
Generale Oreste Baratieri
Cari Signori e Signore, eccoci qui oggi con un’altra storia – non molto conosciuta – che vorrei raccontarvi e che ha come obbiettivo quello di sfatare i classici miti che affermano “L’Italia non ha mai fatto nulla di buono o vittorioso nelle sue imprese coloniali”, e quello di nobilitare il nome di un generale poi caduto in disgrazia per la terribile sconfitta di Adua nel 1896… Stiamo parlando infatti del Generale Oreste Baratieri! Se certo questo nome, per i giusti motivi che non vado qui a ripetere, è legato indissolubilmente alla tremenda disfatta di cui sopra è anche giusto doverlo ricordare per quello che fu il suo più grande successo. Ma come sempre partiamo dall’inizio.
Siamo in Africa e più precisamente in Eritrea nel 1893. I Mahadisti ed i Dervisci – tribù di razziatori e schiavisti locali, fondamentalisti islamici, originari del Sudan – stanno seminando terrore e distruzione tra le tribù più miti e nei possedimenti coloniali europei dislocati nell’odierno Sudan-Sud Sudan e, successivamente, in Eritrea. Per quanto inizialmente questo fosse solo un problema delle forze di sua Maestà britannica che occupavano il Sudan, con i ripetuti e violenti attacchi e scorrerie in territorio eritreo, anche l’Italia decide di unirsi alla lotta contro queste tribù formando un’alleanza con la Gran Bretagna. Alleanza che tuttavia era più di forma che non di sostanza dato che sia italiani che inglesi combattevano da soli in luoghi diversi e con tecniche diverse fra loro questa stessa minaccia. Tuttavia, se già la Gran Bretagna accusava qualche contraccolpo da parte di queste feroci tribù, non ultimo il massacro della guarnigione inglese di Khartoum, gli italiani invece avevano sempre sconfitto in maniera pesante i dervisci ed i Mahadisti!
Gli italiani sconfiggono i loro nemici nella battaglie di Agordat e Serobeti, e così i Dervisci decidono di organizzare un violento contrattacco! Contrariamente al sistema in uso nel Mahadismo, dove una risoluzione improvvisa del Califfo o il capriccio di un capo desideroso di mettersi in vista decidevano spesso da un momento all’altro le loro ragioni militari, questa volta la preparazione dell’impresa contro l’Italia è molto accurata.
Il comando viene affidato all’Emiro del Ghedaref, Ahmed Ali, il quale concentra anzitutto a Cassala circa 10 mila uomini e alcune mitragliatrici, nonché qualche centinaio di cavalieri; il concetto strategico non era limitato all’investimento del fronte italiano sul Barca, ma ad una conquista ben più importante e lontana. Si tratta nientemeno che di attaccare Cheren di sorpresa e di là penetrare a Massaua. Per un così ardimentoso progetto viene inoltre scelto il periodo di tempo in cui il generale Baratieri si trova in Italia.

Colonnello Giuseppe Arimondi
Tuttavia il Califfo non aveva fatto i conti con la determinazione del Colonnello Giuseppe Arimondi! Avendo ottenuto informazioni dai ricognitori e dalle spie in territorio sudanese vicino Cassala, Arimondi fa immediatamente affluire rinforzi ad Agordat – tappa obbligata dei dervisci – riuscendo a mettere insieme una forza di 2.400 uomini fra ascari e soldati suddivisi in 7 compagnie di fanteria, due squadroni di cavalleria, due batterie da montagna e tre bande del Barca in soli 3 giorni prima ancora che i Dervisci partano! Nonostante questo tuttavia la disparità numerica è ancora enorme, ma Arimondi non si perde d’animo! Schiera le sue truppe in formazione “in linea” o “aperta” ed attende… finalmente arriva il gran giorno! L’emiro Ahmed Ali guida circa 10-12.000 uomini da est di Cassala ad Agordat contro i 2.400 ascari ed italiani comandati dal colonnello Giuseppe Arimondi. In tre ore gli italiani sparano 80.000 colpi di fucile e 210 dalle batterie. I dervisci lasciano sul campo oltre mille morti, un migliaio tra feriti, dispersi e prigionieri, 72 bandiere, 700 fucili, una mitragliatrice di fabbricatura inglese (che i dervisci non furono in grado di adoperare e che avevano tolto alle truppe di Hicks Pascià), numerose cotte di maglia di ferro medievali, la tenda rossa catturata al negus Johannes, una tromba di ottone fabbricata dalla ditta Pelitti di Milano e due cammelli carichi di catene, prevedendo di sconfiggere e catturare il presidio del forte. Conclusa la battaglia, il corpo crivellato di ferite di Ahmed Alì viene deposto come un trofeo di caccia ai piedi di Arimondi.
