Un anno fa si creava uno spartiacque nella storia della colonizzazione italiana dell’Africa. Accadeva a Torino grazie, o per colpa, della mostra “Africa. Le collezioni dimenticate” inaugurata a fine ottobre 2023.
Un’esposizione ideologica, superficiale e mistificatoria.
ISCRIVITI AL CANALE TELEGRAM “ITALIA COLONIALE” PER RICEVERE TUTTI GLI AGGIORNAMENTI

L’analisi critica di chi scrive esce su CronacaQui-Torino il 1° novembre 2023 a pagina 8 col titolo «Ai Musei Reali di Torino la mostra “Africa. Le collezioni dimenticate”. Errori grossolani, dimenticanze volute e omissioni colpevoli. Non le collezioni dimenticate ma una mostra da dimenticare. Da chiudere. Da rifare.»
I Musei Reali tacciono, ma l’analisi non passa inosservata e vengono riprese dal collega Mimmo Di Marzio su Il Giornale il 7 novembre a pagina 26. Giusto qualche giorno per verificare, come fanno i veri giornalisti, la veridicità della notizia e delle mie affermazioni. «L’Italia coloniale è una mostra di errori. A Torino un’esposizione ripercorre la storia della penetrazione in Africa. Con singolari omissioni.»
La notizia arriva anche ai famigliari di Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon, governatore della Somalia che prendono subito contatti con la direzione dei Musei per il pannello dedicato alla Somalia.
La didascalia chiude così “l’impianto di Genale di Cesare Maria De Vecchi, gestito ricorrendo a soprusi come le punizioni corporali e il lavoro coatto”.
Peccato che le concessioni agricole di Genale fossero governative, cioè statali, e non “di Cesare Maria De Vecchi”. Inoltre il de Vecchi, contrariamente agli abusi descritti nel pannello dove è definito quasi come uno schiavista, si spese a contrastare per anni la schiavitù, di somali ai danni di altri somali, tanto da ricevere le minacce di un santone locale e l’ostilità dei clan dediti a questa disumana pratica.
Scopri i libri suggeriti dal sito “L’Italia Coloniale”. CLICCA QUI per l’elenco delle nostre pubblicazioni: libri, dossier e riviste

La questione la riporta Mohamed Issa Trunji, laurea in giurisprudenza, somalo, “Senior Protection Officer” dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR) in Iran, Iraq, Sudan, Etiopia e Zambia. Nel 2015 pubblica il volume “Somalia – Untold history” nel quale scrive: “uno dei più recalcitranti fra i capi tradizionali somali fu Sheikh Hassan Bersane, un religioso della tribù Galjel, che condannò l’ordine governativo e reclamò il diritto di opporsi all’abolizione della schiavitù.”
Trunji pubblica anche interamente la lettera che lo schiekh somalo aveva inviata al Residente di Merca con la quale intimava al Governo italiano di rendergli i suoi schiavi: “Tutti i nostri schiavi sono fuggiti e passati dalla sua parte e lei ha dato l’ordine di liberarli. Quest’azione non ci rende felici. Secondo la nostra legge, noi possiamo mettere i nostri schiavi in prigione e sottoporli a lavoro forzato…”. Era il 12 marzo 1924.
Trunji così commenta: “Lo Sheikh sembrava più preoccupato per la perdita dei suoi schiavi che per altre considerazioni. Rivendicava il diritto di sfruttare e disumanizzare altri esseri umani nati liberi come lui in nome della religione.”
Il pannello della mostra torinese, per mentire, sorvola totalmente sulla circolare del 14 giugno 1926 proprio del de Vecchi: “Avviene assai spesso di sentir parlare di “proprio spettanza”, di “propria mano d’opera”, di “assegnazione ordinaria o straordinaria”, […] come se ciascun bianco che arriva qui dall’Italia, […] avesse pieno diritto di tenere per forza al suo servizio un certo numero di indigeni e di pagarlo o non pagarlo se e come crede, e di trattarlo… come purtroppo è avvenuto. […] in Somalia vige per legge il Codice penale italiano per bianchi e neri […] Ma la precisa informazione che qui intendo dare […] è che la organizzazione e l’impiego dell’ascendente enorme del Governo e del Governatore sugli indigeni hanno lo scopo umanitario, disciplinare e fascista di un graduale avviamento al lavoro di queste popolazioni, e non mai di qualsiasi coazione che crei larvate schiavitù o servitù della gleba, e meno che mai a semplice uso od abuso e servizio di privati.”
La direzione dei musei è quindi costretta a fare marcia indietro. “Un’inesattezza fuorviante” comunica la dottoressa Enrica Pagella, direttrice dei Musei Reali, nel porgere le scuse ai de Vecchi per le “imprecisioni contenute nel pannello sulla Somalia esposto in mostra” come già aveva sottolineato la curatrice dottoressa Elena De Filippi.
Fanno sapere che il pannello in questione verrà corretto dalla direzione con la nuova dicitura: “Gli anni ’20 vedono la nascita di forme di colonizzazione agricola, come la Società Agricola Italo-Somala di Luigi Amedeo Duca degli Abruzzi e il comprensorio di Genale per incentivare l’agricoltura sperimentale e favorire il lavoro salariato durante l’amministrazione del governatore Cesare Maria De Vecchi (1923-1928).”
ISCRIVITI AL CANALE TELEGRAM “ITALIA COLONIALE” PER RICEVERE TUTTI GLI AGGIORNAMENTI

