Uno squillo di tromba risuona nella Cappella Lepanto della chiesa di San Domenico di Torino.
«Il Signore sia con voi» recita Don Luciano Tiso aprendo la celebrazione della messa per Padre Giuliani, cappellano militare delle Camicie Nere caduto nella Guerra d’Etiopia.
L’altare è cinto dai labari dell’Associazione Nazionale Volontari di Guerra Fed. Prov. Torino, della Federazione Nazionale Arditi d’Italia Fed. Prov. Torino, dell’Assocazione Nazionale Reduci e Rimpatriati d’Africa, dell’Unione Nazionale Ufficiali in Concedo d’Italia sez. Torino, della Gruppo Croce Bianca, dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia sez. di Torino, dell’Associazione Nazionale Bersaglieri d’Italia di Torino e dell’Associazione Legionari MVSN GNR gruppo di Torino.
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La cappella è gremita di persone, uomini donne e ragazzi, che domenica 26 gennaio si sono riuniti per la celebrazione della Santa Messa a ricordo ed in suffragio di Padre Reginaldo Giuliani, centurione, Cappellano militare delle Camicie Nere nella guerra d’Etiopia, caduto a Passo Uarieu il 21 gennaio 1936.
«La Parola di Dio è viva, non è una storia di tanti anni fa che ascolto da esterno, tocca la mia vita, incide sul mio presente, emoziona e commuove – inizia così la sentita omelia di Don Luciano Tiso – Dio si è fatto Uomo, ed è il compimento di tutte le Scritture, le rende un perenne “oggi”. Quell’oggi non si è mai concluso, noi siamo in quell’oggi. Dio continua a parlarci nella carne della testimonianza di suoi eroici figli. Come il Servo di Dio Padre Reginaldo Giuliani morto per la Patria a fine gennaio 1936 durante la violenta battaglia del Tembien. Già ferito, Padre Reginaldo continua a confortare e assistere i feriti e i moribondi. Mentre si avvicina a un giovane soldato gravemente ferito per amministragli gli ultimi Sacramenti Padre Reginaldo Giuliani viene trucidato. Cade stringendo il Crocifisso tra le mani, dopo aver detto: “Io non lascio i miei, muoio qui in mezzo a loro”.
[…] Preghiamo di vivere quell’apertura che ci è stata donata il giorno del Battesimo, nel rito dell’effatà: apritr le orecchie per ascoltare la Parola di Dio e proclamarla con la nostra bocca. Domandiamo l’intercessione e la forza di Maria Santissima, che i Domenicani, come Padre Reginaldo, ci hanno aiutato a invocare nel Santo Rosario».
A Padre Giuliani verrà tributata postuma la Medaglia d’Oro al Valor Militare. Nel 1939 la Regia Marina varò un sommergibile con il suo nome. Nel 1942 la sua vita ispirò il film di Roberto Rossellini “L’uomo dalla croce”, numerosi comuni italiani, tra cui Firenze, Milano, Bergamo, Sorrento, Roma e Bolzano, gli hanno intitolato vie e piazze. All’Eroe sono intitolate anche le Federazioni torinesi dei Volontari di Guerra, degli Arditi d’Italia e della Associazione Nazionale Arma Milizia.
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«La forza della parola! Un uomo può prendere un’arma per difendere la Patria e i suoi ideali – esordisce il Colonnello Roberto Pintus, Presidente nazionale Ass. Naz. Volontari di Guerra, sulla tomba di Padre Giuliani – Un uomo colto, un uomo carismatico può indurre dieci, cento, mille di quegli uomini a prendere quell’arma. La forza della parola! Più della forza della parola è l’esempio.
Noi ricordiamo sempre in questa occasione, oltre a Padre Giuliani, Giovani Gentile.
Giovanni Gentile ha educato i massimi italiani. Ed è per questo che è stato ucciso dai partigiani. Perché era un uomo pericoloso.
Il mio predecessore Don Edmondo De Amicis, presidente provinciale Anvg, anch’egli fu assassinato dai partigiani il 26 aprile 1945, perché era un uomo pericoloso. Riusciva a convincere con la forza della parola la gente a prendere le armi per difendere la Patria. L’esempio rende la predicazione, la parola di uomo, decisamente più credibile e forte. Quando la predicazione e l’esempio vengono sublimate dal sacrificio della vita è la forma più importante di educazione».
Il corpo di Padre Giuliani venne inizialmente tumulato nel cimitero di guerra italiano di Passo Uarieu per poi essere traslato il 31 ottobre 1956 nella chiesa di San Domenico a Torino.
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«Padre Reginaldo – ha dichiarato Alberto Morera, presidente nazionale dell’ANRRA – è un esempio di uomo che non si chiama fuori, è colui che, potendo mettersi in salvo, decide di restare al suo posto.
Quando poteva ritirarsi, prima che gli Abissini sommergessero la prima linea, scelse di rimanere con i feriti non in grado di andarsene.
Non c’era da aspettarsi qualcosa di diverso da un cappellano pluridecorato degli Arditi durante la Grande Guerra.
Ma l’esempio di Padre Reginaldo vale bene anche estrapolato dal contesto, è lo spirito di sacrificio per il gruppo, per la comunità, sino a pagare il prezzo massimo.»
Qui in mezzo ai labari innalzati delle associazioni combattentische e d’arma che sono venute per rendere gli onori viene letta dal Maggiore degli Alpini Loris Camilleri la motivazione della Medaglia d’Oro. Squillo di tromba.
“Durante lungo accanito combattimento in campo aperto sostenuto contro forze soverchianti, si prodigava nell’assistenza dei feriti e nel ricupero dei caduti. Di fronte all’incalzare del nemico alimentava con la parola e con l’esempio l’ardore delle camicie nere gridando: «Dobbiamo vincere, il Duce vuole così». Chinato su di un caduto mentre ne assicurava l’anima a Dio, veniva gravemente ferito. Raccolte le sue ultime forze partecipava ancora con eroico ardimento all’azione per impedire al nemico di gettarsi sui moribondi, alto agitando un piccolo crocifisso di legno. Un colpo di scimitarra, di barbara mano vibrato, troncava la sua terrestre esistenza, chiudendo la vita di un apostolo, dando inizio a quella di un martire.” – Mai Beles, 21 gennaio 1936.
Suona il silenzio. Tutti sull’attenti.
Alberto Alpozzi
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