L’Italia che approda in Eritrea nel 1882, appena ventuno anni dopo l’unificazione, è un paese profondamente diviso, un mosaico di tradizioni e culture che si sarebbero amalgamate a fatica nei decenni successivi. Tale divisione si rifletteva inevitabilmente anche nella lingua, data la presenza di numerosissimi dialetti regionali che spesso raggiungevano livelli di incomprensibilità soprattutto tra i parlanti del Nord e del Sud d’Italia.
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La lingua italiana che si afferma Eritrea nel corso del Novecento si presenta invece come un tutto unico mantenendosi tuttavia diverso dalle lingue parlate nel resto della penisola; suona come una variante regionale eppure non è riconducibile a nessuna delle regioni d’Italia. Possiede tratti tipicamente settentrionali come l’uso della “s” sonora intervocalica, in parole come casa, rosa, cosa, ma il tratto forse maggiormente distintivo in molti parlanti italiani nati in Eritrea, o di eritrei bilingui italiano-tigrino, è l’articolazione dei suoni che tende ad essere gutturale allo stesso modo della lingua parlata in Eritrea, il tigrino.
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Questo è il motivo perché gli asmarini non hanno inflessioni dialettali e chi li ascolta riconosce subito una diversità che ne fa un gruppo linguistico particolarmente interessante.
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di © Pasquale Santoro – Tutti i diritti riservati
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