Guerra italo-turca. La conquista della penisola di Macabez

Sono stati moltissimi gli episodi e gli eventi degni di nota, compiuti dagli italiani durante la prima “guerra moderna” della storia- la guerra Italo-turca- di cui abbiamo già parlato in articoli precedenti (dagli sbarchi scaglionati al primo bombardamento aereo, alla prima operazione aeronavale della storia), ma oggi andremo ad analizzare un’ulteriore impresa perfettamente riuscita nonostante le molteplici avversità che non merita di passare inosservata: parliamo dell’occupazione della penisola di Macabez!
Come sempre però partiamo dall’inizio. Verso la fine del 1911 si tentò di attuare uno sbarco nella località di Zuara per via della necessità da parte del Regno d’Italia di stabilire una solida base vicino alla Tunisia per controllare il traffico verso la Tripolitania e per impedire alle forze Ottomane di chiudere Tripoli sul suo lato sinistro. Questo primo tentativo tuttavia fallì per le gravissime condizioni meteorologiche che resero il mare impraticabile per le operazioni di sbarco. Venne allora deciso dai comandi congiunti di marina ed esercito di condurre uno sbarco nella penisola di Macabez a ponente di Zuara, e che si estende per 5 km da Sidi Said a Ras Macabez,allo scopo di utilizzarla come base, sia per il controllo del traffico sia per l’occupazione della città di Zuara stessa. L’operazione avrebbe preso il via il 10 aprile del 1912 con una grande squadra navale composta dalle seguenti navi navi: le corazzate Re Umberto, Sardegna e Sicilia, gli incrociatori corazzati Carlo Alberto e Marco Polo, gli incrociatori ausiliari Città di Catania e Città di Siracusa, gli incrociatori torpediniere Agordat e Iride, il cacciatorpediniere Fulmine, le torpediniere d’alto mare Alcione, Ardea, Cigno, Calliope e Canopo, oltre a unità minori.

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Su tali imbarcazioni vennero destinate le truppe necessarie per l’azioni più alcuni distaccamenti di fanti di marina. Le forze italiane, sotto comando dell’Ammiraglio Borea Ricci e del Generale Garioni salparono da Augusta la notte del 6 Aprile 1912 alla volta di Zuara; l’azione avrebbe dovuro essere così portata avanti: le navi “Carlo Alberto” e “Marco Polo”, gli incrociatori ausiliari “Città di Catania” e “Città di Siracusa”, alcune torpediniere, i trasporti ausiliari “Sannio”, “Toscana”, “Hercules”, sui quali si imbarcarono due battaglioni di granatieri che avrebbero dovuto creare un’azione diversiva simulando uno sbarco su Zuara allo scopo di distogliere l’attenzione ed il fuoco turchi dalla reale azione che sarebbe stata portata avanti a Macabez dalla nave ammiraglia “Re Umberto” e dalle navi “Sardegna”, “Sicilia”, “Agordat”, dalle torpediniere d’alto mare “Cigno”, “Canopo”, “Clio”, “Ardea”, dalla torpediniera “Airone”, dal cacciatorpediniere “Espero”, dall’ariete torpediniera “Iride” e dal rimorchiatore d’alto mare “Ercole”, con alcuni pontoni e i trasporti militari “Bulgaria”, “Verona”, “Lazio”, “Europa”, “Valparaiso”, “Cavour”, “Washington”, sui quali erano imbarcate le truppe destinate allo sbarco. Alle ore 9 del giorno 9 le navi italiane apparvero difronte a Zuara aprendo un violento fuoco di sbarramento sulla costa della città che attirò tutte le forze turche della città. Nel frattempo il convoglio dell’azione principale si riunì alle 16.00, quindici miglia a nord di Zuara con le sopra dette navi “Iride”, “Agordat” e “Ca” provenienti da Tripoli sulle quali era anche imbarcato un battaglione di Ascari eritrei. Si procedette verso la costa quindi di sera ed a luci spente in modo da non destare alcuna attenzione; una volta raggiunte le sei miglia dalla costa cominciarono le operazioni di sbarco seguendo tali disposizioni: un battaglione di marinai con una batteria da sbarco e una compagnia di zappatori(ovvero genieri, per chi non conoscesse questo termine) doveva spingersi su barche a vapore verso la penisola per raggiungerla e sbarcarvi all’alba preparando così il terreno per il grosso delle forze. Alle 2,45 l’Ammiraglio Raffaele Borea Ricci, fra un grande silenzio di trepida attesa e di commozione, salutò con nobili parole i marinai destinati allo sbarco.

