24 gennaio 1991, La Stampa: «Non dimenticate la Somalia»

Era il 24 gennaio 1991 quando La Stampa di Torino pubblicava un articolo dal titolo «Non dimenticate la Somalia» I profughi chiedono aiuto al Piemonte a firma di Pier Paolo Benedetto.

24gennaio1990_Somalia_La Stampa

Nella nostra ex colonia imperversava la guerra civile e molti somali, italo-somali e italiani dovettero scappare. Molti di loro tornarono, o si rifugiarono, in Piemonte. Ecco l’articolo de La Stampa che racconta la loro tragica storia:

“In meno di un anno la comunità somala di Torino è cresciuta più di tre volte. Erano 300 un anno fa, ora sono un migliaio. Profughi, vittime della guerra spietata che infuria in quella parte del Corno d’Africa. Guerra dimenticata, ridotta a notizia marginale dal conflitto che infuoca i Paesi arabi. Eppure non molto distante da dove è concentrata la più formidabile armata di tutti i tempi, sulla sponda africana dell’Oceano Indiano, il massacro continua. Mogadiscio, la capitale somala, è deturpata quasi interamente dai colpi di artiglieria che si scambiano i fedelissimi del despota Siad Barre e i guerriglieri che assediano l’esercito governativo. Cadaveri per le strade, gente in fuga verso la savana oppure alla ricerca di un rifugio oltre confine; niente acqua, cibo scarsissimo. Una situazione disperata. Al pericolo di restare vittima di una scheggia o delle bande di saccheggiatori si è aggiunto l’imperversare del colera, del tifo, del morbillo che ha in un mese ucciso migliaia di bambini. Queste notizie trapelano dalla voce di alcuni profughi, italiani e somali che in questi giorni lanciano appelli perché il problema Somalia non venga dimenticato, specialmente qui a Torino, capoluogo di una regione che dai primi anni del secolo ha visto partire verso la terra somala molti piemontesi. Laggiù si sono formate famiglie che la guerra ha separato. Racconta Gabriella Adamo, sposata con un ingegnere somalo: «Dal 2 gennaio non ho notizie di mio marito. Sono riuscita a fuggire da Mogadiscio. Lui è rimasto là». Con i due gli di 16 e 10 anni è ospite di amici. Impossibile comunicare: telefono, telex non funzionano. Rare notizie filtrano attraverso la radio dei guerriglieri che viene captata in Kenya. Anche la Croce Rossa ha dovuto sgombrare. Ancora la signora Adamo: «Gli italiani rimasti sono tre o quattro. Gli altri sono venuti via tutti con í soli vestiti indossati. Là hanno lasciato ogni cosa. Noi la casa appena costruita». Più grave la situazione dei profughi di nazionalità somala: qui hanno difficoltà ad ottenere il permesso di soggiorno perché non hanno lavoro né casa. Vivono in una tollerata clandestinità che non risolve i problemi più urgenti della persona: cosa fare? Come trovare un’occupazione, un salario, un posto dove dormire? Ecco uno dei problemi affrontati ieri nel corso di un incontro che si è svolto a Palazzo civico tra i rappresentanti della comunità somala, i funzionari di Regione, Provincia e Comune e del comitato cittadino della Croce Rossa. Dice Rita Hassan, somala, consigliere comunale: «Stiamo costituendo un comitato di solidarietà per raccogliere fondi, viveri e medicinali da inviare alla popolazione somala attraverso la Croce Rossa. Vogliamo mobilitare associazioni, istituzioni pubbliche, privati perché non si può lasciare morire un popolo che ha solidi legami con l’Italia da sempre». Loro, i somali, non dicono una cosa: che proprio dall’Italia tanto silenzio non se l’aspettavano. Certo i nodi politici sono complessi fin quando c’è in sella un capo di Stato come Siad Barre che ha monopolizzato ogni rapporto con il nostro Paese. E neppure tra i somali le idee sono chiare perché nella guerra che si combatte nel loro Paese si annidano miscele esplosive: la rabbia verso il presidente, l’atavico conflitto tra diverse etnie, lo scontro religioso nel mondo di fede islamica, l’incomprensione tra musulmani e animisti. Quando cesserà il fuoco come quadreranno i conti con il nostro Paese? Se nessuno si muove, se il flebile appello che questa gente profuga e angosciata lancia alle nostre coscienze da Torino resterà inascoltato, allora dovremo dimenticare, forse per sempre, la bellissima Somalia. Loro non lo dicono apertamente ma noi dobbiamo saperlo.”

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