La Stella al Merito per i militari indigeni delle colonie italiane

Premesse storiche
Già dopo il primo vero e proprio sbarco militare italiano in eritrea, avvenuto nel principio del 1885, il Tenente-Colonnello Tancredi Saletta (ufficiale in comando del Corpo di Spedizione Italiano in Eritrea) si rese perfettamente conto di quanto fosse importante avviare una massiccia opera di reclutamento di personale indigeno in supporto alle unità del Regio Esercito. Questo venne fatto per due motivi: 1) Allargare le fila (piuttosto esigue invero) del Corpo di Spedizione Italiano. 2) Poiché era assolutamente necessario disporre di guide e personale abituato alle condizione climatiche dell’area e che, soprattutto, conoscessero perfettamete il territorio e le sue insidie così da poter permettere ai nostri connazionali una tranquilla e relativamente facile penetrazione in profondità.
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L’opera del Tenente-Colonnello Saletta, e dei suoi successori nel tempo, si rivelerà molto più semplice del previsto (almeno per quanto riguardò Somalia ed Eritrea dato che Libia ed Etiopia necessitarono di un procedimento di occupazione e pacificazione più complesse ed articolate, cessate le quali però anche lì non mancarono soddisfazioni ed esempi di grandissima fedeltà ed onore da parte indigena).
Già perché – al contrario di molte altre potenze coloniali europee che ovunque andarono o assoggettarono senza pietà e riconoscimenti per le popolazioni locali alcuni, o semplicemente fecero “piazza pulita” di tutto e tutti per sfruttare al massimo le colonie che riuscirono ad occupare – gli Italiani riuscirono a capire da subito un concetto fondamentale: per creare un solido, compatto ed estremamente difendibile Regno coloniale era necessario convivere (ma soprattutto condividere ciò che si riusciva ad ottenere) – quando possibile – con le popolazioni locali così da non incorrere in sanguinose ed estenuanti guerre di repressione che altro non avrebbero fatto se non avviare uno spreco infinito di uomini e risorse con il costante pericolo, anche in caso di vittoria, di continui focolai di rivolta.
Per questo da subito gli italiani si mostrarono sempre calmi, disponibili in caso di problemi e non prevaricatori ed aggressivi. Solo quando necessario o per proteggere la loro stessa vita, furono ferrei ed agguerriti. E di tutto questo gli indigeni locali ben si accorsero.
Altro fattore che aiutò i nostri uomini fu uno di quelli ascrivibili al cosiddetto “Colonialismo atipico italiano” (sebbene quell’”Atipico” sia stato visto da molti in segno negativo in realtà a parer mio, ed anche a parer di fatti, si rivelò molto positivo). Infatti gli Italiani occuparono le loro prime colonie (Eritrea e Somalia) non da subito con la forza militare detronizzando o eliminando chi vi era prima a capo, ma semplicemente comprandole, per poi penetrare lentamente ed in relativa pace e nel rispetto di tutti coloro che accettavano i “Nuovi Padroni”. Come se non bastasse proprio in Eritrea e Somalia (ed in parte anche in Libia ed in Etiopia) le popolazioni autoctone vennero per lungo tempo assoggettate da ottomani prima e da Egiziani ed Etiopi poi (questi ultimi inoltre erano soliti prendere schiavi proprio da quelle popolazioni che, assoggettate, venivano considerate “inferiori” e quindi anche gli eritrei). Quindi, in breve, i popoli che gli italiani andarono ad “assoggettare senza pietà”- come sostiene qualcuno – in realtà erano già occupati da altre popolazioni di usi e costumi completamente diversi che imponevano loro con la forza.
Per quanto concerne l’Eritrea, i problemi con gli Ottomani/Egiziani prima e con Etiopi poi li abbiamo già accennati sopra (problemi etnici e religiosi sostanzialmente), mentre per quanto riguarda la Somalia anche qui gli Etiopi furono i principali responsabili di razzie, sequestri e violenze di ogni genere sulle popolazioni locali, che seppur ben combattive e coraggiose, non erano in grado di difendersi adeguatamente vista la loro praticamente nulla organizzazione.
Il discorso per quanto riguarda le altre colonie prese in seguito sarebbe lungo e laborioso ed essendo questa una semplice introduzione storica non mi dilungo ulteriormente.
Ciò premesso non c’è da stupirsi dunque quando i primi campi di reclutamento (ed i seguenti negli anni avvenire) videro i loro spazi riempirsi sino all’orlo di giovani e forti aspiranti reclute coloniali. Per loro gli Italiani non erano assoggettatori, erano liberatori!
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Gli ufficiali italiani, ben capendo questa situazione, la sfruttarono al meglio. Assicurarono alle popolazioni di Eritrea e Somalia prima e delle altre colonie poi, protezione, libertà di culto, movimento e commercio (purché sempre in linea con le leggi italiane), misero al bando la schiavitù ed incentivarono l’arruolamento e la buona collaborazione con le autorità italiane con una paga ed una quantità (e qualità) di servizi quali cure mediche, istruzione, accesso ai mezzi pubblici ed agli edifici di intrattenimento quali teatri -ed inseguito cinema- (In sale separate, ma non troppo diverse da quelle riservate ai nazionali), concessione di appezzamenti di terra ed altro ancora, mai visti prima da nessun altro esercito o associazione civile coloniale.