La notizia non può più essere ignorata in città. La Stampa del 14 novembre a pagina 56 titola: «In Somalia italiani schiavisti e violenti. Scivolone dei Musei Reali sul colonialismo. L’errore dei pannelli in mostra. La direttrice si scusa.»
E nelle edicole piemontesi la locandina gialla picchia duro con il titolone: «Italiani schiavisti in Somalia. Musei Reali costretti alla retromarcia.»
Nell’articolo, Andrea Parodi, riporta anche le mie osservazioni su un filmato proiettato in mostra fornito dall’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino (ANCR). Anni addietro, durante le mie ricerche, visionai interamente quel video, circa 40/50 minuti, proprio presso l’ANCR in via Del Carmine a Torino ed ho potuto constatare come sia stata scaltramente tagliata la parte in cui il Duca degli Abruzzi pagava i dipendenti somali dell’azienda agricola. Omissione necessaria e partigiana per sostenere la bugia dello sfruttamento e dello schiavismo in Somalia.
La notizia esce contestualmente su CronacaQui – Torino: «In Somalia non ci fu schiavismo. I musei ora ammettono l’errore.»
Del Boca in “Italiani, brava gente?” aveva infatti mistificato la relazione Serrazanetti “Considerazioni sulla nostra attività coloniale in Somalia” (Tipografia La Rapida, Bologna, 1933). Aleterandone i contenuti la utilizzò come “prova” dello schiavismo italiano in Somalia. I Musei Reali impiegando come fonte Del Boca e non i documenti sono inciampati malamente.

E ancora il 15 novembre su Il Giornale a pagina 10: «Il museo si scusa con la famiglia del gerarca per le bugie sul colonialismo in Somalia» e su Libero a pagina 15: «Il museo attacca il gerarca fascista. Poi si scusa.»
Un’ammissione quella dei Musei Reali che ha creato finalmente uno spartiacque negli studi sulla storia coloniale: l’Italia in Somalia debellò lo schiavismo e introdusse contratti di lavoro.
I dogmi di Angelo Del Boca tra cui appunto l’asserzione mai provata che i lavoratori erano “sottoposti a lavoro coatto” è finalmente crollata davanti alle evidenze storiche ora certificate anche dai musei sabaudi.
L’accettazione acritica delle curatrici della mostra dei testi di Del Boca come principale fonte è stata pericolosa. Sarebbe stato sufficiente confrontarli con ricerche internazionali di autori come Mack Smith e Mohamed Issa Trunji tra i molti.
Scopri i libri suggeriti dal sito “L’Italia Coloniale”. CLICCA QUI per l’elenco delle nostre pubblicazioni: libri, dossier e riviste

