dal post Facebook di Emanuele Mastrangelo
L’epic fail di Enrico Letta (cit. l’eccellente titolo del Primato Nazionale) su Claudio Imperatore ci obbliga a una riflessione ulteriore sulla retorica bolsa degli anti-nazionali, che ogni volta che vedono qualcosa che anche lontanamente pensano di poter usare contro la loro stessa Patria la afferrano al volo non capendo se si tratta di una corda, di un capitone o di un pitone che gli stacca la testa con un mozzico (ben meritato).
La retorica di “Roma era accogliente e multietnica, pensate che avevano perfino imperatori stranieri!!!11!11! Scacco matto, sovranistih!!11!!” è una di quelle fregnacce da tre in storia e vergate sui dorsi delle mani (malissimo l’abolizione delle punizioni corporali a scuola).
Su Claudio (recte, Tiberio Claudio Cesare Augusto Germanico) s’è detto tutto. Riassumendo, era figlio di romani che si trovavano in Gallia per assolvere a incarichi pubblici. Dire che fosse “straniero” è come sostenere che Marinetti, nato ad Alessandria d’Egitto, fosse egiziano…
Qualcuno arriva a dire che “Traiano fu il primo imperatore straniero”, perché nato in Iberia da una famiglia non romana, ma italica. Ridicolo quindi considerare “straniero” un esponente di quella nobiltà italica che era della medesima stirpe dei Latini e che era integrata all’interno della Respublica romana da quattro secoli. Peraltro, Traiano nasce in una colonia che si chiamava “Italica”…
I primi veri stranieri a vestire la porpora furono Massimino Trace e Filippo l’Arabo, nel III secolo. Già i soprannomi di questi due imperatori fanno capire quanto l'”integrazione” degli antichi fosse cosa totalmente differente dalla nostra. Entrambi provenivano da regioni – Tracia e Siria – che appartenevano a Roma da due secoli. Filippo era anche figlio di un cittadino romano. Eppure, mentre noi oggi tendiamo a considerare integrata una persona alla seconda o terza generazione (escludendo la follia dello ius soli, ovviamente, che è roba da malati di mente), per quei due imperatori provenire da regioni romanizzate da due secoli (ovvero almeno 8 generazioni) non impedì di conservare fin nei loro nomi la rivendicazione della loro origine etnica. Ai fatti essi erano stranieri, percepiti come tali e integrati nell’Impero perché l’Impero non è uno Stato nazionale, ma un organismo sovranazionale, con tutto ciò che comporta. Integrati perché si integrarono comportandosi come romani, acquisendo lingua e civiltà di Roma. E comunque in un periodo di decadenza, con meccanismi di ascesa al trono totalmente eterodossi (gli imperatori erano per lo più usurpatori acclamati dalle legioni).
Insomma, la retorica dell’integrazionismo si scontra in maniera feroce con la realtà storica. Perfino in un impero, compagine multirazziale e multietnica per definizione, razze e stirpi d’origine continuarono a essere un pilastro fondante dell’identità personale e familiare. E l’integrazione non poteva non avvenire che attraverso l’accoglimento della cultura dominante, non certo nel nome della “diversità” di cui oggi si riempiono la bocca.