E come ricompensarono quelli che via via diventarono sempre più “fratelli” dei nostri connazionali? Semplice: con una forza combattiva, un senso di appartenenza alla loro nuova Madrepatria, ma soprattutto una fedeltà talmente forte che non solo rese quello che sarebbe divenuto in seguito il Regio Corpo Truppe Coloniali uno degli eserciti indigeni più grandi e fedeli di tutti, ma stupì perfino gli italiani stessi tanto che perfino in Patria vennero avviate discussioni riguardo ciò ai più alti livelli. E proprio in quell’occasione venne deciso di dare luce ad un nuovo, e negli anni avvenire, sempre più articolato sistema di onorificenze specifiche da assegnare ai coloniali per far si che questi ultimi sapessero che il loro valore e la loro fedeltà erano stati riconosciuti a tutti i vari livelli.
E qui si inserisce una delle medaglie più caratteristiche, interessanti ed ora rare e misconosiute, che poi è anche il soggetto di questo articolo: LA STELLA AL MERITO PER I MILITARI INDIGENI DELLE COLONIE ITALIANE.
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ISTITUZIONE
La Stella al merito per i militari indigeni delle colonie italiane, venne istituita con Regio Decreto n. 898 del 18 marzo 1923, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n. 107 del 7 maggio 1923.
La motivazione adottata per l’istituzione di questa onorificenza fu la seguente: “Premiare la fedeltà e lo zelo di quei militari indigeni che avessero prestato lungo e lodevole servizio nelle colonie italiane”.
Vennero selezionati due gradi di merito identificabili dalla medaglia (o dal nastrino): Il primo senza corona, il secondo con corona.
Nei paragrafi seguenti vedremo i vari meriti del militare nello specifico in base ai quali vennero scelti i gradi da assegnare alla medaglia.
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stella al merito coloniale_indigeni_fronteDESCRIZIONE FISICA DELLA MEDAGLIA
La medaglia, in argento, aveva la forma della “Stella d’Italia” a cinque punte del diametro di 43 millimetri, con o senza corona come sopra detto.
Venne scelta la stella come forma da dare alla medaglia poiché questo simbolo non offendeva la fede dei mussulmani.
E già, perché gli italiani erano bene attenti a questi dettagli che sapevano bene avere un grande effetto sugli indigeni, e non erano oppressivi e prevaricatori come spesso ora vengono dipinti da certa ideologia completamente ignorante dei fatti storici accaduti.
Tornando alla forma fisica della medaglia essa aveva al centro un disco del diametro di 19 millimetri recante: al verso, il monogramma di Vittorio Emanuele III (VE) in stile arabeggiante, entro un serto formato da due rami di quercia legati in basso da un nodo semplice, con sotto l’anno di istituzione “1923”. (Come in figura qui a sinistra)
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CONCESSIONE E MERITI DI ASSEGNAZIONE GRADI DELL’ONORIFICENZA
Erano autorizzati a fregiarsi della decorazione senza corona i militari indigeni che avevano prestato un servizio di quindici anni, mantenendo buona condotta e dato prova di fedeltà e zelo e si erano inoltre in special modo distinti.
La decorazione con corona, invece, veniva concessa ai militari indigeni che, oltre a trovarsi nelle sopradette condizioni, avessero ottenuto benemerenze di eccezionale importanza.
Una particolarità di questa onorificenza era che non era destinata ad uso esclusivo militare. Erano, infatti, equiparati ai militari anche tutti quegli indigeni che facevano parte di corpi o gruppi militarizzati destinati ai vari servizi coloniali, anche di carattere civile. 
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stella al merito coloniale_indigeni - retroQuindi non solo ed unicamente militari, ma tutti coloro che attivamente, con zelo e fedeltà avevano supportato ed aiutato l’amministrazione italiana nelle colonie (e quindi di riflesso anche loro stessi dato che la qualità dei servizi erogati dipendeva-come in ogni società civile- dal livello di collaborazione cittadino-amministrazione). 
Per quanto riguarda i brevetti di autorizzazione a fregiarsi di questa decorazione erano rilasciati, di concerto coi Ministri interessati, dal Ministro Segretario di Stato per le Colonie, su proposta dei Governi coloniali. Come da disposizione del suddetto Regio Decreto n. 898 del 18 marzo 1923, che qui sotto trascrivo.

“Saranno autorizzati a fregiarsi della decorazione senza corona i militari indigeni che abbiano compiuto quindici anni di servizio, mantenuto buona condotta e data prova di fedeltà e zelo, ed inoltre siano in modo speciale distinti. Agli effetti sopra indicati, s’intendono equiparati ai suddetti militari, anche gli indigeni che facciano parte di corpi o gruppi militarizzati destinati ai vari servizi coloniali, anche di carattere civile.
