Golfo di Aden – L’operazione internazionale Ocean Shield, attiva dall’agosto 2009 della NATO, e l’operazione Atalanta, attiva dal novembre 2008 diretta dalla UE che vede impegnata anche la Marina Militare Italiana, sono le missioni di contrasto al fenomeno della pirateria marittima al largo e lungo le coste della Somalia e del Corno d’Africa che parevano aver dato i loro frutti debellando, negli ultimi 5 anni, la presenza dei pirati nelle acque del golfo di Aden.
Ma tra marzo e aprile si sono registrati sei nuovi episodi di attacchi a mercantili al largo delle coste della Somalia.

Poi liberati dalle forze di sicurezza somale come riferito da Hirsi Yusuf Barre, sindaco della città di Galkayo dello stato di Galmudug.
A marzo, sempre al largo delle coste somale, i pirati avevano preso il controllo della petroliera Aris 13 battente bandiera delle isole Comore che trasportava petrolio e gas da Gibuti a Mogadiscio per poi rilasciarla dopo uno scontro con la marina militare operante nella zona. Sebbene la vicenda abbia avuto un esito positivo, ha suscitato comunque clamore perché è stato il primo dirottamento di un’imbarcazione commerciale nella zona dal 2012.
Dopo cinque anni, è così ritornata la minaccia degli assalti dei pirati somali, che tra il 2005 e il 2011 aveva reso altamente insicura l’area del Golfo di Aden e delle coste somale dell’Oceano Indiano. Solo nel 2011, al culmine del fenomeno, si registrarono 237 attacchi di pirati, con 736 persone e 32 mercantili tenuti in ostaggio, con danni per circa 8 miliardi di dollari.

I pirati somali sono equipaggiati con armi automatiche e razzi, utilizzano barchini “lanciati” dalle mother ship e sono in grado di portare a termine anche attacchi molto distante dalle coste.
Gli analisti ritengono che il ritorno della pirateria sia dovuto non solo alla siccità e alla carestia ma alla recente influenza dello Stato Islamico nel Corno d’Africa e al drastico ridimensionamento delle navi militari impegnate nel golfo di Aden, molte delle quali sono state ridislocate nel Mediterraneo per far fronte alla crisi dei migranti.
Anche l’alta corruzione nella zona ha nuovamente implementato gli atti di pirateria: recentemente quattro navi della Corea del Sud hanno ricevuto permessi di pesca in modo poco trasparente, con l’assenso di funzionari del governo somalo, così come altri pescherecci hanno ottenuto i loro permessi direttamente dalle autorità del Puntland, in aperta violazione del diritto somalo, che prevede il rilascio delle licenze di pesca commerciale solo da parte del governo federale di Mogadiscio.

Oltre a incidere pesantemente sulle riserve di pesce locale, questi grossi pescherecci danneggiano le reti e affondano molte imbarcazioni dei piccoli pescatori della costa. Spesso infatti i pirati somali sono pescatori che avendo subito gravi perdite economiche causate dai pescherecci stranieri si danno alla pirateria.
Secondo il Piracy Reporting Center dell’International Chamber of Commerce’s Maritime Bureau le acque del Mar Rosso, dell’Asia sudorientale e del Subcontinente indiano e dell’America sud e centrale e dei Caraibi, continuano ad essere zone ad alto rischio di atti di pirateria.
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