L’orgoglio della PAI “Polizia dell’Africa italiana” ammirata e stimata in tutto il mondo

Atletici e di bella presenza, quasi fossero destrieri snelli e possenti, incendiavano i cuori delle donne e suscitavano ammirazione e un po’ d’invidia negli uomini.

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Elegantissimi nelle divise e negli stivali color kaki e con in testa il casco coloniale che donava loro l’esoticità di lontane terre,i cadetti della PAI, la Polizia dell’Africa Italiana, erano a Tivoli per seguire i corsi di addestramento per diventare agenti, sottufficiali e ufficiali.
Uomini alti e prestanti certo, venivano reclutati tra candidati che dovevano avere una altezza minima di 175 cm, statura che poi risultò essere per gli allievi ammessi di 182 cm, quando i sudditi italiani erano mediamente alti 167 cm.
Siamo nel 1936 e dopo la conquista dell’Etiopia e la proclamazione dell’ Impero, il regime fascista ritenne improcrastinabile la creazione di un Corpo di Polizia Coloniale destinato al mantenimento dell’ordine pubblico nelle Colonie Italiane dell’Africa.
Il 14 dicembre dello stesso anno fu costituito a Roma il Corpo di Polizia Coloniale che successivamente assunse la denominazione di Polizia dell’Africa Italiana, avente finalità amministrative, giudiziarie, di Pubblica Sicurezza e di Polizia ferroviaria, portuale e stradale.
La forza della PAI ammontava a 6.344 uomini, suddivisi in 87 ufficiali, 368 sottufficiali, 1.475 agenti italiani, 4.064 ascari eritrei e 350 somali.
Il Comando Generale era a Roma, l’unica scuola di addestramento a Tivoli, l’Ispettorato per l’ Africa Orientale a Addis Abeba e quello per la Libia a Tripoli.
61 i battaglioni formati nella caserma Pantanella di via Degli Orti a Tivoli, e quindi dislocati nelle 6 sedi di Tripoli, Bengasi, Asmara, Addis Abeba, Gondar e Mogadiscio.
5 i reparti speciali, tra i quali brillavano lo Squadrone Azzurro di scorta al Governatore della Somalia, formato da 11 italiani e 11 somali, unità seconda solo all’efficientissimo reparto di Polizia Stradale che aveva il compito di sorveglianza delle vie di comunicazione del neonato Impero.
La scuola della PAI fu inaugurata a Tivoli il primo dicembre del 1937 e presto acquisì grande prestigio negli ambienti militari non solo italiani, credito alto e frutto meritato del severo addestramento ginnico e dei rigorosi studi giuridici e delle lingue.
Ai futuri ufficiali è fatto obbligo di conoscere almeno due lingue estere, scelte tra il francese, l’inglese, il tedesco (allora molto di moda!!! ), l’arabo , il tigrino, il somalo, l’amarico.
Immenso nella sua vastità è il territorio sotto la giurisdizione della PAI, quell’Africa dove si incontrano e si sovrappongono innumerevoli le etnie e gli idiomi, le genti e le religioni.

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Terre che vanno dal deserto libico all’altopiano etiopico, dalla boscaglia somala alla depressione dancala, terre fitte di oleandri e baobab, di palme e di eucalipti, di banani e di bouganville.
Terre dove spesso le zolle si fanno aride quando già non lo sono, terre dove all’improvvisa pioggia i profumi della savana si fanno penetranti e avvolgenti.
Ed è qui in questi paesi affascinanti che i nostri militari sapranno agire tra la generale approvazione delle popolazioni, agendo con la certezza delle leggi e pur nella consapevolezza dei costumi e delle consuetudini locali.
Il governo del Reich dopo aver ricevuto dalle autorità consolari tedesche nell’Africa Orientale Italiana lusinghieri rapporti sull’alto livello di addestramento della PAI, inviò in visita di cortesia a Tivoli, il Capo della Deutsche Polizei, Generale Ritter Von Epp che ne riportò una tale positiva impressione da sollecitare Berlino a chiedere al Ministero dell’Africa Italiana, di consentire un corso di aggiornamento per 180 poliziotti tedeschi, cosa che avvenne nella prima metà del 1939.
Grande per la nostra PAI fu l’apprezzamento della stampa estera, statunitense, argentina e di molti paesi europei.
Elogiantissimi gli articoli pubblicati dagli inglesi Daily Mail e Daily Telegraph, quotidiani conservatori non insensibili al richiamo di Roma.
Quasi tutti i battaglioni avevano come componenti indigeni gli ascari eritrei, soldati fedelissimi all’Italia, gente che soffriva intimamente nel vedere il Tricolore offeso o caduto a terra.
Gli ascari col tarbush erano combattenti valorosi e sempre pronti a sorridere ad un saluto in italiano, uomini dalle bocche sincere nella vittoria e nella sconfitta mai disertori. Non meno leali ed onesti erano gli ascari somali.
Arriverà poi purtroppo il 10 giugno del 1940, data terribile e crocevia della nostra storia, con (diciamolo chiaramente) la notizia dell’entrata in guerra, tormenta tragica e drammatica che tutto travolgerà, fino all’inevitabile resa di fronte a un nemico molto più numeroso, con forze soverchianti e meglio armate.
L’Africa Orientale Italiana cadrà nel novembre ’41, dopo gli eroici giorni di Gondar e Culquaber. La PAI continuerà ad operare in Africa Settentrionale, dove garantirà l’ordine nelle città costiere e sorvegliando la via litoranea.
Dopo la resa delle forze Italo- tedesche in Tunisia nel maggio ’43, i resti della PAI operarono solo sul suolo d’Italia.
Con l’ armistizio dell’8 Settembre del ’43 e la crisi del regime che sopraggiunge, il ruolo della PAI si fa oltremodo difficile con la nascita della Repubblica Sociale Italiana.

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Il generale Maraffa, comandante militare della PAI e fervente monarchico, si rifiutò di prestare giuramento al nuovo Stato fascista e fu per questo arrestato e deportato in Germania nel campo di concentramento di Dachau, dove morì l’11 Dicembre ’43.
Iniziò quindi il 10 settembre la difficile convivenza con i nazisti, che pur consapevoli del non amichevole orientamento politico della PAI, preferirono chiudere gli occhi piuttosto che dover trasferire in città altre truppe d’occupazione, forze armate evidentemente più preziose altrove. Vennero i giorni fraticidi e anche la PAI si divise come tanti italiani.
Nel nord Italia una parte della PAI, non consistente, aderì alla R.S.I., inglobata nella Guardia Nazionale Repubblicana per essere poi sciolta dalle autorità fasciste nel Marzo del ’44.
Nel Regno del Sud invece, posto sotto il controllo alleato, gli uomini della PAI continuarono il loro compito di garantire l’ordine fino al definitivo scioglimento del corpo avvenuto il 9 Marzo del 1945.
Restano della PAI le sue pagine dense di equità e ragionevolezza, pagine mai macchiate dalla brutalità gratuita in tempi pur orribili. Rimangono in quel di Tivoli i ricordi dei suoi uomini, reminiscenze trattenute tra le mura di una vecchia caserma abbandonata ma dalla gloriosa storia.
Quella stessa caserma dove ogni tanto è possibile vedere intrattenersi un tramonto africano, bellissimo nel suo voler scandire tempi oramai lontani eppur ancor vivi di un grande amore. Amore o forse malattia di noi italiani. Il mal d’Africa.
Scusandomi per la lunghezza del testo, un cordiale saluto a voi tutti!!

di Carmine Di Faustino

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