Infatti le fonti di Del Boca sono state spesso utilizzate estrapolando parti utili a dare una visione a senso unico – come ho già dimostrato nei precedenti “Bugie Coloniali” – ed ignorando altre parti della medesima fonte che davano una visione completa e differente.
La professoressa Cecilia Pennacini, co-curatrice della mostra, evidentemente in disaccordo con le colleghe, prende la parola su La Stampa del 15 novembre facendo l’apologia di Del Boca dimenticando però di citare le dichiarazioni che lo stesso rilasciò il 6 gennaio 2011 a Il Corriere della Sera ammettendo la sua parzialità e faziosità: «Lo ammetto, nelle mie ricostruzioni sulla guerra in Africa orientale mi sono schierato dalla parte degli etiopi. Sono da sempre un nemico del colonialismo e […] avevo un’enorme ammirazione per il negus Hailé Selassié».
L’intervento della Pennacini è stato singolare: per non mettere in discussione la sua posizione accademica non interviene nel merito dell’errore da me rilevato e poi ammesso, con tanto di scuse, dalle colleghe Pagella e De Filippi e sposta l’argomento in altri luoghi e anni.
Dalla Somalia del 1923 ci porta, per sue necessità retoriche, nell’Etiopia del 1936 parlandoci dell’impiego dei gas.
Non mi aspettavo che il livello del dibattito fosse così scarso, dal momento che la questione delle armi chimiche, oltre a non essere oggetto delle mie critiche volte alle correzioni della mostra, fu da me stesso definita “onta senza attenuanti” nel mio primo articolo di analisi dell’esposizione pubblicato su CronacaQui e ben sottolineato poi anche da Il Giornale (oltre che in svariati miei datati testi).

La professoressa Pennacini col suo intervento ha messo in luce una chiara malafede, mentendo sapendo di mentire, come se le mie dichiarazioni sui gas non esistessero. Ma soprattutto perché a mezzo stampa ci parla di Etiopia quando l’oggetto dell’errore marchiano è la Somalia? Altro luogo e altra epoca.
Maldestramente, per mettere una pezza sul taglio del filmato e cercare di contraddirmi, dichiara che la parte omessa del video fornito dall’ANCR non conteneva le immagini dove si documentava il Duca Degli Abruzzi mentre paga i somali bensì una parte che mostra “la consegna dei premi alla popolazione indigena”. Dunque i colonialisti hanno provocato “immani sofferenze” in Somalia dispensando premi alla popolazione schiavizzata? Solo a me pare ridicolo?
ISCRIVITI AL CANALE TELEGRAM “ITALIA COLONIALE” PER RICEVERE TUTTI GLI AGGIORNAMENTI

Riassumiamo. La Stampa: “Musei Reali costretti alla retromarcia”, “Scivolone sul colonialismo”, “La direttrice si scusa”. Il Giornale: “Il museo si scusa per le bugie sul colonialismo in Somalia”.
Chiaro e tombale: in Somalia non vi furono soprusi e lavoro coatto da parte degli italiani.
Ma l’ammissione della direttrice Pagella cui va la mia stima per l’onestà intellettuale, non deve essere stata digerita dato l’intervento etiopico della Pennacini.
Intervento però considerato inefficace. Se no non si spiegherebbe perché La Stampa il giorno seguente ha concesso una pagina intera a Gianni Oliva che si affanna a riportare ordine: “il giudizio sul colonialismo non cambia”, ci fa sapere.
Come il giudizio non cambia? I fatti, i documenti non contano? Contano solo i giudizi, le opinioni, la partigianeria, l’appartenenza? Evidentemente si. Oliva infatti proviene dal PCI. Io non ho tessere di partito. Oliva nel suo intervento si fa forza citando giudizi, non fatti o documenti. Fa riferimento a diversi autori, tra storici, giornalisti, amici, amici storici, amici giornalisti.
Stranamente però, come la Pennacini, non fa menzione delle già citate dichiarazioni di Del Boca sulla sua parzialità antistorica.
Prosegue citando Rochat, ma non quando nel volume “Le guerre coloniali del fascismo” (Laterza, Roma, 2009) curato dallo stesso Del Boca, scrisse sulla guerra d’Etiopia che “le armate abissine non erano molto cambiate dai tempi di Adua”, asserzione non solo in netto contrasto con le evidenze storiche ma anche contrarie alle affermazioni dello stesso Del Boca, che invece scriveva: “Hailè Selassiè si è reso ormai conto che la guerra è inevitabile. Non gli resta che cercare di porre il Paese in grado di difendersi, accelerando l’istruzione dell’esercito, creando un embrione di aviazione e acquistando (ma fortemente osteggiato dall’Italia) armi moderne sui mercati europei.” Non si leggono nemmeno tra loro, si applaudono soltanto.
Scopri i libri suggeriti dal sito “L’Italia Coloniale”. CLICCA QUI per l’elenco delle nostre pubblicazioni: libri, dossier e riviste

