La sinistra e la Libia, tra pacifismo e tentazioni coloniali per la guerra Italo-Turca

In un precedente articolo era stato analizzato l’approccio delle sinistre italiane al problema coloniale nell’immediato dopoguerra. Come abbiamo visto, pur nella condanna dell’imperialismo, soprattutto fascista, socialisti e comunisti si espressero in alcuni casi a favore dell’amministrazione fiduciaria dei nostri ex possedimenti d’oltremare (se non addirittura del mantenimento delle colonie), riconoscendo i meriti, laddove incontestabili, del Paese nella gestione dei territori dell’ormai ex Impero.
grande proletaria_pascoliA motivare tale postura era essenzialmente il mito della “grande proletaria” di memoria pascoliana, ossia una visione dell’Africa come approdo naturale per le masse italiane. È appunto in occasione della campagna di Libia (1911), quando il poeta di Barga scrisse il suo celebre discorso, che la sinistra italiana si mise per la prima volta alla prova davanti alla questione coloniale.
Se all’epoca dei nostri esordi come colonizzatori (l’acquisto di lembo di Eritrea nel 1869 e il successivo espansionismo dei governi Depretis e Crispi)*, le sinistre non avevano ancora un’organizzazione strutturale vera e propria ed una visibilità rilevante, ai tempi della guerra Italo-Turca, cioè la prima vera affermazione del nostro Paese in veste di potenza colonizzatrice, i socialisti potevano invece contare su un partito ben radicato nella società e nelle istituzioni. La comunità socialista, tuttavia, non riuscì ad esprimere una voce unitaria in merito alla politica espansionista giolittiana, ma finì per dividersi tra una fazione anti-militarista, promotrice insieme agli anarchici e ai sindacati rivoluzionari di scioperi e agitazioni in tutta la Penisola, ed una riformista, a sua volta divisa in riformisti di sinistra e di destra.
Leonida_Bissolati

Leonida Bissolati

Se i primi (riformisti di sinistra) si limitavano a condannare il colonialismo ma in modo generico, senza “riconoscere il reale spessore storico, limitandosi a considerarlo espressione esclusivamente letteraria e filosofica” (Borruso), i secondi sposavano invece apertamente un orientamento filo-tripolino, persuasi del fatto che la conquista della Libia sarebbe stata la soluzione ai problemi delle masse meridionali e siciliane. Tra i riformisti di destra, anche il gruppo di Leonida Bissolati, convinto della necessità di esportare un colonialismo funzionale al capitalismo italiano e plasmato su un indirizzo democratico.

Le tesi del socialismo tripolista ebbero diffusione anche tra le componenti cooperativistiche, mentre “L’Avanti!” e il resto della stampa d’area rimasero ancorati a posizioni anti-giolittiane, ospitando addirittura gli interventi di figure del liberismo e del liberalismo quali Einaudi e Salvemini perché critiche verso la guerra, sebbene da un’angolazione diversa da quella delle sinistre**.
Nonostante la componente anti-tripolista fosse predominante, confermando e segnando una netta progressione nei congressi di Modena (1911) e Reggio Emilia (1912), il movimento socialista uscì dal 1911 estremamente frammentato e diviso.
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di © Davide Simone – Tutti i diritti riservati
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NOTE
*negli anni ’80-’90 del Secolo XIX, Antonio Labriola si disse favorevole all’idea di una colonizzazione dell’Africa, in vista della creazione di una società socialista nel continente. Questa posizione suscitò molte critiche a sinistra. Turati, in particolare, non riteneva che il Socialismo fosse adattabile alla società africana.
 
**Secondo Einaudi e Salvemini, l’impresa di Libia avrebbe rappresentato uno spreco dal punto di vista economico e dei costi

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