Alcuni prigionieri dervisci confessano che lo schieramento in linea assunto dagli italiani li aveva sorpresi, essendo abituati ad affrontare il quadrato inglese concentrando l’attacco in un unico punto. La tattica di Arimondi è riuscita perfettamente! I dervisci sono sconfitti pesantemente! Gli italiani contano 3 ufficiali caduti (Capitano Forno, Tenente Gino Pennazzi e tenente Colmia) e due feriti, un sottufficiale italiano caduto e un ferito, 104 indigeni caduti e 121 feriti. Arimondi riceve la promozione a generale, Galliano a maggiore ed una medaglia d’oro al valor militare, inoltre sono date altre 12 nomine a cavalierati, 39 medaglie d’argento e 42 di bronzo. Dopo essere stato informato della vittoria in quella che ormai è diventata la Seconda Battaglia di Agordat, Baratieri decide di rientrare in fretta in Eritrea e di mettere a punto un piano per passare all’offensiva stavolta!
L’obbiettivo è proprio il centro nevralgico delle attività dei Dervisci e dei Mahadisti: Cassala! Baratieri vuole che l’attacco sia una sorpresa e quindi predispone tutto accuratamente! Egli sceglie il mese di luglio così da sfruttare il periodo di piena del fiume Atbara che avrebbe impedito al nemico di far affluire rinforzi da Khartum – invero già prima di Agordat, il generale Baratieri aveva manifestato l’opinione che qualche cosa in questo senso sarebbe stato necessario fare prima o poi, per garantire quella parte, e non dover pensare anche al Nord nel caso probabile di guerre con il Sud – e comincia ad organizzare il corpo d’operazione che prenderà questa composizione: 56 ufficiali, 41 italiani di truppa, 16 Jusbasci, 2.510 ascari, 146 cavalli, 248 muli e 183 cammelli così inquadrati: I, II e III Battaglione Indigeni, 2° squadrone di cavalleria eritrea “Cheren”, una sezione della 1^ Batteria artiglieria da montagna indigeni, una sezione telegrafisti, una della sanità, una sezione treno d’artiglieria, una sezione sussistenza, Bande irregolari del Barca e la Centuria presidiaria di Agordat.
Tale corpo d’operazione del Regio Corpo Truppe Coloniali d’Eritrea esce da Agordat il 12 luglio guidato da Baratieri in persona. Da Auasciait il 14 luglio Baratieri telegrafa a Roma: “Spero attaccare Cassala martedì”. Egli non lo poteva sapere ancora, ma proprio martedì 17 alle 10.00 del mattino avrebbe annunciato la sua vittoria assoluta! Ma procediamo sempre con ordine. Il 16 sera l’esercito italiano arriva e si accampa, come previsto nella gola di Sabderat, le pattuglie inviate in ricognizione verso Cassala non rilevano alcun grosso movimento, anzi rilevano che tutte le forze nemiche sono tranquillamente assonnate in città non sospettando minimamente ciò che sta per succedere. I ricognitori stimano che in città vi siano circa 2.600 uomini suddivisi in 2.000 fanti Mahadisti e 600 cavalieri Baqquara. Nonostante il gran numero di soldati e cavalieri nemici si deve pensare che tali soldati avevano ancora una concezione di combattimento di stile medievale, i cavalieri vestivano infatti corazze imbottite sotto un elmo di ferro ed una lunga cotta di maglia metallica, anche i cavalli erano protetti da una protezione imbottita e da uno Chamfron in cuoio a protezione della testa del cavallo stesso. Erano armati, solitamente, con lance con ampia punta a foglia, di una spada kaskara e di una pistola a pietra focaia. I fanti invece indossavano un’armatura imbottita più che efficace contro i nemici tribali dei Mahadisti, ma inutile contro le armi da fuoco. Erano armati con una lancia più leggera e con una spada kaskara e per la difesa erano forniti di uno scudo in pelle concavo con un grosso ombone e due tacche sul bordo. Dunque in sostanza i soldati mahadisti/dervisci erano abbastanza protetti per il corpo a corpo, ma erano fortemente svantaggiati nei combattimenti a distanza, infatti tutte le loro armature li rendevano bersagli grossi e lenti… ideali per truppe armate con armi da fuoco come le nostre!
