
Grazie alla collaborazione degli agenti della Digos, l’uomo, privo di documenti, è stato identificato dalle sue impronte digitali, repertate sulla nave nel gennaio 2012 dal R.I.S. (Reparto Investigazioni Scientifiche) di Roma.
Gli accertamenti della polizia sono scattati dopo che l’uomo, sbarcato in Sicilia, aveva presentato richiesta di asilo ma non di residenza all’interno della struttura. Fatto insolito che ha insospettito l’ufficio della Questura di Caltanissetta che ha avviato quindi i primi controlli.
Il provvedimento di fermo per Mohamed Farah è subito scattato su delega della Procura Distrettuale di Roma e firmato dal pm di Roma Francesco Scavo.
L’indagine ha permesso agli inquirenti di riconoscere in Farah uno degli oltre 50 pirati somali che l’8 febbraio 2011, in seguito ad un conflitto a fuoco abbordarono e sequestrarono la petroliera italiana proprietà dell’armatore F.lli D’Amato di Napoli.
Il sequestro della nave e dell’equipaggio durò dieci mesi, fino al 21 dicembre, quando venne pagato un riscatto di 11,5 milioni di dollari.

La “Savina Caylyn”, trattenuta nella rada di Raas Cusbard, nella zona del villaggio somalo di Harardhere a sud di Obbia, venne rilasciata insieme ai 5 cittadini italiani e 17 indiani dell’equipaggio, seviziati e maltrattati.
Le impronti digitali «forniscono probanti indicazioni che Mohamed Farah abbia fatto parte del gruppo di pirati che sequestrò la Savina Caylyn» considerando che nessun membro dell’equipaggio della motonave italiana era di etnia africana.
L’azione di pirateria del 2011 fu commessa «con finalità di terrorismo consistente nel richiedere ed ottenere, attraverso l’opera di intermediazione intrapresa dai negoziatori con i destinatari della richiesta, un riscatto, in tutto o in parte destinato ad alimentare, sorreggere, potenziare, rafforzare o comunque agevolare gli scopi dell’organizzazione terroristica somala Al-Shabab».
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di © Alberto Alpozzi – Tutti i diritti riservati