Affermazione quella di Rochat contraria anche a quella del Mockler in “Il mito dell’Impero”, (Rizzoli, Milano, 1977): “Hailè Selassiè aveva passato la maggior parte dell’anno precedente a migliorare il suo esercito”.
Sempre di Rochat non riporta quando sostenne che “gli abissini non disponevano di aviazione né di artiglieria contraerea” in netto contrasto con il Mockler: “Il 15 marzo 1934, nove mesi prima di Ual Ual, si era tenuta ad Addis Abeba una parata militare, a Janhoy Meda, la base dell’aviazione etiope che – con l’acquisto di altri 6 aeroplani – saliva a dodici all’inizio della guerra”. Quindi Mockler, università di Cambridge, è un cretino?
Oliva cita poi Nicola Labanca, ma non quando in “Oltremare” (Il Mulino, Bologna, 2002) scrisse che “l’Etiopia schierò forse 250.000 soldati”. «Forse». Secondo la Treccani significa: “senza certezza, senza assoluta sicurezza; indica in genere dubbio, incertezza circa quanto si afferma”.
Il Mockler invece riporta che “l’Etiopia poteva mobilitare due milioni di uomini”, quasi dieci volte il numero espresso con quel “forse”. Forse Labanca era meglio non menzionarlo.
Ma era amico di Del Boca e lo cita sempre nei suoi lavori.
Oliva forse non conosce Denis Mack Smith storico britannico, laurea a Cambridge, membro della British Academy, del Wolfson College dell’Università di Cambridge, dell’All Souls College dell’Università di Oxford e dell’American Academy of Arts and Science, il quale in “Le guerre del Duce” (Laterza, 1976, III capitolo, “Colonie (1922-1932)”, pag. 46), riporta quanto segue: “Nelle colonie furono riversati ininterrottamente fiumi di denaro, con guadagni assai scarsi, e la bilancia commerciale, a dispetto di tutte le speranze, in nessun momento favorevole all’Italia. Gli amministratori coloniali italiani fecero spesso un buon lavoro e talvolta ottimo. Costruirono vaste reti stradali; e in qualche caso le popolazioni ricevettero – dall’abolizione giuridica della schiavitù, dal controllo delle epidemie e delle carestie e dall’amministrazione della giustizia – vantaggi più concreti che le popolazioni delle vicine colonie britanniche. Il contenimento delle guerre intertribali in Somalia fu un risultato importante.
ISCRIVITI AL CANALE TELEGRAM “ITALIA COLONIALE” PER RICEVERE TUTTI GLI AGGIORNAMENTI