Alle ore tre il battaglione dei marinai, agli ordini del comandante Candeo, vibranti d’entusiasmo per il saluto del loro ammiraglio, lasciarono la “Re Umberto”, scortati dall’”Agordat”, dall’”Espero”, dall’”Airone” e dal “Cigno”, che ricevettero l’ordine di accompagnare le imbarcazioni sino a quanto più loro fosse possibile verso terra. Questa prima parte dell’operazione si svolse con non poche difficoltà data la bassezza dei fondali e le non affatto precise carte nautiche in dotazione ai capitani delle navi italiane, ma proprio grazie alla professionalità di questi ultimi, alla fine, le truppe presero terra alle ore 3.15 del mattino!
Le truppe del primo scaglione di sbarco non trovarono alcuna resistenza riuscendo così a trincerarsi, 5 minuti, dopo sulla loro prima salda posizione; frattanto il resto delle truppe si preparò ed avviò un ulteriore sbarco alle 8.00 del mattino di cui fecero parte reparti di truppe del 7° Battaglione Bersaglieri, una compagnia del 6° ed il battaglione eritreo. Sbarcò anche il Generale Lequio, che assunse subito la direzione delle operazioni, e con lui arrivarono anche il colonnello Di San Marzano, comandante di artiglieria, il Maggiore Gasca del genio e con loro altri reparti di bersaglieri, del 60° Fanteria ed una batteria da montagna. Mentre lo sbarco continuò, i genieri gettarono piccoli pontili per facilitare l’attracco delle imbarcazioni e dei materiali. Alle 10.00 del mattino lo sbarco poté dirsi già perfettamente regolato e nel frattempo le trincee vennero spostate in avanti di oltre 8Km in modo da avere una buona porzione di terreno sicuro dal primitivo punto di sbarco. La penisola venne così occupata e si cominciarono a formare gli accampamenti distinti per specialità ed arma, ma nonostante possa sembrare conclusa così la storia di questa operazione in realtà vi fu ancora molto da fare. Infatti i Turchi detenevano ancora il controllo del forte di Bu Kamech, che avrebbe potuto rappresentare una grossa spina nel fianco per la tenuta delle posizioni nella penisola essendo inserito proprio all’interno della baia stessa! Come se non bastasse il forte vento di greco che si alzò alle 21.00 fece bloccare gli sbarchi; divenne imperativo prendere possesso di quel forte al più presto, ma ciò presentò grossissime difficoltà inizialmente per via del fatto che si sarebbe dovuti passare per l’imbocco di una baia mai esplorata prima. Per conoscerlo e potervi poi con sicurezza guidare il convoglio delle imbarcazioni, il comandante Cacace, nella notte dall’8 al 9 aprile, compì un’ardita ricognizione; Travestitosi da arabo e preso come compagno un marinaio che conosceva tale lingua, l’animoso ufficiale lasciò il “Canopo” e su di una barchetta si spinse audacemente nell’insenatura pericolosa, sotto il fortino di Bu Kamech. Potè così constatare che il canale era difficilissimo ad attraversarsi, a causa del fondo scarso.

Ma arrivato proprio al di sotto del fortino udì alcune voci, scorse una luce e per prudenza decise di rientrare. All’alba il comandante Cacace tornò col suo compagno a bordo del Canopo facendo rapporto. La mattina stessa lungo la rotta tentata nella notte dal Cacace, si spinsero alcune imbarcazioni con a bordo la seconda compagnia eritrea comandata dal capitano Bianchi, un drappello di marinai comandato dal tenente Carniglia, un drappello del genio e un altro di guardie di finanza agli ordini del tenente Canuba. Fra difficoltà aspre e arresti improvvisi e pericolosi per evitare le secche, il convoglio finalmente raggiunse la spiaggia, a 500 metri al di là del fortino alle ore 10.40. Gli ascari, i marinai ed i soldati del genio disposti “In catena” (formazione chiusa ma estesa in modo tale appunto da sembrare una catena che andava a stringersi sull’obbiettivo) cominciarono ad avanzare mentre alcune pattuglie si inerpicarono su di una grande duna ad 800m sul alto sud del forte da cui si dominava il forte stesso. Giunta alla distanza di trecento metri circa dal forte, la compagnia principale si fermò, mentre i reparti bersaglieri della squadra di corsa raggiunsero il forte, lo aggirarono, tentando di penetrarvi. Tuttavia trovarono la porta chiusa e fu necessario approfittare di una garitta di guardia scoperta e dare da lì la scalata al muro. Il combattimento fu estremamente breve anche perché le forze ottomane furono colte di sorpresa e si scoprirono essere anche in numero estremamente inferiore (Non si venne mai a capire perché quel forte ebbe così pochi soldati di guardia; alcune fonti indicano che probabilmente gran parte delle truppe venne trasferita a Zuara per via dell’attacco diversivo italiano, altre asseriscono che in realtà le truppe che avrebbero dovuto sostituire e rafforzare la guarnigione presente sarebbero dovute arrivare, ma nei fatti non giunsero mai) così il tricolore fu issato nella torre più alta del forte tra applausi e grida di gioia sia delle truppe che avevano occupato il forte sia dei soldati che dalla penisola seguivano con i cannoni pronti a tirare sul forte nemico lo svolgimento delle operazioni. Nel forte vennero trovate tuttavia ingenti quantità di cibo ed acqua che fecero presupporre che tale fortezza fosse base di una grande forza nemica dislocata nelle vicinanze. Venne ordinato di avviarne subito le ricerche ma di nuovo un violento vento di greco sollevò una forte mareggiata che rese impossibile far avvicinare le navi con i materiali ed i rinforzi necessari, venne quindi inviato un segnale radio a Tripoli chiedendo aiuto. Cessato il vento gli sbarchi di materiali e truppe ripresero sotto la guida del Generale Garioni in persona che nel frattempo era sbarcato.

