“Siamo sicuri che se Biancaneve fosse stata una cozza il cacciatore l’avrebbe salvata lo stesso? Biancaneve faceva la colf ai sette nani!” sono le affermazioni di Paola Cortellesi estratte dal suo monologo per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’università Luiss Guido Carli di Roma.
Ma anche siamo sicuri che se la Cortellesi fosse stata una cozza avrebbe fatto cinema lo stesso? Ma non importa perché qui, come ormai d’abitudine anche per la storia d’Italia, si ribaltano i fatti e il senso comune a suon di opinioni.
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Con una sola frase la Cortellesi ha capovolto la realtà estremizzando un episodio e alterando i codici, facendo perdere di vista il senso delle proporzioni tra la realtà e i fatti (di una fiaba!!). Con uno squallido riduzionismo ha soppresso l’intero contesto narrato dai fratelli Grimm, rigettando completamente le cause e i protagonisti.
Biancaneve era una principessa, e figlia della sua epoca e di una favola, non aveva alcuna competenza se non essere “la più bella del reame”, ecco quindi perché per riconoscenza verso i sette nani si dedica di sua sponte ad un lavoro ancillare, anziché andare in miniera con i suoi salvatori.
Eh si, perché i sette nani, dopo essersi trovati in casa un’estranea (violazione di domicilio?) le hanno dato protezione in quanto la sua matrigna ne aveva commissionato l’assassinio (femminicidio?).
Ricapitolando: La Regina, una donna, vuole uccidere Biancaneve per la sua bellezza. Il cacciatore, un uomo, la salva. Biancaneve, una donna, s’introduce nell’abitazione dei minatori a loro insaputa. I nani, uomini, la ospitano e le danno protezione. A me pare che qui il sessismo vada capovolto cara Paola.
Questo inutile monologo alla Luiss: “siate pazzi” che plagia il tanto abusato “siate folli” di Steve Jobs è però spunto per ricordare come le nostre nonne, non principesse o attrici, in un’altra epoca partivano per le colonie a faticare duramente quanto gli uomini e quanto quei sette nani in miniera che, a giudicare dalle venerande età erano ben sopravvissuti senza una colf.
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Alle giovani coloniali erano richieste competenze specifiche. Non era sufficiente non essere una cozza, per poter emigrare nelle colonie italiane.
Erano tenute a seguire dei corsi per la preparazione delle donne alla vita in colonia e a partecipare ai campi precoloniali organizzati dall’IFAI “Istituto Fascista per l’Africa Italiana”. Un esame finale permetteva il conseguimento di un diploma.
L’Istituto forniva dei veri e propri testi sui quali studiare. Biancaneve aveva studiato?
Un primo manuale “Nozioni Coloniali per le organizzazioni femminili del P.N.F” forniva un quadro sintetico dell’Africa Italiana, nella sua storia, nei suoi aspetti geografici ed economici, nei suoi problemi politici e di razza, nelle norme igieniche da seguire e come ambientarsi in quei paesi.
Duranti i corsi preparati le donne seguivano anche dei corsi di elettricità, di falegnameria, di calzoleria e per l’utilizzo del moschetto.
Il secondo “Elementi pratici di vita coloniale per le organizzazioni femminili del P.N.F. e della GIL” insegnava come si doveva vivere in Africa.
Le allieve dei corsi di preparazione alla vita coloniale, venivano dapprima invitate a considerare i requisiti fisici indispensabili (non essere una cozza? Mi viene in mente quel “sofà del produttore” di Selwyn Ford) per l’aspirante africanista, con l’aggiunta di qualche cenno di igiene personale e di igiene nel lavoro con riferimento alla vita africana. Indicazioni su come curare l’orto e il giardino, il pollaio e la conigliera. L’alimentazione occupava sei capitoli con ricette di cucina che utilizzavano i prodotti locali e particolarmente la frutta esotica.
Il manuale considerava poi anche i problemi fondamentali di ogni madre di famiglia: l’abitazione e l’abbigliamento: come si arreda una casa colonia, come vestire sé stessa ed i propri bambini, come conservare bene il proprio guardaroba.
Vi erano anche suggerimenti sul come trascorrere le ore libere: come la fabbricazione di sedie con foglie di palma, la lavorazione di pelli, di coperte, di tessuti e la preparazione del sapone.
Le donne italiane non andavano in Africa a fare le attrici, le mantenute o ripiegando su impieghi senza competenze: studiavano, si sacrificavano, si applicavano e svolgevano anche mestieri non propriamente femminili: elettricista e falegname maneggiando anche le armi e non solo le stoviglie.
Alberto Alpozzi
GALLERIA FOTOGRAFICA CORSI FEMMINILI DI PREPARAZIONE ALLA VITA COLONIALE





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