I dubat vestivano con una futa bianca di cotone avvolta all’indigena ai fianchi, cadente fin sotto le ginocchia, sorretta da una cartucciera di cuoio con 40-80 colpi e una seconda futa, terminata da fiocchi, arrotolata a tracolla, dal fianco sinistro alla spalla destra, utilizzata per coprirsi di notte e nella stagione fredda.
Durante la guerra d’Etiopia 1935-36, quando le operazioni portarono i dubat nelle regioni interne dell’Harar e del Galla Sidamo, con clima più rigido, indossarono camicie a maniche lunghe e corte, maglie di lana e anche la classica mantellina grigio-verde dei reparti della fanteria regolare.
“Amano la loro divisa veramente sobria e bella che lascia seminudo il petto e la mantengono candida, d’un candore che abbaglia”1. Infatti durante la guerra d’Etiopia non fu semplice fargli indossare una nuova divisa, come testimoniato dall’inglese Barnes: “Sebbene tali copricapo costituiscano un segno di riconoscimento per il nemico, ci volle molto per indurre la maggior parte di coloro che lo portano a separarsene. Solo a campagna avanzata molti furono persuasi a portare il color kaki invece del bianco vivo”2.
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Dicono i dubat: Noi non vogliamo toglierci il nostro bianco dub, cioè il turbante, in combattimento poiché gli abissini appena lo vedranno si daranno alla fuga.
I nostri ufficiali insistono: il dub è un bersaglio visibile che attirerà sulle vostre teste le fucilate nemiche. Rispondono: Staremo a vedere.
Il primo impiego della nuova divisa avvenne il 22 Novembre 1935 nella battaglia di Lama Scillindi nella quale il successo fu dovuto in parte alla nuova futa color kaki che garantì prima un miglior mimetismo e perché confuse gli etiopi che li scambiarono per combattenti irregolari delle loro file.
di Alberto Alpozzi
Il testo dell’articolo è una rielaborazione di alcuni contenuti del libro “Dubat – Gli Arditi somali all’alba dell’Impero fascista” di Alberto Alpozzi, prefazione Mario Mori, Eclettica Edizioni
NOTE
1. Sandri S., Sei mesi di guerra sul fronte somalo, Arti grafiche Bertarelli, Milano-Roma, 1936
2. Barnes G.S., Io amo l’Italia, Memorie di un giornalista inglese, Garzanti, Milano, 1939

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IL LIBRO “DUBAT”:
I dubat, bande armate di confine, furono un corpo militare coloniale d’élite formato dai migliori uomini dei clan somali di tradizione guerriera. Ammirati e temuti per le loro imprese al fianco dell’Italia segnarono la storia della Somalia. Vennero istituiti nel 1924 dal Quadrumviro Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon, governatore della Somalia italiana, per proteggere gli incerti confini dalle razzie abissine e per sequestrare le armi da fuoco che rendevano instabili e insicuri i protettorati nel nord. Comandati e organizzati dal maggiore degli Alpini Camillo Bechis i dubat fronteggiarono i clan riottosi in epiche battaglie che assunsero tutti i caratteri di una vera e propria guerra coloniale, supportata in alcune fasi da una divisione navale e una squadriglia aerea. Il testo ripercorre i combattimenti e le azioni dei dubat narrando l’epopea che portò per la prima volta alla pace e all’unificazione di genti e territori conosciuti oggi come Somalia, un tempo divisi tra clan rivali in costante lotta per la supremazia. Attraverso la voce dei protagonisti ci ritroviamo a vivere nella più lontana colonia italiana seguendo in diretta le operazioni militari. A parlare sono i telegrammi, le relazioni militari e ministeriali, i diari personali, le lettere private e i giornalisti dell’epoca. Centinaia di immagini fotografiche inedite completano il quadro storico minuziosamente ricostruito giorno per giorno. L’analisi dei documenti d’archivio ha portato alla luce trattati coloniali e convenzioni internazionali che non solo hanno ricomposto il contesto socioculturale nel quale maturarono gli eventi ma hanno anche svelato intrighi e traditori, i cui nomi, dopo quasi cento anni possono essere resi noti. Nel libro vengono forniti strumenti e tracce per un’analisi storica della politica coloniale italiana in Somalia e degli obiettivi imperiali nei primi anni del fascismo.
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