1938. Nel XV annuale della Milizia nasce il “passo romano”

Il 1° Febbraio 1938 al Colosseo, durante la celebrazione del XV annuale per la fondazione della Milizia, venne ufficialmente presentato il “passo romano” e adottato da tutte le Forze Armate, della Milizia e delle formazioni giovanili del Partito Fascista.
In quell’occasione Mussolini decorò i labari delle Legioni reduci dall’Africa, consegnò alle famiglie dei Caduti le medaglie al valore e salutò i battaglioni che sulla Via dei Trionfi sfilano per la prima volta a «passo romano».
Nella prefazione agli “Atti del Gran Consiglio” fascista, redatto in occasione dei primi quindici anni dell’ascesa al potere, Mussolini scriveva che fra le opere del regime “l’innovazione del passo romano è di una importanza eccezionale”.

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La Domenica del Corriere – 13 Febbraio 1938

Ecco il discorso del “Passo Romano” pronunciato dal Duce:

Ufficiali, Sottufficiali, Legionari, vicini e lontani!
Voglio prima di tutto dirvi che sono fiero di voi.
Vi presentate come una massa compatta che ha un volto solo.
Coloro che nel marzo del 1923 videro la prima sfilata delle Legioni ed hanno la fortuna di assistere all’odierna possono di colpo misurare l’enorme portata dei progressi compiuti.
Affiancata alle altri Forze Armate dello Stato, delle quali con fraterno cameratismo allevia i compiti ponderosi nei periodi di pace, la Milizia, durante la guerra, mobilita i suoi battaglioni per rappresentare e tramandare lo spirito eroico dello squadrismo fascista, che fu e rimane la vecchia fedele guardia della Rivoluzione.
Durante questi 15 anni, la Milizia ha scritto pagine di sangue e di gloria in Libia, in Etiopia, in terra di Spagna.
Essa è pronta a cimentarsi in prove anche più ardue. Io so che voi non attendete che un grido.
Legionari!
Fra poco, dopo pochi giorni soltanto di esercizi, dodici dei vostri battaglioni sfileranno per via dei Trionfi col nuovo passo romano di parata.
Talune affioranti riserve sono semplicemente fuori posto. Il passo di parata simboleggia la forza, la volontà, l’energia delle giovani generazioni littorie che ne sono entusiaste.
È un passo che ha uno stile difficile e duro, che esige una preparazione ed un allenamento. Per questo lo vogliamo.
È un passo che i sedentari, i panciuti, i deficienti, le cosiddette mezze cartucce non potranno mai fare. Per questo ci piace.
I nostri avversari proclamano che il passo di parata è l’espressione più genuina dell’autentico spirito militarista. Ne siamo felici.
Per questo lo abbiamo adottato e fra qualche tempo lo eseguiremo alla perfezione. Perché il popolo italiano, quando vuole, sa fare tutto.
Legionari!
L’Italia fascista è forte, ha molte armi, moltissimi uomini capaci di impugnarle, ha un comando solo ed ha un’anima temprata da quattro guerre.
L’Italia dell’anno XVI dell’Era fascista rispetta gli interessi di tutti, ma è pronta a difendere la sua pace ed il suo avvenire contro chiunque.
Lo avete inteso?
Battaglioni! Saluto al Re!

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Ma come marciavano le Legioni romane? Come avanzavano le truppe che l’Imperatore conduceva personalmente, precedendole, in battaglia?
Le falangi a passo sicuro seguivano il signifer, l’alfiere che recava alta l’insegna dell’esercito, cioè l’Aquila d’oro, usata per la prima volta da Mario nel 670° anno di Roma.
L’onore di scortare nel combattimento questo emblema spettava sempre alla prima Legione, l’eletta, cioè quella formata dagli elementi più arditi, impavidi e veterani di tutte le battaglie. Questi prodi erano seguiti dalle coorti, le quali issavano alti su lance dei panni colorati recanti a centro il ricamo del dragone. Tali tessuti, veri precorritori delle bandiere, venivano agitati come fiamme vive nella lotta e trascinavano gli uomini all’eroismo ed all’entusiasmo.
Venivano poi i manipoli, da manipulis cioè fastello di fieno che era legato ad una lancia per i triari e ed al pilo per i principi e gli astati. Ogni soldato romano aveva un bagaglio, in pieno assetto di guerra, di sessanta libbre, circa venti chili, e con questo peso sulle spalle riusciva a compiere marce non inferiori alle dieci miglia (circa quindici chilometri) dall’alba al tramonto. Nel libro Epitoma rei militaris di Vegezio (funzionario e scrittore del IV-V secolo), fra le istruzioni che si dovevano seguire a completamento di quelle svolte nel Campo di Marte, si narra che l’andatura militare, militaris gradus, doveva essere tale da poter coprire una distanza «viginti milia pasuum» in cinque ore estive (l’ora romana corrispondeva ad un’ora e un quarto della nostra).
I Romani chiamarono gradus (da cui derivano il nostro “gradino” e il “grado” delle scale di misurazione) il nostro comune passo di marcia e dicevano passus il doppio gradus, cioè passo lungo.
Per i Romani il passus era lungo 5 piedi (29,55 cm) cioè 147,75 cm, sicchè il gradus (quello che noi chiamiamo passo) era lungo 73,875 cm, quasi uguale al passo di 75 cm del nostro esercito.

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Camicie Nere sfilano con passo romano a Mogadiscio

Un migliaio di passus, cioè metri 1477,50, fu preso dai Romani come unità di misura itineraria e da essa è certamente derivato il nome di miglio che molte nazioni hanno adottato e utilizzano tutt’ora.
Le Legioni di Cesare avevano una marcia oraria di 4 km e 728 metri, uguale ai moderni eserciti che, marciando con passo da 75 centri e con la cadenza di 120 al minuto, percorrono 4,5 km/h.
Consentiva di coprire 20 miglia (circa 30 km) in cinque ore di marcia: il cosiddetto iter justum. In alcuni casi, però, era possibile che venisse adottato un passo più rapido che consentiva di percorrere fino a 36 km. In quel caso si parlava di iter magnum, quello di cui Cesare si servì spesso durante la sua campagna in Gallia cogliendo di sorpresa i suoi avversari.
Ma i Romani avevano anche il plenus gradus, cioè la marcia utilizzata durante le manifestazioni e le parate davanti all’Imperatore. Un passo più energico, in cui le gambe venivano tese in avanti in modo più rigido, per poi far battere rumorosamente i talloni sul selciato. Era un tipo di marcia certamente più scenografico, ma anche faticoso e non praticabile a lungo.
Cesare, famoso fra i suoi legionari per la resistenza alle fatiche e per le lunghe marce a piedi, partecipò sempre in prima fila con i suoi militi a tutte le quindici campagne di vittoria.
Dopo la battaglia di Manda, l’ultima sua vittoria, Cesare, alta testa dei suoi Legionari, marciò a plenus gradus, cioè col passo veramente romano.
Il fascismo adottò questo tipo di passo, ispirandosi a Vegezio chiamandolo quindi “passo romano” anche se era molto simile al “passo dell’oca” inventato da Eugenio di Savoia-Soissons per le sue truppe, adottato poi dall’inizio del XIX secolo dai soldati prussiani ed infine anche dalla Germania nazista.

di Alberto Alpozzi

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