Fatta dunque questa precisazione necessaria, continuiamo la nostra storia. Baratieri, deciso ad attaccare l’indomani l’accampamento Mahadista, il 16 notte tiene un grande rapporto ed impartisce gli ordini agli ufficiali per l’operazione! Essendo un’operazione a sorpresa, l’avvicinamento deve essere fatto nel silenzio più assoluto… e nonostante l’imponente numero di uomini la marcia degli italiani è silenziosissima e così Baratieri ed i suoi arrivano molto vicini alla città (alle 6.00 di mattina gli italiani sono sul piano di Cassala), mentre le truppe mahadiste stanno uscendo dall’altro ingresso della città per un’altra scorreria. A questo punto però la presenza italiana non può più passare inosservata ed infatti alcuni cittadini di Cassala notano i nostri soldati e scatenano il panico in città. Baratieri ordina di spiegare le forze come da programma in 2 forti quadrati. Quello all’avanguardia era quello del Maggiore Stefano Hidalgo, il grosso invece era al comando di Baratieri. I militari italiani notano diversi civili in fuga verso il fiume Gasc, i quali però attirano le forze mahadiste – specie la cavalleria – che, una volta resesi conto delle forze italiane, si gettano loro contro con ferocia, ma vengono accolte dalle fucilate del quadrato di fanteria dell’avanguardia di Hidalgo e dopo pesanti perdite si ritirano… a questo punto il quadrato si apre per far passare lo squadrone di cavalleria “Cheren” che si lancia all’inseguimento dei nemici. Questi ultimi però hanno distaccato un nucleo di cavalieri nei pressi di una vicina boscaglia che attacca di sorpresa i nostri cavalieri
infliggendo loro una ventina di perdite (tra cui quella del comandante Carchidio di Malvolti, colpito da diverse lance) e costringendolo a tornare vicino ai quadrati italiani che nel frattempo avanzavano verso la città coperti dai cannoni. A questo punto però le cose per i sudanesi volgevano al peggio: i quadrati italiani protetti dai cannoni e dalla cavalleria sono inarrestabili e le forze nemiche subiscono perdite pesantissime. I rinforzi del III Battaglione poi mandano in rotta le forze che presidiano in maniera confusa l’entrata di Cassala ed entrano a loro volta in città combattendo ed eliminando casa per casa i nemici barricati. Alle 09.00 il generale Baratieri e il generale Arimondi giungono sul piazzale del mercato mentre continua la lotta nell’interno dell’abitato.
Una schiera lacrimosa di gente si fa loro incontro: erano schiavi avvinti in catene. Gli italiani, ovviamente, li liberano subito. Alle 10.00 Baratieri annuncia la sua vittoria totale sui nemici e riesce allo stesso tempo a paralizzarne le attività e le possibilità di incursioni nella zona sud e quindi in Eritrea. Per quanto riguarda le perdite gli italiani contano un ufficiale (il Carchidio) e 27 soldati morti, 2 capi (Ali Nurin, capo della banda Sabderat, e Mohamed Aroda, capo della banda Ad Omar) e 39 ascari feriti, mentre i dervisci perdono la totalità delle loro forze: 2.600 uomini.