Furono concesse, in una misura inconsueta negli imperi coloniali dell’epoca, le libertà di espressioni, di riunione, di insegnamento e di proprietà. L’Italia fascista fu più generosa di ogni altra potenza, e i risultati furono talvolta imponenti.
Un gran numero di disoccupati fu importato dall’Italia per costruire alberghi, ospedali, scuole e quattromila chilometri di strade asfaltate”.
Non lo conosce o sorvola, se no l’analisi di un professore emerito smentirebbe la sua opinione: “il colonialismo italiano è stato violento e rapace, come tutti i colonialismi” sentenzia infatti su La Stampa per difendere gli errori pennacineschi.
Oliva prosegue strenuamente la difesa delle opinioni delbochiane con la solita tirata contro il Governatore della Somalia: terrore, repressioni, brutalità. Il solito corollario di abile scelta di aggettivi frastornanti e negativi messi in campo in pochissime pagine somale già da Del Boca, che concentrò più che altro i suoi interessi sull’Etiopia, di cui poteva vantare una certa conoscenza.
Cito ancora il Mockler, dato che Oliva glissa: “de Vecchi deve essere stato più intelligente e più abile di quanto si pensava poiché per la fine del suo mandato aveva raggiunto tutti i suoi obiettivi […] Quando il de Vecchi se ne andò, poco prima della firma del trattato di amicizia con l’Etiopia nel 1928, lasciò dietro di sé una colonia modello.”
Oliva non ricorda nemmeno Aldo A. Mola (in “Il Parlamento Italiano 1861-1988“): “Malgrado i limitatissimi mezzi bellici e finanziari messigli a disposizione da Roma in colonia egli avviò altresì la realizzazione di un imponente piano di opere civili: bonifiche, strade, costruzione di scuole, erezione di opere pie, promuovendo lo sviluppo dell’agricoltura, di industrie conserviere e il commercio, non senza apprezzabili risultati.
Del pari cercò di estirparvi definitivamente la schiavitù, ancora in uso”.
Su La Stampa chiude l’apologia dell’anticolonialismo così: “lasciamo dunque che il Museo corregga una svista” che definisce solamente “lessicale”.
No Oliva non è una svista, è un errore (ed anche in malafede), e non è una questione lessicale ma storica e fattuale. Il linguaggio è una convenzione, non una opinione, come della storia già è stato fatto.
Nelle ultime righe autorizza (è lui che dispensa patenti e autorizzazioni?) a “riscrivere una diversa storia dell’Italia coloniale, fondata su nuovi documenti e condotta con criteri scientifici” e “non con le polemiche.”
Mi duole puntualizzare che è già stato fatto, ma ci si dovrebbe documentare anziché continuare a leggere solamente Del Boca e chi compone testi citandolo pedestremente.
Ma lo sappiamo dai tempi di Goebbels: “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità”.
Eppure una “diversa storia dell’Italia coloniale” è già stata scritta, non da me, ma da tutti i professori e storici che non vengono citati, per timore di dover cambiare opinione, dai seguaci di Del Boca.
Ecco perché le immagini d’archivio che contrastano con l’opinione venduta nella mostra sono state nascoste, non esposte. Un allestimento fazioso e manipolatorio che con omissioni e rimozioni intenzionali ha confezionato una narrazione totalmente contrastante con fatti storicamente accertati, da fonti e documenti, mai smentiti, anzi confermati da diversi storici.
Scopri i libri suggeriti dal sito “L’Italia Coloniale”. CLICCA QUI per l’elenco delle nostre pubblicazioni: libri, dossier e riviste

Conclusione? Le bugie non pagano. Non sono bastate le scuse, l’ammissione degli errori e la sostituzione di un pannello per salvare una messa in scena antistorica.
Sale semi deserte a qualunque ora del giorno. Affluenza bassissima. La conferma arriva dai numeri resi noti sul sito dei Musei Reali: nei primi due mesi (27/10 – 31/12) ha totalizzato appena 2.870 visitatori. Nel periodo Natalizio (23/12 – 7/01) si deduce che solamente circa 700 persone abbiano deciso di visitarla a fronte di 41.000 presenze ai Musei Reali. Cioè 46 visitatori al giorno. In una città che conta 4 milioni di turisti.
L’ufficio stampa dei Musei Reali e gli organizzatori, interpellati, non hanno fornito i dati finali. Ma è bastato sfogliare il libro delle firme per notare come il numero dei commenti sia rimasto pressoché invariato: una media di 6 firme/commenti al giorno per novembre, 7 a dicembre, 5 a gennaio e 4 a febbraio. Da cui in via ottimistica possiamo supporre che il numero dei visitatori sia stato costante e abbia a malapena superato le 5.000 presenze totali.
A novembre l’allora direttrice, Enrica Pagella, e la curatrice, Elena De Fillippis, si scusarono e ammisero un grossolano errore sul pannello della Somalia che definiva gli italiani schiavisti, quando invece l’Italia non solo abolì la schiavitù ma introdusse contratti di lavoro. Finalmente anche un’istituzione prestigiosa come i Musei Reali si è dovuta attenere ai fatti e sconfessare le mistificazioni di Del Boca in “Italiani, brava gente?”.
ISCRIVITI AL CANALE TELEGRAM “ITALIA COLONIALE” PER RICEVERE TUTTI GLI AGGIORNAMENTI

