
Qualche settimana fa il governo del Somaliland aveva firmato un accordo con l’Etiopia e gli Emirati Arabi Uniti (EAU), per la gestione del porto di Berbera, importante scalo commerciale sulle coste del golfo di Aden di fronte all’omonimo porto yemenita.
L’accordo prevede la formazione di una compagnia le cui azioni sarebbero così suddivise: il 51% alla compagnia degli EAU (DP World), il 19% all’Etiopia, il 30% al governo del Somaliland. Immediatamente dopo aver ricevuto l’informazione, il primo ministro somalo, Hassan Ali, ha diramato un comunicato in cui dice di opporsi nel modo più assoluto all’accordo, sostenendo che l’uso delle risorse del paese deve essere concordato a livello di governo centrale.
Il Somaliland non è mai stato riconosciuto dalla comunità internazionale, dal cui punto di vista il Somaliland è uno stato autonomo all’interno dello stato federale somalo.
La compagnia DP World pochi giorni fa ha perso anche il porto per container di Doraleh, a Gibuti, il più moderno dell’Est Africa, la cui gestione è stata nazionalizzata dal governo gibutino.
La contrarietà del governo di Mogadiscio a questo accordo firmato dal Somaliland ha acceso gli animi da una e dall’altra parte.
Da allora si è condotta una guerra di parole tra i politici di Mogadiscio e quelli di Hargheisa con grande partecipazione del popolo.
È da notare l’importanza di Berbera per il popolo somalo che ha sempre visto il porto e la città intera come a un territorio strategico e nella mira delle grandi potenze.

Nelle vicinanze della città, è presente inoltre una pista per gli atterraggi di emergenza degli Space Shuttle americani. Berbera è anche un importante scalo marittimo, dato che è il solo porto riparato che si trova nella parte meridionale del Golfo di Aden.
Ieri la Camera bassa del parlamento somalo ha approvato una legge che dichiara “nullo e senza valore” l’accordo firmato all’inizio del mese dall’azienda DP World di Dubai con le autorità di Somaliland ed Etiopia per lo sviluppo del porto di Berbera. La legge deve ora essere approvata dalla Camera alta, prima di essere ratificata dal presidente Mohamed Abdullahi Formaggio.
Già all’indomani della firma dell’intesa, che prevede che DP World detenga il 51% delle azioni del progetto, il Somaliland il 30% e l’Etiopia il 19%, le autorità somale l’avevano denunciata perchè “il governo federale della Somalia non fa parte del cosiddetto accordo di investimento” e perchè il Somaliland è uno Stato della Somalia e non “una repubblica” come invece riferito durante la firma dell’intesa. Il Somaliland si è dichiarato indipendente nel 1991, ma la sua indipendenza non è mai stata riconosciuta da nessun Stato.
L’attivismo degli Emirati sul territorio somalo, sia sul versante commerciale che su quello militare, si estende anche al porto di Bosaso in Puntland e al suo aeroporto, recentemente ampliato da interventi sia italiani che cinesi.
L’offensiva diplomatica dell’UAE si spiega col fatto che le migliori prospettive di stabilizzazione della Somalia, anche grazie alla elezione di Mohamed A. Mohamed Formaggio alla presidenza della Repubblica Federale che ha compattato i somali, affievoliscono l’importanza dei porti e aeroporti dell’UAE, come Dubai, a favore delle infrastrutture del nord della Somalia che hanno accesso diretto al Canale di Suez, raddoppiato nel 2015 e per questo nodo ancor più nevralgico del commercio marittimo mondiale.

La compagnia parastatale degli Emirati Arabi Uniti dopo aver perso la gestione del porto di Doraleh in Gibuti si è ora rivolta verso il porto di Berbera, firmando l’accordo della gestione per 30 anni con il governo del Somaliland, ignorando del tutto il governo riconosciuto della Somalia.
Gibuti aveva annunciato, giovedì 22 febbraio, la nazionalizzazione del porto commerciale (Doraleh Container Terminal – DCT), gestito dagli Emirati Arabi Uniti (EAU). La motivazione ufficiale della fine della collaborazione tra il governo gibutino e la DP World – quarto operatore portuale al mondo – è il rifiuto della compagnia di stabilirsi “amichevolmente” sul territorio del paese del Corno. Ora, il DCT è passato sotto l’autorità della Doraleh Container Terminal Management Company (SGTD), compagnia della quale lo stato gibutino detiene il 100% delle azioni.

Secondo alcune fonti l’inasprimento delle relazioni tra i due paesi iniziò quando Gibuti negò il permesso di costruzione di una base militare emiratina sul proprio territorio. Per gli Emirati, come per tutti gli attori internazionali, Gibuti gode di una posizione strategica sullo stretto di Bab al-Mandeb, che dà accesso al Mar Rosso, sulla rotta di navigazione dall’Europa al Golfo.
Il ministero dei Trasporti gibutino ha dichiarato che il governo ha agito in conformità alla legge, mentre la DP World lo accusa di aver preso “illegalmente” possesso del terminal, affermando che chiederà un arbitrato internazionale per proteggere i propri diritti.
Il piccolo stato del Corno ospita una base militare americana, dalla quale partono le missioni dirette in Somalia, una base cinese e la prima base militare giapponese costruita fuori dal territorio nipponico dopo la Seconda guerra mondiale. Anche l’Arabia Saudita ha annunciato di recente la costruzione di un suo insediamento militare. Gli Emirati, invece, si sono posizionati ad Assab, in Eritrea, e nel Somaliland.
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di © Abdullahi Elmi Shurie – Tutti i diritti riservati
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