Il sogno infranto delle colonie americane

Se esaminiamo la storia e la geografia del mondo moderno fra il XVI e il XVIII secolo vediamo che in quel periodo tutti i principali stati europei avevano già iniziato un’intensa politica coloniale e di conquista in Africa, America e Asia con in testa Spagna e Portogallo seguiti, per il momento ancora ad una certa distanza, da Inghilterra e Francia; non stavano però a guardare l’Olanda che si stabilì presto in Indonesia, e neppure la piccola Danimarca che possedeva la Groenlandia e alcuni insediamenti nei Caraibi e in India.

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Grandi assenti, ma solo apparentemente, l’Austria e la Russia perché la prima stava dirigendo i suoi interessi in Dalmazia e nei Balcani e la seconda nell’Asia Centrale e nella Siberia: insomma, anch’esse stavano affermando la loro sovranità su vari territori che vennero amministrati sostanzialmente come colonie, ma con il grande vantaggio di averli contigui senza bisogno di attraversare gli oceani per arrivarci.
E l’Italia? Divisa in tanti stati troppo piccoli per avere interessi al di fuori della semplice sopravvivenza delle dinastie e dei loro popoli e, sopratutto, con l’economia distrutta dalle nuove rotte oceaniche che avevano spostato altrove le correnti commerciali, fu completamente assente dai nuovi equilibri della politica mondiale. Con un’eccezione: il Granducato di Toscana.
Sul finire del XVI secolo la crisi politica che portò alla temporanea annessione alla Spagna del Portogallo e del suo impero coloniale ebbe conseguenze soprattutto in Brasile dove l’instabilità della situazione lasciò un certo spazio perché che in alcune aree periferiche di quel paese, quasi disabitato, sterminato e non ancora organizzato, si insediassero potenze straniere: Inghilterra, Francia e Olanda: però, quanto a terreni e possibilità, ne restavano ancora.

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In Toscana regnava Ferdinando I de’ Medici, buon governante e mecenate e al quale si deve la fondazione di Livorno, che crebbe rapidamente divenendo ben presto uno dei porti maggiori d’Italia e una città cosmopolita che in quel momento era la più vivace d’Italia e la più protesa verso il futuro.
Con un porto di questo calibro, aperto verso il mondo, il Granduca si lasciò sedurre dalla politica coloniale e dal tentare la competizione, pur ineguale, con le nazioni marittime europee.
Nel 1608 incaricò l’inglese Robert Thornton, esule in Toscana per motivi politici e Cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano, di cercare sulla costa atlantica dell’America Meridionale un territorio dove potesse essere costituito un insediamento toscano con scopi eminentemente commerciali che si sarebbe dovuto “interfacciare” al di là dell’oceano e del Mediterraneo con Livorno, specialmente in vista dell’esportazione di legname pregiato necessario per il decollo della cantieristica navale.
Fatti i preparativi ed allestite due navi, il galeone Santa Lucia Bonaventura ed una grossa tartana, con lui si imbarcarono il fratello Giles e Robert Dudley, un altro inglese egualmente esule per motivi politici e stabilitosi a Firenze, esperto di cartografia e navigazione, che già in passato aveva esplorato la costa orientale del continente sudamericano.
Per un anno i tre navigatori costeggiarono l’America e individuarono come luogo adatto quella che sarebbe diventata la Caienna, territorio quasi inesplorato, non rivendicato dalla Spagna e dove pochi decenni dopo sarebbero sorti i primi insediamenti francesi; nel frattempo furono avviati anche rapporti commerciali con le città spagnole e portoghesi che si trovavano più a nord e più a sud.

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La spedizione Thornton, ben organizzata e ben condotta, fu sostanzialmente un successo: ritornò a Livorno il 12 luglio 1609 senza lamentare né danni alle navi né perdite fra gli equipaggi portando informazioni, animali e prodotti esotici, campioni di minerali e perfino alcuni indigeni ben disposti ad affrontare un mondo diverso dal loro.
Tuttavia al suo arrivo trovò una realtà inaspettata che non poté essere cambiata dalle accattivanti novità provenienti dal territorio per il quale era già stato previsto il nome di Nuova Toscana: il Granduca era morto improvvisamente e gli era succeduto Cosimo II che si dimostrò un sovrano illuminato come il genitore e che fu protettore di Galileo Galilei, ma che era più interessato alla vicende italiane ed europee, nelle quali intervenne in varie occasioni e quindi lasciò cadere i progetti paterni di espansione oltremare.
Più tardi, sempre mosso dalla necessità di disporre di legname pregiato, Cosimo II riprese l’idea di costituire una colonia, questa volta lungo la costa africana nella zona dell’attuale Sierra Leone, ma si trovò in difficoltà perché privo di un idoneo esploratore a causa della morte prematura del Thornton; pochi anni dopo morì anche il Granduca e i suoi successori abbandonarono ogni progetto.
Circa due secoli e mezzo dopo ritornò d’attualità una colonia nel Sud America: questa volta l’idea nacque nell’ambito della curia pontificia e lo scopo non era tanto commerciale quanto quello di creare una colonia penale così come l’Inghilterra stava facendo dell’Australia.
In quegli anni lo Stato Pontificio, come gli altri stati italiani, doveva fare i conti con i moti liberali e repubblicani scoppiati fra il 1820 e il 1848 specialmente nelle Romagne. In questo caso, però, la situazione era aggravata dal fatto che quelle popolazioni avevano un carattere impulsivo e violento e molti si servirono del pretesto ideologico per coprire ogni sorta di delitti.

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Ci si trovò quindi con le carceri sovraffollate di detenuti politici particolarmente pericolosi perché univano l’ostilità al governo a pesanti precedenti penali: si pensò di liberarsene esiliandoli in permanenza da qualche parte, purché lontano.
Quasi provvidenzialmente l’occasione si presentò grazie a una certa “Società di Bahia” il cui scopo era di popolare le regioni deserte attorno a quella città e che sembrava ben disposta ad accogliere sudditi pontifici e assegnar loro terreni e insediamenti autonomi senza preoccuparsi troppo dei loro trascorsi. Tale società era rappresentata a Roma da un agente molto intraprendente e, dettaglio che non passò inosservato, era garantita dal Vescovo di Bahia.
Una missione esplorativa per verificare le condizioni dei luoghi partì all’inizio del 1837 sul brigantino Madonna delle Grazie del capitano Balsamo con Alessandro Cialdi come comandante militare, imbarcando un primo gruppo di detenuti: prima di passare alle deportazioni coatte erano stati reclutati dei volontari che scelsero di abbandonare l’Italia per riconquistare la libertà.
Questa spedizione si risolse in modo disastroso: a Bahia la società disconobbe gli impegni presi dal suo agente romano mentre il Vescovo era irraggiungibile perché, per impegni politici, si trovava nella lontana Rio de Janeiro che allora era la capitale dell’impero del Brasile.
Senza un progetto definito gli italiani si dispersero nella città e nei dintorni, ma solo pochi trovarono una sistemazione onesta: chi era delinquente continuò a delinquere e chi era cospiratore continuò a cospirare trovando nell’inquieto Sudamerica un terreno ancora più promettente dell’Italia per intrighi e rivoluzioni di ogni sorta a cui si votarono volentieri nonostante la loro estraneità.
La popolazione di Bahia protestò in ogni modo e a fatica sopportò questi nuovi arrivati, ma con tali premesse papa e cardinali abbandonarono l’idea di fondare una nuova Roma in Brasile.

di Guglielmo Evangelista

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