Il pomeriggio e la notte passarono tranquilli, ma all’alba del 12 aprile vi fu una prima piccola controffensiva nemica portata avanti da alcuni gruppi arabi che tentarono di ostacolare il rifornimento che si iniziò dalla penisola al forte di Bu Kamech; Furono tuttavia sufficienti poche cannonate bene assestate delle batteria del Colonnello Di San Marzano per disperdere il nemico e ricacciarlo indietro. Frattanto sotto la direzione del comandante Cacace e del maggiore Grazioli continuarono febbrilmente i lavori di sbarco e di sistemazione, mentre un gruppo di soldati diretti dal generale Lequio lavorava alle trincee, e un altro, agli ordini del colonnello Cavaciocchi, attivava due pontili. Una gradita sorpresa salutò questa prima operosità fervida. Improvvisamente apparvero due enormi dirigibili (il P.2 ed il P.3), accolti con grande entusiasmo. Erano gli aiuti inviati da Tripoli per aiutare le forze italiane a Macabez a rintracciare le forze nemiche. I dirigibili fecero cadere due messaggi con le osservazioni fatte informando i soldati di Garioni che un folto gruppo di forze ostili era trincerato in un punto della costa interna della baia tra loro ed il forte Bu Kamech, le informazioni non poterono essere più precise poiché una coltre di nubi oscurò la visibilità dei dirigibili, ma allo stesso tempo li celò agli occhi nemici. Riforniti di carburante dalle navi tramite uno speciale sistema di rifornimento (già da qui si può notare la grande modernità di mezzi e tattiche messe a punto dagli italiani) i dirigibili ripresero la rotta per Tripoli. Il giorno 13 il generale Garioni, approfittando della foschia creata dal vento del Ghibli ordinò al battaglione eritreo di compiere una ricognizione, uscendo dalle trincee e costeggiando la baia sino al forte di Bu Kamech seguendo le indicazioni dei dirigibili. Poco tempo dopo, il valoroso battaglione riuscì a sorprendere un nucleo di ben quattrocento arabi oltre parecchi cavalieri turchi che si trovavano appostati in trincee ad ovest del forte. Iniziò un fortissimo combattimento; il battaglione eritreo cercò di aggirare il nemico e di spingerlo verso il mare, tuttavia la manovra riuscì solo in parte in quanto alcuni gruppi arabi riuscirono a fuggire sfruttando alcuni buchi nella linea italiana- poi subito tappati- ed a dileguarsi nuovamente nel deserto.

Ciò non di meno,violentemente assaliti, gli arabo-turchi furono sbaragliati ed inseguiti per oltre quattro chilometri ad ovest dal forte verso la frontiera tunisina. Le loro trincee furono distrutte e numerosi furono i morti ed i feriti raccolti dagli ascari! Questi ultimi si comportarono egregiamente da ottimi ed addestrati combattenti quali erano, potendo così raccogliere i complimenti di Garioni stesso non appena fecero ritorno all’accampamento alle 18.00. Il nemico non si fece più vivo. Tutto ritornò calmo. Così sino alla mattina seguente si potè tranquillamente procedere ai molti ed importanti lavori di sistemazione e di comunicazione attraverso la baia. E così termina la storia della conquista della penisola di Macabez! Per occupare Zuara però furono necessarie altre due azioni: una a Misurata ed una ad Homs sempre portate avanti dall’Ammiraglio Raffaele Borrea Ricci che le compì in maniera egregia. Fu così che il 4 agosto 1912 un attacco portato avanti da ben tre direttrici: Sidi Said(Macabez), Forwa e dal mare a levante di Zuara; spezzò le difese ottomane della città consegnandola così alle forze italiane!
In conclusione questa operazione mette in luce ancora una volta la bravura, ma soprattutto le tattiche ed i mezzi italiani, così moderni da essere replicati anche durante la Grande Guerra anche dai nostri nemici, ma in modo molto meno efficace (si pensi agli sbarchi di Cortellazzo del 1917). Insomma una pagina da non dimenticare e di cui andar fieri.
Le ultime considerazioni, ovviamente, le lascio a voi.

di Leonardo Sunseri

FONTI
LIBRI
1) STÉPHAN JULES BUCHET, “Un sottotenente di vascello nel conflitto italo-turco” ,Bollettino d’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare – Marzo 2012.
2) Gian Paolo Bertelli, “Tripoli bel suol d’amore. I Ferraresi nella guerra Italo-Turca”, stampato in proprio, Ferrara settembre 2010.

SITI
1) https://www.historiaregni.it/loccupazione-della-penisola-di-macabez/#:~:text=Una%20delle%20pagine%20pi%C3%B9%20interessanti,del%20forte%20di%20Bu%2DCahmez.

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