Il tre di agosto 1935 il Ministero delle Colonie spedì una lettera al generale Badoglio, informandolo che il Duce aveva commissionato uno studio per la formazione di una divisione straniera coloniale da impiegare sul fronte somalo. Lo studio preliminare veniva allegato alla lettera “Costituzione di una divisione Straniera coloniale” e si richiedeva l’opinione dello Stato Maggiore.
Lo studio affermava che con adeguata pubblicità e retribuzioni adeguate sarebbe stato possibile attrarre abbastanza volontari per formare una solida unità con stranieri attratti dal fascino della causa, spirito di avventura o da ragioni pratiche quali disoccupazione o necessità di sfuggire al proprio passato. Una unità che sarebbe stata utile sul campo e anche per dimostrare che la solidarietà all’Etiopia era una facciata sostenuta dai governi e non sentita dai rispettivi popoli.
Secondo tale studio la divisione avrebbe dovuto essere basata su tre reggimenti di fanteria straniera con un organico di 225 ufficiali 269 sottufficiali e 7749 soldati stranieri. Essi sarebbero dovuti essere supportati da 178 ufficiali, 134 sottufficiali e 2270 soldati italiani per artiglieria genio e servizi per un totale di circa 10000 uomini.
Dodici giorni più tardi Badoglio rispose che apprezzava lo studio e riconosceva l’utilità che tale unità avrebbe potuto avere ma segnalò che vi erano gravi e fondati problemi per il suo utilizzo. Innanzitutto non vi erano esperienze italiane precedenti e l’unità sarebbe dovuta essere improvvisata col rischio che si rivelasse di scarso valore ma anche l’ipotesi contraria, cioè un unità combattiva e efficiente, sarebbe stata problematica per motivi politici.
La guerra era stata presentata come una guerra nazionale combattuta per il futuro del paese ma anche per cancellare il ricordo di Adua in patria e all’estero e si poteva essere sicuri che una stampa internazionale ostile avrebbe enfatizzato il ruolo delle truppe straniere e affermato che la guerra era stata vinta da loro e non dai soldati italiani. Invitava quindi, nel caso si fosse deciso di effettuare gli arruolamenti, a differire la costituzione dell’unità a dopo la vittoria ritenendo che allora sarebbe potuto essere utile per il presidio della colonia sostituendo le unità nazionali secondo l’esperienza della legione straniera francese e spagnola.
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Successivamente, probabilmente colpiti dalle affermazioni di Badoglio non si procedette all’arruolamento di stranieri ma fu formata la “legione degli italiani all’estero” composta da 4000 volontari reclutati tra i cittadini italiani residenti all’estero. Tale legione, che combatté proprio sul fronte somalo, pur non distinguendosi particolarmente ebbe benefici propagandistici specie tra le comunità Italiane anche perché agli ex combattenti di tale unità furono offerti con priorità proprietà nella colonia appena conquistata se avessero accettato di stabilirsi in essa.
La proposta di arruolamenti di stranieri anche se può apparire scarsamente credibile era basato su un imprevisto afflusso di offerte di arruolamento che pervenivano in tutto il mondo, anche dalla Cina e da paesi anglosassoni, da parte di cittadini stranieri alle nostre rappresentanze diplomatiche. Tali offerte non erano state in alcun modo sollecitate anzi venivano attivamente scoraggiate e l’afflusso aveva sorpreso il ministero degli esteri per la sua entità. Le domande, circa quattromila in poche settimane, sono ancora reperibili presso il ministero accompagnate da relazioni che segnalavano essere solo una minima parte rispetto alle richieste di informazioni e che fecero stimare che se una campagna ufficiale di arruolamento fosse stata aperta sarebbe stato possibile raccogliere in breve tempo oltre 50000 volontari che al netto di una necessaria selezione avrebbe permesso la formazione di più unità divisionali. Il profilo dei volontari che emerge dalle richieste evidenzia che accanto a un numero non eccessivo di adesioni ideologiche (iscritti alla falange spagnola, alla british union of fascist inglese, iscritti a movimenti di destra francesi e di altre nazionalità) si trattava soprattutto di disoccupati, appartenenti a minoranze etniche perseguitate specie in paesi ostili all’Italia (albanesi e rumeni di Grecia, macedoni e croati), russi bianchi e altri esiliati politici ma anche molti avventurieri “professionali” molti dei quali con precedenti esperienze militari recenti anche come consiglieri militari tra cui vari reduci della guerra del chaco e anche piloti e meccanici di aviazione. A riprova che l’Italia fascista all’epoca non era percepita come un paese antisemita vi era l’offerta da parte di comunità israelitiche tedesche e polacche di reclutare autonomamente una legione ebraica pronta a combattere di cui si assicurava la formazione in cambio della promessa di territori in Etiopia (effettivamente nel 1938 fu studiata seriamente a Roma la possibilità di creare nel governatorato del Galla e Sidama una “patria ebraica” grande la metà della Palestina dell’epoca dove attrarre coloni ebrei, e capitali delle comunità ebraiche americane, alleggerendo l’immigrazione in Palestina ottenendo così anche la riconoscenza araba). L’analisi dei profili dei volontari fa capire quale fu probabilmente il motivo per cui non si procedette all’arruolamento di stranieri, quella che si sarebbe ottenuta sarebbe stata un unità priva di ogni connotazione ideologica assolutamente non spendibile in chiave di propaganda, probabilmente dotata di valore militare, dato il passato di molti dei potenziali reclutabili, ma costosa e alla fine sostituibile per il presidio dell’Impero con molto più economiche unità coloniali per le quali subito dopo la conquista non mancarono volontari indigeni. Non fu costituita quindi un unità che avrebbe avuto molto in comune con la legione francese e assolutamente imparagonabile ai volontari stranieri che durante la guerra mondiale si unirono alle forze armate tedesche in special modo alle SS.
Traduzione dell’articolo A “Foreign Legion” for Mussolini di João Fábio Bertonha a cura di Gianluca Bertozzi
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