Quella difesa da destra dei militari d’Africa
Il caso del corazziere italo-brasiliano balzato in questi giorni agli onori dell cronaca non è unico né raro, nella storia del nostro Paese. Soprattutto in epoca coloniale, l’Italia utilizzò all’interno delle proprie forze armate personale militare (impiegato sul campo come in mansioni di ufficio) africano o di sangue misto.

Subito dopo la fine della guerra, l’Italia si trovò infatti a dover risolvere la difficilissima questione dei suoi ex militari africani, persone che non disponevano della cittadinanza (per via delle restrizioni imposte dal Fascismo nel 1940) e in grave pericolo di vita in caso di ritorno in “patria”, ossia nelle ex colonie di nuova indipendenza o prossime all’indipendenza, avendo servito l’antico colonizzatore europeo. Al governo che intendeva muoversi seguendo la linea restrittiva del Fascismo (come ribadito dall’ambasciatore italiano in Egitto Renato Prunas e dal funzionario del ministro degli Esteri Raffaele Giustiniani) si opposero le destre, missini, monarchici e associazioni di reduci, impegnate affinché ai soldati italiani di origine africana fossero garantiti la cittadinanza e il mantenimento del posto nell’Esercito. Bisogna infatti ricordare che la mancata regolarizzazione si sarebbe tradotta anche nel loro licenziamento (come avvenne il 30 giugno del 1953 con gli uomini dei nuclei coloniali libico-eritrei di Roma e Napoli, ad eccezione di dodici Zaptié libici assorbiti dai Carabinieri) e nella perdita di ogni diritto di tipo previdenziale. A tal proposito, sul “Secolo d’Italia” Marone chiedeva una legge ad hoc, “in forza della quale coloro che hanno combattuto e lodevolmente servito l’Italia per almeno dieci anni acquistino automaticamente quella cittadinanza che la burocrazia pretende per sistemarli. E’ il meno che lo Stato possa fare per questo graduati libici ed eritrei italiani da sempre nel cuore e nello spirito , anche senza il carisma di un superfluo pezzo di carta. Ma, più che superfluo offensivo poiché nega ad essi quella fedeltà provata soprattutto nella sventura da Adua a Capo Bon, ignota ad altri italiani, tali solo per convenzionale copia del proprio atto di nascita”. (1)

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di © Davide Simone – Tutti i diritti riservati
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NOTA
1. “Verbalmente congedati” (Il Secolo d’Italia, 24 gennaio 1954)
Fonti bibliografiche
“La madrepatria è una terra straniera” (V. Deplano)