Ma gli accademici non ci stanno: Del Boca, non si tocca. Infatti all’Università di Torino, Cecilia Pennaccini, co-curatrice, si indigna. Nell’agitazione, per non ammettere la cantonata e scusarsi, anziché argomentare sull’errore attinente la Somalia del 1923 cambia luoghi e anni tergiversando sull’Etiopia del 1936.
Non è chiaro se si tratti di un’altra svista oppure di faziosità. Ma in entrambi i casi, gravi, non dobbiamo farci trarre in inganno da chi ha promosso mostre insieme ai negazionisti delle foibe nelle sale dell’archivio della Resistenza, perché qui non si tratta di uno scontro tra destra e sinistra bensì tra vero e falso.
Non per nulla, in un recente articolo su Il Torinese Pier Franco Quaglieni, direttore e fondare del Centro Pannunzio, da persona seria ha onestamente dichiarato: “Non ho mai stimato Angelo Del Boca che senza titoli accademici di sorta ha scritto un sacco di libri che ritengo poco documentati e fortemente ideologizzati”. Quaglieni, giova ricordarlo, nel 1985 fu candidato indipendente del Partito Comunista Italiano.
Scarsamente seguiti anche gli eventi promozionali a latere della mostra: la performance di danza sperimentale con Melaku Belay: annullata; il concerto di Mulatu Astatke: rinviato a data da destinarsi; il talk CinAfrica: rinviato a data da destinarsi.
La mostra è stata squilibrata, approssimativa e per lo più non aderente ai fatti storici. Nel libro delle firme alla data del 9 febbraio si legge: “da eritreo l’ho trovata molto deludente, evidentemente l’Eritrea è stata dimenticata dai curatori di questa mostra…”
L’intera messa in scena ha dovuto infatti scongiurare la minaccia che i documenti dimostrassero i progressi realizzati nelle colonie dall’Italia: amministrazione della giustizia, contenimento guerre intertribali, abolizione della schiavitù, controllo delle carestie, libertà di culto, agricoltura moderna, cura epidemie e malattie endemiche, costruzione di vaste reti stradali e ferroviarie, sistemi irrigui, bonifiche e istruzione gratuita per tutti.
di Alberto Alpozzi
Scopri i libri suggeriti dal sito “L’Italia Coloniale”. CLICCA QUI per l’elenco delle nostre pubblicazioni: libri, dossier e riviste
Vuoi approfondire la storia delle colonie italiane e vorresti un consiglio? Ecco QUI l’elenco delle nostre pubblicazioni: libri, dossier e riviste. Tutti i testi sono a carattere coloniale e utili per conoscere la storia d’Italia in Africa senza i pregiudizi della dittatura del pensiero unico. Ordina i tuoi titoli inviando una mail a ilfarodimussolini@libero.it.
ORDINA inviando una mail a ilfarodimussolini@libero.it. Potrai pagare con Paypal, Postepay o bonifico


Sono solo dei parassiti opportunisti che seguono la corrente perché non hanno alcuna personalità.
Dei poveretti.
"Mi piace""Mi piace"
Pingback: Calendario 2025 – La colonizzazione italiana dell’Africa | L'ITALIA COLONIALE
Pingback: Bugie Coloniali di Alpozzi insignito del “Premio Mameli” | L'ITALIA COLONIALE
Pingback: Fine marzo con le “Bugie Coloniali” di Alpozzi. Incontri il 28 ad Arco (TN) e il 29 a Milano | L'ITALIA COLONIALE
Pingback: 28 marzo, Arco (TN). Conferenza “Bugie Coloniali” con Alpozzi – L'altra faccia del colonialismo italiano
Pingback: 29 marzo, Milano. Conferenza “Bugie Coloniali” con Alpozzi – L'altra faccia del colonialismo italiano
Pingback: Alpozzi a Cagliari il 21 giugno presenta Bugie Coloniali e Nave Bianca | L'ITALIA COLONIALE
Pingback: Torino, 12 dicembre – All’Asso di Bastoni si parla di colonialismo con Alpozzi | L'ITALIA COLONIALE