere di pace e in quelle di guerra preferì, al molle, il clima duro. Taciturno, come coloro che molto videro e molto compresero, schivo di clamori e di onori, come i privilegiati che non sanno sostare nemmeno per raccogliere l’alloro della gloria, poiché una segreta indomita volontà li sospinge ad andare più oltre.
Anche morendo, egli ha rivelato la sua anima, chiedendo di rimanere nella terra somala da lui con sacrificio incessante, con quotidiano, umile lavoro, chiamata alla fertilità.
I gagliardetti abbrunati delle Camicie nere si inchinano oggi, con atto di reverenza e di amore, sulla salma del Principe Sabaudo.
Egli si avvia tra le grandi ombre, salutato dal nostro appello, che echeggia potente dai lidi della Madre Patria a quelli dell’Oceano Indiano. Il Duca degli Abruzzi è presente fra noi e presente rimarrà nel memore, fedele cuore del popolo.
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