“Capo Guardafui – Un secolo di naufragi e di pirateria nelle acque del Corno d’Africa” di Raffaele Laurenzi, Ledizioni, 2020.
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1937-38. Alula, Somalia. L’ufficio di Aurelio Laurenzi
Perché questo libro dedicato a Capo Guardafui?
Mio padre Aurelio mi regalò un giorno quattro calamite: quattro bacchette cilindriche lunghe una ventina di centimetri, verniciate per metà di rosso, a indicare il polo positivo, e per metà di nero, a indicare il polo negativo. Giocavo spesso con quelle bacchette d’acciaio, che si attiravano e si respingevano a seconda di come le disponevo. Seppi da mio padre che provenivano dalla chiesuola della bussola di un piroscafo, uno dei tanti incagliati vicino a capo Guardafui, Corno d’Africa, e saccheggiati dai pirati somali servivano a compensare l’errore dell’ago dovuto al campo magnetico del nostro pianeta e della massa ferrosa della nave. Mio padre era stato nel Corno d’Africa almeno due volte per lunghi periodi: la prima nel biennio 1927-28, quando ad Alula, antica capitale del sultanato della Migiurtinia, era un semplice impiegato dell’amministrazione della Somalia Italiana; la seconda nel triennio 1937-39 in qualità di Regio Residente di Alula, con competenze che si estendevano fino al personale civile del faro Francesco Crispi e della stazione radio a onde corte che gli italiani avevano costruito sul promontorio di capo Guardafui. La residenza che il governo della Somalia Italiana gli aveva assegnato era una bella garesa, sorta di villa araba fortificata, con una lunga terrazza coperta al primo piano, interrotta da grandi archi, che si affacciava sul golfo di Aden e, sul retro, un’altra terrazza, del tutto uguale alla prima, che si apriva su una spianata semidesertica. Gli arredi della garesa, armadi, tavoli, sedie, letti, lampade, suppellettili, attrezzature da cucina e tutto il resto, erano il frutto del saccheggio dei relitti delle numerose navi incagliate presso capo Guardafui e abbandonate dall’equipaggio.

1937-38. Alula, Somalia. Aurelio Laurenzi nel suo ufficio
La pirateria andava infatti ad alimentare un fiorente mercato, che aveva ad Alula la sua piazza principale. I ras della Migiurtinia vi si rifornivano per arredare le loro garese; i pescatori vi acquistavano vele in robusto cotone Olona, che tagliavano e adattavano all’alberatura dei loro sambuchi; le donne migiurtine vi compravano a poco prezzo il carbone per scaldare i samovar, attrezzi per cucinare e, quando potevano permetterselo, qualche essenza delle maison di Londra e Parigi che le signore passeggere avevano abbandonato in cabina per mettersi in salvo. Quelle calamite, e chissà quante altre cose, mio padre le aveva comprate lì, al mercato di Alula. Egli mi raccontò un dettaglio che mi rimase impresso: le posate in alpacca in dotazione alla sua residenza-ufficio erano quelle che apparecchiavano i tavoli del ristorante di un piroscafo francese che nel 1905, in viaggio dall’Indocina a Marsiglia, si arenò poco lontano da Alula: le impugnature riportavano stampigliato lo stemma della società di navigazione e il nome della nave: «SS Chodoc». Ho cercato riscontri storici nelle cronache dell’epoca, seguendo le poche sommarie informazioni che avevo avuto da bambino, e li ho puntualmente trovati. Non mi sono accontentato, ho continuato a cercare, ho trovato molto altro e alla fine ne è venuto fuori un libro – Raffaele Laurenzi, Giugno 2019
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