I brevetti di autorizzazione a fregiarsi della decorazione saranno rilasciati, di concerto con i Ministri interessati dal Ministro segretario di Stato per le colonie, al quale i Governi coloniali faranno pervenire le loro proposte”.
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ABROGAZIONE E CONCLUSIONI
La decorazione, sebbene non più conferita da moltissimo tempo, fu abrogata ufficialmente solo con Decreto legislativo 13 dicembre 2010, n. 212, in vigore dal 16 dicembre dello stesso anno.
In conclusione, è utile sottolineare il fatto che l’impressionate numero di onorificenze, medaglie (tra cui anche quella in oggetto), menzioni di merito eccetera ottenuti dai nostri coraggiosissimi e fedelissimi Ascari delle colonie (dall’Eritrea alla Libia, passando per la Somalia e poi per l’Etiopia) e di tutti quegli indigeni, anche non militari, che hanno dato prova di grande fedeltà e coraggio nel difendere e agevolare l’amministrazione di quella che ormai – anche se praticamente nessuno di loro aveva mai visto – era la loro patria, l’Italia, che loro amavano e rispettavano più di ogni altra popolazione indigena che fosse stata colonizzata da europei – e da qui l’invidia di Francia ed Inghilterra – sta a indicare che gli italiani erano riusciti in un’opera mastodontica per l’epoca. Riuscire a colonizzare una parte del mondo, portandole sviluppo ed ordine ed allo stesso tempo preservandone tradizioni, usi e costumi senza prevaricazione alcuna instaurando un regime di convivenza e condivisione che ha lasciato un’impronta così indelebile nei cuori e nelle menti di coloro che sono vissuti in quei luoghi ed in quei tempi, da trasmettersi di generazione in generazione facendo sì che gli italiani siano ancora oggi molto ben visti ed amati (basta ricordare la storia di Scirè, l’ascaro più fedele).
A chi, oggi, accusa gli italiani di essere stati soltanto dei vili oppressori privi di scrupoli e bontà rispondo con una domanda che mi venne rivolta da un somalo mio collega di università incontrato l’anno passato (ma in realtà è la stessa domanda che viene fatta sempre e da chiunque di loro a noi italiani) che diceva – in un italiano perfetto fra l’altro – : “Mio nonno era un ascari ed ha combattuto per voi con onore e fedeltà perché con voi si stava bene e vi era grande rispetto reciproco! Anche mio padre si ricorda della vostra amministrazione fiduciaria e dice sempre che con voi si stava bene! C’era lavoro, c’era da mangiare e non c’erano guerre… noi vi vogliamo bene! Perché ve ne siete andati? Perché ci avete abbandonato?
Io, colpito da tutto l’amore che quel giovane mio coetaneo aveva per il nostro paese e per noi italiani (ed era la prima volta che veniva in Italia, grazie ad un programma scambio universitario), sul momento non seppi rispondere… poi dopo una breve pausa replicai: “A dire il vero non lo so amico mio… anche noi vi vogliamo bene… ma la seconda guerra mondiale ci è costata tutto.. .e ne stiamo ancora pagando il prezzo. Ma chissà forse un giorno…”
Accennammo tutti e due un sorriso e ci salutammo, prendendo insieme un buon caffè.
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di Leonardo Sunseri
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FONTI, BIBLIOGRAFIA E NOTE
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LINK:
VOLUMI:
1) Per una panoramica sulle origini delle truppe indigene e gli ordinamenti che si sono succeduti nel corso del tempo, cito soltanto alcuni titoli: S.M.E. – Ufficio Storico, L’Esercito Italiano dal 1° tricolore al 1° centenario, Roma 1962, spec. i capitoli 7 e 8; E. Faldella, Storia degli eserciti italiani, Bramante 1976, spec. pp. 141 sgg.; G. Cucchi, Storia delle truppe indigene delle colonie: gli Ascari, in “Rivista Militare”, n. 4/90 e n. 5/90; A. Giachi, Truppe coloniali italiane: Tradizioni colori medaglie, Firenze 1977. Sulla storia delle nostre ex colonie, mi limito a segnalare: A. Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, 4 voll., Roma-Bari 1976-1984; id., La guerra d’Abissinia 1935-1941, Milano 1965; L. Goglia, Il colonialismo italiano da Adua all’impero, Roma-Bari 1981; Spedizioni e campagne in Africa, in “Studi militari”, Quaderno della Rivista Militare (1988), pp. 88-103.
2) Gabriele Zorzetto.“Uniformi e insegne delle truppe coloniali italiane” Volume I, Edizioni Museo dell’Araba Fenice, 2011.
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NOTE:
Le fotografie rappresentanti la medaglia di cui in oggetto sono dell’autore prendendo a soggetto un esemplare della personale collezione di onorificenze.

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