Il bottino ammonta a 600 fucili, 700 lance, 100 sciabole, 50 pistole, 52 bandiere, 10 negarit (grossi tamburi da guerra), 5 tamburi, 10 maglie di ferro, 12 cavalli, 35 asini, 12 cammelli, 2 cannoni da montagna e numerosi armenti. Inoltre, gli italiani liberano molti schiavi: diversi bianchi, un centinaio dei rimanenti della precedente guarnigione egiziana e un certo numero di membri delle tribù locali, come i Beni Amer.
I vincitori ricevono 7 nomine a cavalierati, una medaglia d’oro (Carchidio), 13 d’argento, 39 di bronzo, 29 encomi ed il capitano Tommaso Salsa viene promosso maggiore. La notizia della presa di Cassala, sempre considerata come la cittadella avanzata del Mahdismo, fa grande impressione in tutta Europa. La stampa e l’opinione pubblica in Inghilterra prodigano lodi per il valore delle armi italiane. L’Imperatore Guglielmo II di Germania, appena pervenutagli la notizia, manda direttamente al Re le sue congratulazioni, e il Governo, il 19 luglio, invia a Baratieri il seguente telegramma: “Roma, 19 luglio ’94 – A Lei, alle valorose truppe degne dell’Italia e di Lei le felicitazioni del Governo del Re e le nostre. CRISPI – BLANC – MOCENNI.”.
Persino il New York Times spenderà parole di elogio nei confronti di Baratieri e del suo trionfo a Cassala! Infatti così scriverà il giornale: “Roma, 19 luglio – …L’attacco contro i lavori di scavo dei Mahdisti fu subito ordinato e ne seguì una battaglia ferocemente contestata. I Mahdisti combatterono disperatamente, ma sono stati infine costretti ad abbandonare la posizione, lasciando centinaia di morti e feriti sui trinceramenti e lì vicino. Venendo inseguiti, i mahdisti si sono sbandati sotto un fuoco continuo, e molti di loro nei loro sforzi per sfuggire si sono tuffati nel fiume Atbara, sperando di raggiungere l’altro lato… Centinaia di nemici sono annegati, e si ritiene che nessuno è riuscito a raggiungere la riva opposta”.
Ai nostri giorni, lo storico Sean McLachlan affermerà che senza la battaglia di Cassala ed il colpo inferto da Baratieri, difficilmente le forze britanniche avrebbero ottenuto il successo che hanno ottenuto nella decisiva – ed ultima – battaglia contro i Mahadisti/Dervisci ad Omdurman nel 1898. Arrivando a concludere questa storia ciò che nella mia umiltà desidero mettere in luce è non solo uno dei nostri più grandi successi ottenuti in Africa, caduti poi nel dimenticatoio solo per il disastro di Adua – Baratieri verrà giustamente ricordato per i suoi errori ad Adua, ma a mio avviso non è corretto ricordarlo solo per quello dimenticando questo sfavillante suo successo – ma anche dimostrare come tutte le voci che da molto ormai circolano su diversi siti d’informazione e libri di storia che vogliono gli italiani non aver fatto nulla di buono dal punto di vista militare nell’avventura africana, siano fasulle o per lo meno incomplete. Anzi!
Questa storia in particolare mette in luce come anche noi italiani abbiamo saputo assestare i nostri bei colpi, ottenendo delle belle vittorie, in un periodo, tra l’altro, in cui gli stessi Inglesi e Francesi non è che se la passassero poi tanto bene, nelle stesse zone! Come al solito, però, lascio a voi l’ultima parola.
-Sean McLachlan, “La battaglia di Adua, Marzo 1896”, Libreria Editrice Goriziana, 2012.
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La curiosità verso questo glorioso episodio bellico mi è nata inizialmente poiché ho una casa a Milano, appunto in Viale Cassala. E mi fa piacere questa coincidenza che mi porta a ricordare assai spesso questo episodio d’armi.
Gianpaolo Rosati.
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