Un funzionario aveva definito l’attentato del 14 ottobre 2017 a Mogadiscio “l’11 settembre somalo”, un’affermazione pesante ma non fuori luogo. Molti si chiedono perché i principali giornali di tutto il mondo abbiano mostrato così grande avarizia nel fornire notizie su un evento di simili e orrende proporzioni.
Non era la prima volta che le persone sentivano parlare di terrorismo o attentati nella capitale somala. Gli attentati commessi dal gruppo Al Shabaab, affiliato ad Al Qaeda, sono diventati un evento così consueto da produrre un effetto simile a quello che proviamo quando sentiamo parlare di attentati a Baghdad, in Nigeria, a Bamako o a Kabul. Ma l’attentato quell’attentato, avvenuto presso un trafficato incrocio di Mogadiscio, è stato definito il più grave attacco terroristico nella storia della capitale somala.
Almeno cinquecento persone morirono nell’esplosione di un camion bomba fuori dall’hotel Safari, al quinto chilometro, a un incrocio in cui si trovano vari ristoranti frequentati da funzionari governativi.
La situazione sul campo era terribile. Oltre ai quasi cinquecento morti, ci sono stati centinaia di feriti. Altre vittime non erano state subito conteggiate. Il numero fu stabilito alla fine dei difficili e lunghi soccorsi e dei tentativi di estrarre i corpi dalle macerie. Gli ospedali che si occupavano dei feriti avevano lanciato appelli urgenti a donare sangue. L’Associated press riportava le parole di un’infermiera, secondo la quale il personale è stato testimone di “orrori indicibili”, mentre i dottori hanno dovuto lavorare giorno e notte tra le urla dei feriti.
In questa situazione, in molti si sono rivolti ai social network per capire perché gli eventi di Mogadiscio non stessero ricevendo la stessa copertura stampa riservata ad altri attacchi terroristici.
Lo scrittore Marwan M. Kraidy aveva in quei giorni scritto su Twitter: “Cercasi disperatamente #camionbombaMogadiscio. 276 morti non abbastanza per copertura stampa #IosonoMogadiscio”.
Anche il professore di diritto Khaled Beydoun aveva usato Facebook per scrivere: “Odio fare paragoni tra le tragedie umane, ma i mezzi d’informazione ci obbligano a farlo. Non c’è traccia di slogan su Mogadiscio o di immagini commoventi sui social network in segno di solidarietà”.
Quel assordante silenzio, o l’assenza di una solidarietà paragonabile a quella mostrata durante gli attentati di Manchester o Londra, suscitò grande sdegno.
Su Twitter l’hashtag #IamMogadishu è stato usato per esprimere il proprio cordoglio e la propria rabbia per gli attentati, e anche per condividere notizie. Ma il modo in cui questi eventi sono stati raccontati su scala globale non è stato, per le persone comuni, all’altezza della gravità degli eventi.
Non vi fu un’esplicita rivendicazione dell’attentato da parte di Al Shabaab, né una conferma da parte del governo. Il gruppo somalo alleato di Al Qaeda sembrava aver mantenuto la propria promessa d’intensificare la campagna terroristica contro i civili e le infrastrutture statali. Appena due settimane e mezzo prima, il 29 settembre 2017, Al Shabaab aveva compiuto un attentato contro una base militare, prendendone il controllo e uccidendo almeno otto soldati. La cosa assunse un valore importante alla luce del divieto d’ingresso negli Stati Uniti per i cittadini somali annunciato dal presidente Donald Trump: in realtà, sono proprio questi cittadini le prime vittime del terrorismo.
Inoltre, come aveva scritto Jason Burke sul Guardian, gli attentati di Mogadiscio avrebbero potuto determinare un’intensificazione dell’impegno degli Stati Uniti in Somalia e in Africa in generale. Trump aveva già definito la Somalia come “zona di attività ostili”.
Per la prima volta dal 1994 – dopo l’abbattimento degli elicotteri Black Hawk a Mogadiscio e l’esposizione dei cadaveri dei militari per le strade della città – le forze armate statunitensi sono state inviate nel paese.
È possibile affermare che Trump abbia deciso senza conoscere le complesse questioni di sicurezza somale, che richiedono ben più che la semplice potenza di fuoco, una lezione che si è capito troppo tardi, come nel caso dell’Iraq.
Questi sviluppi hanno serie implicazioni, non solo per la sicurezza dell’Africa, ma per tutti noi. L’assenza di una copertura stampa veicola il messaggio sottinteso che le popolazioni dei paesi africani a maggioranza musulmana sono propense all’autodistruzione, un pregiudizio di cui molti somali si sono già lamentati.
Bisogna ammettere che dopo gli attacchi ci sono state alcune dichiarazioni di solidarietà da parte dell’Unione africana. Inoltre il 16 ottobre a Parigi furono spente le luci della torre Eiffel in ricordo delle vittime, e il sindaco di Toronto aveva annunciato che le lettere che compongono il nome della città sarebbero state illuminate con i colori della bandiera somala.
In ricordo di quella terribile tragedia una preghiera venga recitata da tutti noi…
di Abdullahi Elmi Shurie